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Francesca Trivellato, “Ebrei e capitalismo”

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Francesca Trivellato, Ebrei e capitalismo. Storia di una leggenda dimenticata. Roma-Bari: Laterza, 2022. pp. 368

Le polizze d’assicurazione e le lettere di cambio furono sconosciute all’antico diritto romano e sono un’invenzione postuma degli ebrei, secondo l’osservazione di Giovanni Villani nella sua storia universale. (p. 14)

Così scriveva il giurista francese Étienne Cleirac nel suo manuale di diritto marittimo Us et coustumes de la mer, pubblicato a Bordeaux nel 1647 e destinato a grande successo. Tale affermazione, che fino a quel momento non aveva trovato spazio nella letteratura antigiudaica, è al centro del libro di Francesca Trivellato che ne segue la fortuna nell’arco di tre secoli, sviluppando la propria ricerca in tre fasi.

Nella prima, che si concentra sul XVII secolo, l’autrice ricompone la nascita e le ragioni di questa leggenda e la sua fortuna nella Francia del tempo. I riferimenti di Cleirac non avevano nessun fondamento documentabile: l’assicurazione marittima e la lettera di cambio circolavano già ben prima dell’epoca indicata per la loro creazione e nell’opera dello storico fiorentino Giovanni Villani non c’era nessun accenno a questa invenzione. L’idea che gli ebrei non fossero responsabili solo della pratica usuraria, come sosteneva la tradizione antigiudaica, ma anche inventori di strumenti finanziari raffinati spostava il loro ruolo all'interno delle trasformazioni radicali che avevano investito l’economia francese ed europea a partire dalla seconda metà del XVII secolo. Francesca Trivellato ipotizza che l’inizio di tale storia stia al centro di una serie di fenomeni che coinvolgevano la Francia del XVII secolo: dal commercio globale, all’arrivo di mercanti portoghesi a Bordeaux, fino all’allentamento da un punto di vista giuridico e sociale dei tradizionali legami fondati sull’appartenenza di ceto. Il diritto marittimo, oggetto dell’analisi di Cleirac, era parte di queste trasformazioni profonde dell’economia e della società francese: il giurista bordolese prendeva atto dei necessari mutamenti, ma metteva in guardia dai possibili pericoli che il superamento dei tradizionali confini giuridici e sociali poteva portare. Il trattato era costellato di riferimenti a mercanti stranieri i quali erano portatori di comportamenti dannosi per la nuova strada imboccata dalla Francia. Il riferimento agli ebrei e al loro ruolo nell’invenzione della lettera di cambio e dell’assicurazione marittima diventava, secondo Francesca Trivellato, una metafora attraverso la quale Cleirac interpretava le trasformazioni dell’economia francese dell’epoca. L’autrice inserisce la sua analisi all’interno di quel filone di ricerche, tra le quali spiccano i lavori di Giacomo Todeschini, per cui le riflessioni cristiane (economiche, teologiche e giuridiche) sul ruolo degli ebrei nell’economia delle società europee rappresentavano «il modello negativo su cui misurare la condotta economica di tutti». (p. 46).

La seconda fase si concentra sui due secoli successivi. Nel pieno Settecento la leggenda si trasformò a seconda dell’atteggiamento che gli autori e la società cristiana avevano nei confronti dell’ebraismo. Ne Lo Spirito delle leggi (1748) Montesquieu ribaltò la negatività di questa credenza: gli ebrei innescarono una trasformazione positiva nell’economia europea con l’invenzione della lettera di cambio. Secondo Trivellato tale affermazione non era un segno di filosemitismo, quanto piuttosto un altro aspetto dell’uso della metafora ebraica, questa volta in chiave positiva e rivolta contro la Chiesa di Roma, rappresentante dell’oscurantismo più radicale nel Medioevo. Il passo ritornerà a sottolineare la negatività dell’invenzione nella seconda metà del secolo, in coincidenza con il dibattito sulla emancipazione, vale a dire sulla acquisizione dei diritti di cittadinanza da parte degli ebrei. L’infedeltà economica e religiosa che aveva escluso gli ebrei dalle élites che governavano città e Stati, veniva ora declinata attraverso l’uso della leggenda come una minaccia alla patria. (pp. 170-71).

La terza parte del libro si concentra sulla fortuna di questo falso convincimento tra il XIX e il XX secolo e in particolare all’interno del dibattito sulle origini del capitalismo tra Max Weber e Werner Sombart. Quest’ultimo, in particolare, nel suo libro del 1911 Gli ebrei e la vita economica, costruito come una critica radicale del capitalismo, aveva riconosciuto negli ebrei «i protagonisti di tutte le innovazioni nella finanza pubblica e privata europea», compresa la lettera di cambio. (p. 223) Sebbene egli individuasse nel XVI secolo l’epoca del maggior contributo di questi ultimi, e in particolare dei mercanti sefarditi, sottolineava che era stata la natura stessa dell’ebraismo ad aver spinto il suo popolo verso il commercio. La leggenda, dunque, si saldava con le posizioni tradizionali dell’antisemitismo, usando il ruolo degli ebrei all’interno dell’economia europea come una metafora per criticare aspetti della vita economica o per mettere in guardia dalla degenerazione di alcuni comportamenti. Il risultato era comunque il medesimo: l’ebraismo era una minaccia per la società. Il dibattito sulle origini del capitalismo si ampliò, le teorie che lo vedevano nascere all’indomani della Riforma e del mercantilismo vennero messe profondamente in discussione da storici che riconoscevano nei secoli dal X al XIII e nell’affermarsi delle città mercantili il momento di svolta dell’economia europea. In questo contesto la leggenda di Cleirac perse ogni valore, gli ebrei, secondo la ricostruzione dell’autrice, vennero progressivamente marginalizzati all’interno della storia della costruzione della nuova società europea. Nonostante le critiche ricevute e nonostante le dimostrazioni della falsità dell’invenzione della lettera di cambio, però, le tesi di Sombart e in particolare il ruolo che gli ebrei avevano avuto nella finanziarizzazione dell’economia europea rimasero vive nei decenni successivi.

Il libro di Francesca Trivellato si colloca all’incrocio di diverse riflessioni sulla storia europea, non solo economica. La ricostruzione della nascita e della fortuna della leggenda di Cleirac permette all’autrice di analizzare attraverso l’uso della ‘metafora ebraica’ una parte del dibattito europeo (non solo francese) sulle trasformazioni che l’economia mercantile impresse alla società di antico regime e di registrare le inquietudini, ma anche le aspettative, che questi mutamenti portavano con sé. Ma tali riflessioni non erano solo metafore, la ricerca di Trivellato cerca di dimostrare che l’uso di tali strumenti retorici ebbe una ricaduta per la riflessione cristiana sul contributo ebraico all’economia europea. La leggenda, infatti, anche nella versione positiva di Montesquieu, era, secondo Trivellato, «un’affermazione a doppio taglio: da un lato avvalorava la loro capacità di resistenza di fronte a infauste circostanze, dall’altro rischiava di inchiodarli nel ruolo di mercanti sempre un passo più avanti dei loro rivali» (p. 242). Le reazioni degli storici, cristiani ed ebrei, alla diffusione di ragionamenti sulla minaccia che gli ebrei avrebbero rappresentato per l’economia europea, (compresa l’invenzione della lettera di cambio) contribuirono a marginalizzare il loro apporto, cancellandoli di fatto dalla storia economica continentale e dunque dalla storia generale europea. I mercanti sefarditi, ebrei o cristianos nuevos, giocarono un ruolo determinante nel periodo in cui l’economia europea si trasformò tra XVII e XVIII secolo. Molti Stati avviarono politiche per attirare questi mercanti dentro i propri confini, superando le tradizionali diffidenze religiose. Tali approcci attivarono anche discorsi teorici sull’utilità degli ebrei per l’economia globale (si pensi a Simone Luzzatto, Menasseh ben Israel e John Toland) che però non menzionarono mai la leggenda dell’invenzione della lettera di cambio. Giustamente Trivellato ricorda che fu un outsider della storia ebraica come Jonathan Israel (in un testo del 1985 The Jews in the Era of Mercantilism) ad affermare la funzione degli ebrei come mercanti, banchieri e amministratori nell’economia europea, indicando il XVI e XVII secolo come l’epoca di trasformazione del loro ruolo, non legata a qualche peculiarità insita nel popolo ebraico, ma al «sommovimento politico e spirituale che sconvolse l’intera cultura europea alla fine del sedicesimo secolo» (p. 243).

L’invenzione di Cleirac e la sua diffusione si inseriscono anche all’interno di ricerche che in questi anni hanno riconosciuto nel discorso antigiudaico non tanto un attacco agli ebrei reali che vivevano nei luoghi in cui questi discorsi erano prodotti, quanto uno strumento rivolto contro un ebraismo immaginario che incarnava di volta in volta questioni e problemi interni alla società cristiana (si pensi per esempio al testo di David Nirenberg, Antigiudaismo. La tradizione occidentale, Roma, Viella, 2016). In questo senso, dunque, l’analisi di Sombart sul ruolo determinante degli ebrei e, in particolare, dei mercanti sefarditi sulle origini del capitalismo europeo (e a cui, secondo il sociologo tedesco, il mondo calvinista/anglosassone si sarebbe ispirato) rappresenterebbe sì un capitolo della fortuna della leggenda di Cleirac, ma anche, e forse soprattutto, un attacco diretto di un conservatore alle trasformazioni che il capitalismo aveva impresso alla società tedesca dei primi del Novecento.

C’è un ultimo aspetto da sottolineare, e che forse sarebbe stato opportuno mettere più in evidenza. L’età moderna fu un’epoca in cui i discorsi sull’ebraismo si moltiplicarono in tutti gli ambiti del sapere, non solo in economia. La teologia, la giurisprudenza, la politica, la filosofia fecero confronti serrati con la tradizione ebraica principalmente per indagare le tensioni a cui esse erano sottoposte in un periodo di profonde trasformazioni a tutti i livelli. Si pensi solo all’uso che fu fatto della tradizione ebraica nella discussione politica: Jean Bodin, per esempio, nella République (1576) indicò gli ebrei come coloro che avevano insegnato a tutti gli altri popoli l’arte del governo. Un secolo dopo, nell’Inghilterra rivoluzionaria, la tradizione ebraica fu al centro dello scontro sulle trasformazioni istituzionali intraprese dopo la decapitazione di Carlo I. Anche in quel caso il dibattito pubblico europeo fece uso della ‘metafora ebraica’ per discutere questioni che non avevano nulla a che fare con gli ebrei, ma riguardavano invece i radicali cambiamenti della società (come, per esempio, la possibilità di condannare a morte un re).

Il libro di Francesca Trivellato conferma l’uso discorsivo dell’ebraismo nella cultura europea dell’età moderna, ma spinge la questione più avanti, inserendola nella più ampia discussione sul posto che gli ebrei hanno avuto all’interno della storia europea. L’interpretazione del loro ruolo economico (per la maggior parte interno alla società cristiana) ha contribuito a marginalizzarli nella storia economica europea e la conseguenza principale è stata quella di «separare la storia degli ebrei dalla storiografia generale, consegnandola a un’area a sé stante delle scienze sociali e umanistiche, in cui, ancora oggi, è raro che si avventuri chi non ne sia uno specialista» (p. 235). Questo tipo di ricerche ci permette di accorciare questa distanza, e ci fornisce alcuni strumenti utili per spezzare il suo isolamento.