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Paul J. Kosmin, “Time and Its Adversaries in the Seleucid Empire”

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Paul J. Kosmin, “Time and Its Adversaries in the Seleucid Empire”, Cambridge-London, Harvard University Press, 2018, pp. 392.

Il nuovo libro di Paul J. Kosmin si inserisce in un percorso di studio già iniziato dall’autore con la precedente monografia The Land of the Elephant Kings: Space, Territory and Ideology in the Seleucid Empire (2014). Infatti Time and Its Adversaries in the Seleucid Empire è stato concepito come completamento sul piano temporale dell’indagine iniziata sul piano spaziale nel libro del 2014, in cui l’autore si era concentrato sull’organizzazione territoriale seleucide e l’ideologia che ne stava alla base fin dalla fondazione del regno alla fine del IV secolo a.C. Il libro si divide in due parti a loro volta strutturate in tre capitoli.

Nel primo capitolo Kosmin analizza l’invenzione dell’era seleucide come un primato del regno di Siria che consentì di proiettare il traguardo politico di Seleuco I verso l’infinito, creando un sistema temporale nuovo rispetto all’abituale calcolo del tempo in base agli anni di regno, alle magistrature o ai sacerdozi eponimi. Le conseguenze di tale decisione furono colossali sul piano della coesione interna dell’impero, come lo definisce Kosmin, e per il rafforzamento della regalità seleucide stessa. Molta attenzione è rivolta alla figura di Seleuco I, alla scelta della primavera del 311 a.C. come inizio della storia seleucide, alla contemporaneità di tale punto di partenza con l’inizio dell’anno babilonese e della relativa festa dell’akitu e, infine, al portato ideologico di tale decisione. Il secondo capitolo analizza fino a che punto la nuova datazione entrò con forza nella vita quotidiana dei sudditi attraverso le iscrizioni, le monete e altri oggetti su cui era iscritta. Inoltre per Kosmin vi erano alcuni edifici che più di altri rappresentavano l’era seleucide e il potere stesso, come sarebbe stato per gli archivi a Seleucia sul Tigri e a Kedesh in Palestina, oggetto di successive distruzioni e mai più ricostruiti. Nel terzo capitolo, il tempo seleucide è considerato come una struttura a sé stante rispetto alla successione dei re, in grado di conferire un’identità definita alla dinastia. Lo studioso analizza qui le modalità utilizzate dalla corte seleucide per esprimere il proprio concetto di temporalità attraverso la storiografia, i culti ufficiali e le singole azioni dei re.

La seconda parte del libro riguarda la critica e l’opposizione delle diverse etnie locali del regno all’era seleucide intesa come strumento e segno del dominio seleucide. Nel quarto capitolo Kosmin si concentra sui Babyloniaka di Berosso e su alcune fonti giudaiche, cercando di dimostrare come certi autori contrapponessero alla nuova era apertasi con Alessandro e poi Seleuco il glorioso passato dei re babilonesi o del popolo ebraico. La storia contemporanea era in alcune opere volutamente esclusa dalla narrazione, poiché la conquista macedone era percepita come una cesura netta rispetto a tutto quello che era avvenuto prima, sebbene Mesopotamia e Giudea si fossero già trovate sotto vari domini stranieri. Il monopolio del tempo suscitò forti reazioni tra i detrattori del nuovo regime che vi contrapposero visioni apocalittiche ed escatologiche della storia ed è in questo quinto capitolo che Kosmin considera le profezie anti-seleucidiche. Il libro di Daniele, Enoch, la profezia dinastica babilonese e lo Zand ī Wahman Yasn contengono elementi utili per definire i fenomeni di opposizione al potere dei Macedoni in Asia, secondo l’autore sorti in contrapposizione, o meglio provocati, dall’instaurazione dell’era seleucide. Il sesto capitolo tratta delle forme di opposizione e di cancellazione del passato seleucide in territori divenuti indipendenti nel corso del II secolo a. C. La Babilonia, l’Armenia di Artaxias I, la Persia dei Frataraka e la Giudea maccabea sono analizzate dal punto di vista della politica di richiamo alle tradizioni autoctone di epoche precedenti in funzione antimacedone. Kosmin vuole dimostrare come tutte queste dinastie ed élites locali, non ultime alcune poleis greche, facessero riferimento a un remoto e glorioso passato attraverso la ricostruzione di monumenti, la ripresa di certe pratiche e l’adozione di specifiche simbologie.

Nondimeno si deve notare che alcune argomentazioni presentate dall’autore appaiono non così indicative di una sincera volontà di contrasto all’ideologia seleucide e, soprattutto, pare riduttivo ricondurre tali forme di produzione letteraria, ad esempio la letteratura profetica o i Babyloniaka di Berosso, a una reazione all’introduzione dell’era seleucide. D’altra parte, sono numerosi gli esempi di una continuità con gli usi definitisi sotto il dominio seleucide, anche nel momento in cui questo dominio non esisteva più. I Seleucidi si trovarono a governare su territori e popolazioni assai differenti tra loro, con caratteristiche religiose, sociali, culturali proprie e, nella prospettiva dell’autore, i sovrani non ricercarono mai una legittimazione e un’identificazione con le tradizioni monarchiche che li avevano preceduti nella catena della translatio imperii. In conclusione, il libro ha il grande pregio di riproporre all’attenzione della critica un tema, quello dell’opposizione all’Ellenismo, che non è trattato esaurientemente dai tempi della monografia di Eddy (The King is Dead, 1961). Secondo la stimolante prospettiva di Kosmin, la creazione di una propria era permise di rendere il governo dei Seleucidi più immanente alla realtà e dare consistenza a un potere percepito come astratto, alla stregua di una costruzione sospesa sulle teste dei sudditi.