Storicamente. Laboratorio di storia

Tecnostoria

Itinerari open: progettare la società della conoscenza con il Cultural Heritage digitalizzato

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Abstract
Compose the potential of the Cultural Heritage (CH), Information and Communication Technology (ICT) and Design in the scenario of the knowledge society outlined in the European Union, shows some trends (open source and open content) that are transforming the construction and the use of cultural projects. Some experiences we are helped to develop and reformulate the project proposals consistent tools, content, resources available.

CH e ICT: una strada già tracciata

Da tempo i settori dei Cultural Heritage (CH) e quello dell’Information and Communication Technology (ICT) collaborano per cercare soluzioni sempre più efficaci ed efficienti per tutelare, conservare, salvaguardare e valorizzare il patrimonio culturale[1]. Nel corso di pochi decenni, entrambi i settori hanno dovuto rivedere e adattare obbiettivi e strategie sotto la spinta di profonde trasformazioni, ulteriormente accelerata dalla crisi economica, per individuare metodi, strumenti e modelli sostenibili, praticabili e replicabili, provenienti dall’alto e dal basso.

Puntando decisamente sulle opportunità offerte dall’ICT come diver del cambiamento[2], la RoadMap per i Beni Culturali, proposta in sede europea dal 2004 e via via adattata[3], riguarda un ventaglio molto ampio di argomenti: l’interoperabilità[4], l’interazione[5], la creazione e ri-creazione di oggetti digitali[6], la generazione di nuovi repository[7], la stabilità degli ambienti digitali[8]. Obiettivo: supportare le azioni di tutela e di conservazione consentendo la più ampia fruizione e ri-utilizzo delle fonti, senza ledere le testimonianze originali.

La strada per sviluppare progetti di fruizione dell’CH, coerenti alle odierne esigenze museologiche e alle direttive internazionali, è stata quindi indicata. Da un lato, come previsto dallo statuto dell’ICOM, le istituzioni museali e i patrimoni sono concepiti come strumenti al servizio della società e dello sviluppo. Dall'altro la conoscenza e l’informazione sono ritenute uno dei fattori rilevanti per generare i cambiamenti auspicati, in sede europea (vedi la Conferenza di Lisbona), per porsi al riparo da conflitti[9]. Compito del patrimonio culturale è essere uno dei volani di questo cambiamento.

CH, ICT e design: una strada da tracciare

La fruizione del patrimonio culturale, intra ed extra museo, tradizionalmente «territorio» di discipline quali la museologia (più attenta all’istituzione museale e al senso della musealizzazione) e la museografia(più attenta all’esposizione, all’allestimento e alla conservazione delle testimonianze), è diventata, prima nella pratica poi nella teoria, (come spesso accade) oggetto di studio e di progetto anche delle discipline del design[10]. Cioè è diventata oggetto di quell’insieme di insegnamenti che si occupano dei prodotti commerciali e della loro produzione, che, nell’odierna società postmoderna[11], sono: servizi, esperienza, conoscenza. Seguendo il pensiero di Manzini, questi nuovi prodotti (prodotti-evento) sono caratterizzati dall’essere orientati al raggiungimento di un risultato, e dalle modalità del loro svolgimento; dal modo in cui gli attori sono coinvolti nella generazione dell'evento e collaborano a raggiungere il risultato; dalla capacità del progetto stesso di attrarre e mettere d’accordo i partner necessari, caso per caso [Manzini 2004]. I nuovi prodotti-evento (o prodotti-dispositivi) sono proprio quel genere di prodotti che connotano l’azione di valorizzazione e fruizione del Cultural Heritage.

Nel brainstorming iniziale, i designer hanno innanzitutto assimilato e fatto propria l’ampia e soprattutto dinamica nozione di «bene culturale» inteso, oggi, come Cultural Heritage, cioè come eredità a tutto tondo comprensiva dei beni mobili e immobili, materiali e immateriali, patrimoni riconosciuti e in corso di riconoscimento da parte di comunità più o meno istituzionali, e, forse, un domani dismessi, in quanto non più rappresentativi di identità e culture, ma, proprio per questo, ancor più preziosi.» [SDI 2006; Parente, Lupo 2009].

Un percorso intellettuale fondativo, che ha accompagnato, e accompagna, la nascente identità europea, condiviso dagli studiosi in ambito internazionale. Ma un percorso e un corollario di concetti e prassi, comunque giovani, ancora in corso di definizione e di assimilazione all’interno di ciascuna comunità e sistema paese. In questo quadro spicca la situazione italiana, ricca di cospicue e talvolta ingombranti testimonianze materiali, promotrice di una riflessione teorica rilevante e di azioni esemplari, in merito alla conservazione, ma debole nel promuovere una cultura diffusa di buone pratiche e debole nel salvaguardare patrimoni non strettamente storico-artistici o espressivi di culture subalterne, specie se immateriali (come i "saper fare", tipici del Made in Italy).

Nel percorrere il confine, talvolta ambiguo e rischioso, tra Patrimonio culturale e Cultura, i designer hanno operato nella prospettiva di individuare un terreno comune d’azione con altre discipline. Hanno quindi riconosciuto al CH un ruolo significativo, quando non centrale, del processo educativo, etico, sociale e solidale; e hanno riconosciuto altresì la necessità / opportunità di operare in un ottica di sostenibilità ambientale, economica e sociale[12]. Al contempo hanno rilevato, dal dinamico universo ICT, l'emergere di tendenze che meritano sempre più la nostra attenzione di progettisti in tutti i campi di applicazione del progetto [Bollini 2004; Ciuccarelli 2008; Ratti, et. al. 2011].

Letizia Bollini ci invita a guardare al di là delle interfacce intese come oggetto materiale e visibile per prestare attenzione progettuale all'intero dispositivo multimediale nelle sue caratteristiche multimodali, crosmediali, procedurali, richiamando il modello metaforico e operativo della «messa in scena» teatrale già trattato da Laurel[13].

Se la concezione della Laurel trasforma, di fatto, non solo degli enunciati teorici il computer non più in uno strumento ma in un medium, allo stesso modo nell'interfaccia non è più il luogo passivo di incontro tra uno spettatore e una macchina, bensì un sistema attivo che trasforma l'uso del calcolatore, in un atto di esperienza, cioè di gesti, azioni, comportamenti, di sensazioni, di conoscenza, di esplorazione e di invenzione. Materia stessa della manipolazione del regista il cui fine ultimo però è la progettazione dei comportamenti dell'utente, che come attore non sa, ma cerca la propria parte e come spettatore allunga, letteralmente, le mani sulla scena [Belloni 2004].

Ma Bollini non è la sola a interrogarsi sulle ricadute del diffuso utilizzo delle risorse ICT e della rete nelle pratiche del progetto. Paolo Ciuccarelli si interroga sull'influenza che l'apertura a certe prassi (open source) hanno o possono avere sulle pratiche del progetto. Una tendenza di cui oggi non possiamo valutare né la portata né la durata.

Abbracciando l'approccio sistemico, diciamo che le condizioni per un discorso sul design aperto e collaborativo comincia a costruirsi quando entrano in risonanza tre percorsi di macro-cambiamento, ognuno con origini proprie ma interconnesso agli altri e da essi amplificato: a) l'affermazione della rete come schema di organizzazione dell'attività produttiva (ma non solo); b) l'emergere della conoscenza come risorsa principale del nostro tempo e la produzione di nuova conoscenza come fonte di vantaggio competitivo, per le imprese come per le nazioni; c) la progressiva informatizzazione e digitalizzazione dei processi e dei prodotti e lo sviluppo delle reti di telecomunicazione. [Ciuccarelli 2008]

Tutto ciò diventa più palese con il numero di Domus di giugno 2011. . Cosi la storica rivista celebra un significativo movimento che investe tutto il settore disciplinare del progetto, a qualunque scala, richiamando l’attenzione di quanti ancora operano in un ottica meramente difensiva di un sapere esperto e autorevole a svantaggio di un sapere diffuso [Ratti, et. al. 2011].

Un orizzonte aperto

È ormai acquisito il fatto che nel settore dell’ICT si possono distinguere, per metodologia progettuale e modalità di fruizione dei prodotti, due macro-approcci (o generi di dispositivi): quello che chiameremo dei software proprietari, caratterizzati da una progettazione chiusa spesso verticistica, e da licenze copyright; e quello dei software liberi, caratterizzati da una progettazione (open source) ed una accessibilità (open content) aperta e collaborativa, e da licenze copyleft. A titolo esemplificativo per il primo approccio citiamo i diffusi sistemi operativi Mac e Windows; per il secondo il sistema operativo Unix e Linux.

Nella ricerca di modelli operativi e culturali alternativi a quelli fin qui praticati, ed oggi in discussione, il mondo dei software liberi si sta affermando e diffondendo, configurandosi sempre più come un movimento foriero di innovazioni anche in ambiti diversi da quello di provenienza [Marinelli 2008]. Questa filosofia promuove e declina le quattro "libertà fondamentali" indicate da Richard Stallman nel 1985[14] che pongono al centro dell’azione progettuale le libertà dell’utente in contrapposizione alle aspettative del proprietario/committente.

Dal libero accesso ai codici sorgenti nell’ambito della programmazione informatica (OS), si è cosi passati al libero accesso a prodotti e servizi informatici declinando una famiglia di licenze copyleft [15], per passare poi alla proprietà intellettuale e ai contenuti digitali (open content). Un percorso ancora in divenire, non lineare, ma, oggi, incluso e promosso anche da politiche governative[16] [Mochi Sismondi 2011]. Sostenendo l’utilizzo di software liberi, nell’ambito della Pubblica Amministrazione e nell'ambito degli interventi strutturali per potenziare le infrastrutture della rete Internet, l’UE, ad esempio, si pone l’obiettivo di ridurre il divario tra chi accede effettivamente all’informazione e alla conoscenza e chi è impossibilitato a farlo (digital divide).

Per chi ha accesso ai servizi Web della rete Internet, è esperienza acquisita la consultazione di risorse disponibili on line negli archivi digitali tramite i motori di ricerca (come Google o Yahoo), ciò è possibile attraverso una molteplicità di strumenti e macchine (computer, telefoni, tablet, …) che diventano: multimediali per la loro capacità di trattare medium differenti (file testo, audio, immagini statiche, immagini in movimento, …); multimodali quando consentono varie modalità di interazioni uomo/macchina (attraverso vista, udito, tatto, propriocezione, …); crossmediali quando permettono all’informazione di transitare da una macchina all’altra senza soluzione di continuità.

Grazie a questi strumenti (hardware e software) è una realtà navigare senza posa (anywhere e anytime) tra archivi di materiali diversi generati e/o solo fruiti dagli utenti è una realtà. Ne sono un esempio: Wikipedia per i testi, Flickr per le immagini ed i video, YouTube per i video, Photosynth per le immagini e gli oggetti digitali 3D (generati tramite fotogrammetria), SketchUp per gli oggetti 3D (realizzati tramite modellazione), GoogleMaps, GoogleStreetView e GoogleEarth per muoversi nello spazio, solo per citare alcuni strumenti e/o servizi open e free disponibili in rete.

Una navigazione spesso ancora faticosa per i non esperti, a seconda della padronanza del mezzo e dei contenuti di chi naviga, ma nonostante ciò oggi la costruzione, l’accesso e l'utilizzo (e ri-utilizzo), del patrimonio culturale digitalizzato sta diventando un’opportunità concreta alla portata di molti: gestori, studiosi, curatori, cultori delle più diverse discipline e comuni cittadini. In questa vicenda hanno un ruolo significativo le esperienze condotte in ambito archivistico da soggetti commerciali e istituzionali, che ospitano e ospiteranno oggetti via via più complessi[17].

Esperienze in corso

Anche se oggi la consultazione di libri on line più sfogliabile e interrogabile è GoogleBooks, la piattaforma (tematica e istituzionale) della biblioteca digitale Europeana [18] (operativa dal 2009) è un caso studio emblematico della vicenda di cui si sta trattando, cioè del processo di archiviazione e fruizione aperto. In Europeana confluiscono i capolavori di " pubblico dominio" provenienti da 27 paesi, disponibili in 23 lingue, (mappe, spartiti musicali, raccolte audio, manoscritti, …), consentendo poi di richiamarli e organizzarli all’interno di format grafici (linea cronologica o mappa geografica) o di organizzarli secondo esposizioni interattive, secondo una narrazione lineare, «stop and go», per consentire un interazione, tramite link, fatta di pause e approfondimenti da parte dell’utente finale.

Simmetricamente nel 2011 debutta la piattaforma sperimentale Google Art Project, confluita nel più ampio progetto del Google Cultural Institute. del colosso Google. Partendo da un corpus di istituzioni e opere altamente rappresentativo del patrimonio culturale mondiale, arbitrariamente scelto, mostra le potenzialità di una fruizione aperta, nel costruire collezioni e percorsi fruitivi. Come in Europeana in questo caso le informazioni acquisite possono essere ordinate e messe in relazione secondo format grafici e compositivi, utilizzando le applicazioni e i servizi realizzati per il Web da Google stesso.

Attraverso un procedimento più empirico, altre piattaforme commerciali, fornitrici di servizi, stanno proponendo ambienti in cui fruire dei temi/beni culturali pubblici. È il caso della sezione «The Commons» (beni comuni o risorse comuni) nata su Flickr (dal 2007 stabilmente attiva nell’universo Web 2.0), e delle sezioni «Museums», «National Parks», «Archaeology» su Photosynth (che dal 2008 consente agli utenti di costruire le proprie collezioni di immagini e modelli 3D, dirigendosi verso il Web 3.0). Sezioni che si sono venute a determinare dal basso, tramite la collaborazione degli utenti, sperimentando, praticando, commentando, attribuendo parole chiave (TAG) agli oggetti digitali, non sempre corrispondenti alle catalogazioni istituzionali, generando cosi stimolanti ipotesi narrative tutte da verificare.

Ma non mancano i casi di istituzioni museali che si avvalgono dei servizi sopra citati, esterni alla struttura museale (esternalizzazione dei servizi) senza rinunciare a condurre una regia consapevole per sperimentare modi nuovi di «mettere in scena » contenuti culturali. Attivando link dai loro siti istituzionali, aprono, a loro nome, album, canali tematici, collezioni di oggetti digitali. È il caso del Brooklyn Museum. Dal suo sito è possibile accedere alle raccolte fotografiche su Flickr nella sezione «The Commons», al canale tematico su YouTube per vedere anticipazioni e backstage, al Blog in cui è lo staff museale a proporre temi e articoli, alle pagine su Facebook e Twitter per aggiornare e scambiare informazioni con la/le comunità che gravitano intorno al museo. In questo caso il Web stesso è utilizzato come piattaforma [Policaro 2009].

Ognuno di questi archivi digitali consente diversi livelli di interazione, cioè consente di istaurare relazioni tra uno o più soggetti agenti: curatori/pubblico, archivi/studiosi, gestori/utenti, … in questo modo ciascun soggetto può orientare, e ri-orientare, le proprie azioni.

Puntando sull’autonoma selettività dei pubblici e sulla loro capacità di aggregarsi in communities, si riesce ad allungare a dismisura il tempo di vita dei prodotti, a suddividere i profili di remunerazione, ad assicurare attenzione e rilancio a contenuti originariamente sottovalutati dal pubblico di massa, a valorizzare contenuti realizzati ma non sfruttati dalla distribuzione tradizionale, provenienti da produttori indipendenti o dalla creatività degli stessi utenti. [ Marinelli 2008]

Avvalersi, immaginare e progettare l’utilizzo dei servizi esterni Web, oggi disponibili in rete liberamente e forse domani disponibili a pagamento, in questa prospettiva vuol dire esplorare i confini e le potenzialità di importanti strumenti per rilevare, perseguire, monitorare obiettivi e progetti per i diversi profili di utenti (nicchie di mercato/interessi) sia che si tratti di progetti di marketing, curatoriali, di fruizione allestimenti on o off line, di fund raising. Consapevoli che trattando gli utenti come co-sviluppatori, secondo uno dei principi fondanti dell’approccio open, è possibile ottenere miglioramenti ed ridurre errori. Parallelamente ciò consentirebbe di rintracciare nicchie di mercato, interessi, bisogni sufficientemente ristretti e specifici, che costituiscono oggi probabilmente i settori di sviluppo più dinamici e interessanti secondo il modello long tail (coda lunga).

Bibliografia

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Ciuccarelli P. 2008, Design open source. Dalla partecipazione alla progettazione in rete, Bologna: Pitagora Editrice.

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Parente M., Lupo E. (eds.) 2009, Il Sistema Design Italia per la valorizzazione dei beni culturali, CD Gli Strumenti di documentazione della ricerca, Milano: Poli.Design.

Pine J., Gilmore J. 1999, The Experience Economy, Boston: Harvard Business School Press.

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Waters F. 2011, The Best Online Culture Archives, «The Telegraph», 1º febbraio, http://www.telegraph.co.uk/culture/8296365/The-best-online-culture-archives.html

Note

[1] Questa tendenza è ben rappresentata all’interno di due manifestazioni: ArcheoVirtual (13°ed., 2012) e ArcheoFOOS (7°ed., 2012). ArcheoVirtual, nell’ambito della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico (15°ed., 2012), persegue un azione di monitoraggio sullo stato di avanzamento dei progetti del settore. ArcheoFOOS promuove lo sviluppo e l’applicazione di software liberi per l’attività di ricerca archeologica per soddisfare al meglio la esigenze di una nicchia di studi.

[2] Sul ruolo delle tecnologie come motore di innovazione riprendiamo da Ciccarelli: «È certo che le tecnologie dell’informazione, siano state […] uno dei driver del cambiamento del sistema economico e sociale, ma non necessariamente il principale» [Ciuccarelli 2008].

[3] Nel 2004 grazie ad una piattaforma ad hoc, si è dato avvio ad un processo di monitoraggio e di valutazione dei temi per la definizione della RoadMap per i Beni Culturali europea [DigiCULT 2004]. Lo studio inizialmente proiettato a esplorare i 10/20 anni successivi, è aggiornato annualmente da ESFRI – European Strategy Forum on Research Infrastructures [2011].

[4] Il tema della interoperabilità tecnologica e semantica delle risorse del patrimonio e del loro utilizzo "anywhere, anytime" senza soluzione di continuità in contesti dinamici. Ciò comprende sia lo scenario del Semantic Web , sia le applicazioni di Ambient Intelligence (rilevamento della posizione, comprensione e interazione con il contesto)[DigiCULT 2004].

[5] Il tema dell’interazione naturale e divertente volta all’apprendimento, con gli ambienti e le ricche risorse del patrimonio digitale. Rivolgendo l’attenzione a una varietà di situazioni, di utenti e consumatori. Includendo: l’accesso personalizzato e dinamico ai grandi repository di risorse digitali; le modalità di navigazione e l'utilizzo delle risorse del patrimonio; la possibilità di generate dinamicamente mappe tematiche, cronologie ed elementi narrativi, e percorsi attraverso le collezioni di grandi dimensioni; l’utilizzo di linguaggi di interazione multimodali con realtà aumentate e realtà virtuali [DigiCULT 2004].

[6] Il tema della creazione e ri-creazione di testimonianze e testimoni digitali (ad es. avatar), strutture architettoniche e siti archeologici o storici per l'uso interattivo in realtà aumentate o virtuali. Ciò include lo studio: di strumenti per il rilievo dei dati e la modellazione in tre dimensioni (tra cui GIS 3D per i siti culturali e naturali) di concetti e strumenti per la progettazione della scena, dello scripting e del rendering dinamico, di collezioni di, metadati per i componenti riutilizzabili 3D; definizione di formati di scambio [DigiCULT 2004].

[7] Il tema della generazione e distribuzione automatica di contenuti, distribuiti da biblioteche e archivi digitali eterogeni, contenente oggetti sempre più complessi e dinamici, che cambiano nel tempo, insieme ad una vasta gamma di tipologie di informazioni. Ciò comprende nuove metodologie, applicazioni e strumenti per: la creazione altamente automatizzata si sistemi di descrizione, di indicizzazione, di gestione interconnessione e in generale di grandi volumi di risorse digitale; il tracking, l'estrazione, l'analisi e la raccomandazione di fonti di informazione; la possibilità di garantire l'accesso trasparente e intuitivo a librerie di nuova generazione e archivi digitali per gli utenti con diverse esigenze e capacità e l'effettiva condivisione e il riutilizzo delle risorse del patrimonio [DigiCULT 2004].

[8] Il tema dello sviluppo di nuovi concetti, metodologie e tecniche per rendere l'ambiente digitale, stabile come quello fisico, rimanendo comprensibile nel corso del tempo. Ciò include: piattaforme avanzate, strumenti e servizi per supportare la conservazione a lungo termine e la disponibilità perpetua delle risorse del patrimonio digitali in ambienti futuri; prevenire la perdita di dati e ripristinare l'accesso ai manufatti del patrimonio in formati obsoleti; problemi di conservazione a lungo termine di oggetti sempre più complessi e mutevole, compresi i sistemi di organizzazione della conoscenza, vocabolari, thesauri, ontologie, ecc. [DigiCULT 2004].

[9] Per richiamare lo scenario entro cui collocare tali scelte vedi le voci «Storia dell'integrazione europea», «Comunità europee» su Wikipedia.

[10] Si nota che in ambito accademico si riconoscono e distinguono i due insegnamenti: museografia (ICAR/16) e museologia (L-ART/04), afferenti, rispettivamente, a due settori scientifico-disciplinari distinti: Ingegneria civile ed Architettura (ICAR) e Scienze dell'antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche (L-… ANT, ART, FIL, LIN, OR). Si nota altresì che la museografia è trattata anche in altre aree disciplinari quali: Scienze biologiche (BIO/02; BIO/05; BIO/08); Scienze della terra (GEO/O1; GEO/07; GEO/06; GEO/07); Scienze mediche (MED/02), questo per sottolineare la trasversalità e la rilevanza del temi trattati quando si parla di Cultural Heritage.

[11] Facendo riferimento alla «società liquida», che metaforicamente Z. Bauman contrappone a quella «solida» dell’epoca moderna, E. Manzini riflette sui caratteri dei prodotti e del progetto: «In tempi più recenti questo modello [quello "solido"] è stato attaccato da diverse parti, negli ultimi decenni è risultato sempre più evidente che ciò che un'impresa produce non sono solo prodotti materiali, ma anche comunicazione e servizi. Progressivamente, queste componenti immateriali dinamiche hanno aumentato di rilevanza fino a diventare dominanti. Recentemente, infine, la diffusione delle reti ha iniziato a sciogliere le organizzazioni tradizionali introducendo modi di progettare, produrre e consumare/utilizzare del tutto inediti». Per questa ragione alcuni autori hanno parlato di economia dei servizi, di economia dell'esperienza, e di economia della conoscenza [Rifkin 2000; Lévy 1994; Pinr, Gilmore 1999] e conseguentemente dovremmo ritenere che i prodotti di questa nuova economia siano, principalmente: servizi, esperienza, conoscenza.

[12] «Storicamente l'approccio alla questione ambientale si è spostato da politiche di rimedio del danno a interventi sempre più provenienti: dal controllo dell'inquinamento, dalle tecnologie pulite e poi ai prodotti a basso impatto ambientale. E, più recentemente, nel dibattito sono entrati i temi dell'innovazione del sistema e dei modelli di consumo sostenibile. In relazione a questo percorso, tracciamo il ruolo che ha assunto la cultura del design e come questo ruolo si sia amplificato nel tempo: da criteri per la selezione dei materiali (esempio atossicità e riciclabilità), alla progettazione del ciclo di vita del prodotto (Life Cycle Design, LCD) e, più recentemente, al design strategico per la sostenibilità (design partecipato e orientato a nuovi criteri di qualità, di sistemi sostenibili di prodotto e servizio)» [Vezzoli 2004].

[13] «Con il testo Computer as a theatre la Laurel [1984] affronta la questione dal punto di vista dell'esperienza e interpreta l'interazione tramite Graphical User Interface tramite la metafora del teatro. Guardare al computer non come uno strumento ("tool"), ma come ad un mezzo ("medium") significa ribaltare il paradigma interpretativo» [Belloni 2004].

[14] Le quattro "libertà fondamentali" indicate da Richard Stallman nel 1985 sono: libertà di eseguire il programma per qualsiasi scopo; libertà di studiare il programma e modificarlo; libertà di ridistribuire copie del programma in modo da aiutare il prossimo; libertà di migliorare il programma e di distribuirne pubblicamente i miglioramenti, in modo tale che tutta la comunità ne tragga beneficio.

[15] Sono licenze copyleft: Open Source, OS; Free and Open-Source Software, F/OSS, o Free/Libre/Open-Source Software, FLOSS; European Union Public Licence, EUPL.

[16] Per un aggiornamento e inquadramento sulle tendenze del settore della Pubblica Amministrazione, vedi ForumPA 2012, “OPEN GOVERNMENT: La strada obbligata per la PA del FUTURO”.

[17] Waters, Florence, 2001, The Best Online Culture Archives, «The Telegraph», (1º febbraio 2011), URL consultato il 2 febbraio 2011.

[18] La Biblioteca Digitale Europeana mette in rete i più importanti archivi pubblici europei. In essa confluiscono altri progetti come Link ed Heritage un progetto che cerca di inserire nella rete di «Europeana» anche di archivi privati e CulturaItalia il portale nel quale confluiscono gli archivi italiani. I progetti europei nel settore sono e sono stati molteplici; Minerva, Minerva plus, Minerva eC. Una mappa tematica cronologica generata dinamicamente illustra il loro susseguirsi, su http://www.dipity.com/michael_culture/Michael-Culture.