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Giuseppe Ferraro, “«Resistere». Trincea e prigionia nell’archivio Barberio”

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Giuseppe Ferraro, “«Resistere». Trincea e prigionia nell’archivio Barberio”, Cosenza, Pellegrini, 2018, 255 pp.

Giuseppe Ferraro, già dottore di ricerca in Storia presso l’Università di San Marino e attualmente borsista presso il Centro Studi Paolo Prodi sulla Storia Costituzionale del Dipartimento di Storia dell’Università di Bologna, pubblica in questo volume la ricostruzione dell’esperienza bellica di Bernardo Barberio, ufficiale di fanteria durante la Prima guerra mondiale. L’oggetto dell’indagine di Ferraro, pur incentrandosi sull’esperienza del capitano Barberio, non si limita per contro alla singola personalità dell’ufficiale, ma si dispiega anzi nell’analisi delle vicissitudini dei prigionieri di guerra italiani transitati per il campo ungherese (ma oggi in territorio slovacco) di Dunaszerdahely. Si tratta in effetti di una ricerca, sfociata poi nel libro, supportata da un ampio – e in alcuni casi inedito – materiale d’archivio, che l’a. ha saputo sfruttare con una certa acribia. La ricerca prende infatti le mosse dall’impegno della Regione Calabria di avviare, congiuntamente all’Istituto calabrese per la storia dell’antifascismo e dell’Italia contemporanea, uno studio in grado di fornire un dispositivo storiografico e memorialistico inerente la Brigata Catanzaro del Regio Esercito, nella cornice delle celebrazioni per il centenario della Prima guerra mondiale. La data di pubblicazione del volume in effetti non è casuale e si inserisce appunto fra quelle commemorazioni della Grande Guerra che hanno visto un profluvio di libri e libelli sulla dimensione sociale del singolo soldato. A conti fatti il volume potrebbe chiudere idealmente un percorso storiografico “celebrativo” apertosi nel 2014 con la Storia intima della Grande Guerra. Lettere, diari e memorie dei soldati dal fronte a opera di Quinto Antonelli, responsabile dell’Archivio della scrittura popolare presso il Museo storico del Trentino.

Ciò premesso, il libro di Ferraro si articola fondamentalmente in due parti: una prima incentrata quasi esclusivamente sulla biografia bellica di Barberio, e una seconda che affronta lo studio degli internati nel campo prigionia di Dunaszerdahely. Per ricostruire, ove gli è stato possibile, le biografie degli oltre seicento prigionieri di guerra italiani citati nel volume, l’a. ha infatti utilizzato, incrociandoli e amalgamandoli, un’abbondante quantità di dati, fra cui i ruoli matricolari, i registri di prigionia, gli stati di servizio, ma soprattutto gli archivi privati delle famiglie. Attraverso questa tipologia di fonti, rese in un apparato tabellare d’appendice, emerge tutto l’ampio spettro delle esperienze belliche di numerosi soldati, non necessariamente calabresi, ma che nel volume rimangono tuttavia ai margini rispetto alla preponderante biografia del capitano Bernardo Barberio.

Il libro di Ferraro si colloca del resto all’interno di quella pubblicistica che si sofferma sulla dimensione biografica e individuale del soldato in trincea come fonte d’indagine particolare sulle vicende della Grande Guerra; un filone che ha visto importanti studi, in particolare quello di Fabio Caffarena, Lettere della Grande Guerra. Scritture del quotidiano, monumenti della memoria, fonti per la storia. Il caso italiano, 2005, ma soprattutto il noto La guerra grande. Storie di gente comune, 2015, di Antonio Gibelli (autore tra l’altro della prefazione al volume di Ferraro).

Grazie alle carte dell’archivio Barberio, l’a. ci descrive infatti le alterne fortune quotidiane dei soldati al fronte; schiacciati fra i favoritismi verso gli ufficiali di carriera da una parte e le insidie della realtà di trincea dall’altra, restituendoci tutto il vasto ventaglio della vita dei soldati e dei prigionieri di guerra o, in altri termini, di quelle personalità che l’ufficiale Barberio presenta nella sua corrispondenza come «le vittime delle piccole e delle grandi ambizioni di chi dirige» (p. 55). Il lavoro d’archivio fra carte inedite riserva d’altronde sempre elementi di indubbio interesse, e dalle lettere di Barberio emerge con forza anche il tema intimo della famiglia lontana, che evidenzia la centralità rivestita dalla corrispondenza, come strumento di ancoraggio psicologico e morale a quella realtà stravolta dalla trincea. Le lettere di Barberio, proprio come suggerisce il titolo del libro, rappresentano dunque un tentativo di resistere, aggrappandosi alle minuzie della dimensione famigliare, fra problemi, ricordi e speranze di ritorno.

Benché si tratti di uno studio particolaristico, che in verità poco aggiunge alla “grande” e oggigiorno vastissima storiografia della Prima guerra mondiale, la ricerca alla base del volume di Ferraro dimostra comunque un certo interesse e, pur mantenendosi nei confini di una biografia, contribuisce non senza perizia a descrivere le venture comuni dell’umanità in guerra, sia al fronte che in prigionia. Il volume si pone infatti sulla scorta di quella pratica storiografica, oramai diffusa anche in ambito accademico – come fra le altre cose nota Gibelli nella prefazione – che riserva uno spessore relativamente importante a questa tipologia di fonti private, la cui natura tipica (e la conseguente difficoltà di reperimento o studio) si rende per certi versi essenziale per contestualizzare i particolari minori all’interno della storia generale degli eventi principali.

Merito maggiore del volume resta in definitiva il contributo documentale all’esperienza della prigionia dei soldati italiani in Ungheria, argomento sostanzialmente poco studiato, soprattutto per gli ostacoli imposti tanto dalla scarsità di fonti che di quella di riscontri documentali, memorialistici e non, che però, fortunatamente, l’archivio privato Barberio è stato in grado non solo di preservare, ma di fornire allo studio dell’a. e, di conseguenza, allo studio degli interessati.