Storicamente. Laboratorio di storia

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Caroline Elkins, Britain’s Gulag. The Brutal End of Empire in Kenya

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Vincitore del premio Pulitzer 2006 per la sezione Nonfiction, il libro di Caroline Elkins ha l’indiscusso merito di riempire un vuoto nella storiografia sulla rivolta Mau Mau. A partire dal 1952 la colonia del Kenya fu teatro di una violenta rivolta ad opera di una larga parte della popolazione che al grido di «Land and Freedom!» insorse contro l’occupazione britannica. La rivolta affondava le sue radici nella prima parte del XX secolo, quando gli africani, principalmente di etnia Kikuyu, erano stati sistematicamente privati delle loro terre più fertili a favore del nutrito numero di coloni che dall’Inghilterra si erano trasferiti nella colonia gioiello del Kenya. La storia della rivolta è anche la storia delle misure intraprese dal governo coloniale britannico per soffocarla: da vaste azioni militari contro i guerriglieri, alla creazione di campi di detenzione per la loro riabilitazione, alla costruzione degli emergency villages, villaggi recintati dove avveniva la rieducazione di donne, anziani e bambini, considerati la base delle retrovie della rivolta. Mentre gli inglesi operavano in Kenya per sconfiggere e riabilitare i guerriglieri, in Europa la repressione veniva presentata all’opinione pubblica come una lotta della civiltà contro la barbarie, dove i Mau Mau erano rappresentati come selvaggi, colpevoli di indicibili efferatezze nei confronti dei coloni e degli africani rimasti fedeli alla corona britannica.

La ricerca della Elkins prende le mosse proprio da questo punto: documentare la missione civilizzatrice degli inglesi nei campi creati per la riabilitazione dei Mau Mau. In maniera molto convenzionale, l’a. intraprende una ricerca negli archivi coloniali, dalla quale riesce ad ottenere, tuttavia, scarsi risultati: pochissimi sono i documenti relativi ai campi di detenzione e al processo di riabilitazione. Alcuni sporadici indizi, sono tuttavia sufficienti a far intuire all’autrice che l’entità delle persone coinvolte nella riabilitazione fosse stata di molto maggiore rispetto a quella indicata dalle statistiche ufficiali. La mancanza di documenti negli archivi di un’amministrazione come quella inglese solitamente molto prolifica, insinua nell’autrice il sospetto che gran parte dei documenti concernenti la rivolta fosse stata distrutta alla vigilia della partenza degli inglesi dal Kenya alle soglie dell’indipendenza, nel 1963. Perché?

Per rispondere a questa domanda e per compensare la mancanza delle fonti d’archivio, l’a. inizia un’ampia raccolta di fonti orali sul campo. Attraverso più di trecento interviste condotte tra i superstiti della rivolta viene a mutare la prospettiva dell’intero lavoro, che l’a. anticipa già nell’introduzione: «Oggi sono convinta che durante il tardo periodo coloniale venne compiuta in Kenya una cruenta campagna per eliminare la popolazione Kikuyu, una campagna che lasciò sul campo decine, se non centinaia, di migliaia di vittime. La rivolta Mau Mau è stata descritta come una delle più selvagge e barbare rivolte del ventesimo secolo. In questo libro chiedo che si riconsideri questa opinione diffusa e che si esaminino i crimini perpetrati dalle forze coloniali contro i Mau Mau e le consistenti misure che il governo coloniale britannico intraprese per occultarli» (p. XIV). Attraverso le testimonianze orali, l’a. ricostruisce la storia e la struttura dei campi di detenzione e degli emergency villages, ponendosi come obiettivo quello di andare behind the wire, oltre il filo spinato, per esplorare la vita quotidiana dei detenuti, le attività lavorative alle quali erano sottoposti, i rapporti con il personale. Quello che emerge è un quadro generale di estrema brutalità, caratterizzato da torture ed esecuzioni sommarie, che molto si discosta dall’idea di missione civilizzatrice proposta dalle autorità coloniali. E che interessò un numero di detenuti fino a quattro volte maggiore rispetto a quello proposto dalle statistiche ufficiali.

Un lavoro di indubbia validità nella ricostruzione degli eventi attraverso gli occhi dei superstiti e nell’uso comparativo delle fonti d’archivio e delle fonti orali, ulteriormente arricchito da una prospettiva di genere, che pone in risalto l’esperienza delle donne Mau Mau all’interno dei campi di detenzione.