Storicamente. Laboratorio di storia

Dossier

Sacrificio e violenza sacra nella propaganda crociata di età avignonese: Marino Sanudo e l’immagine della Terra Santa

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Abstract

After reviewing the scholarly debate on the sacralization of war and the symbolic centrality of Jerusalem in the notion of crusade, this essay focuses on the propagandistic elaboration of the Holy Land image in the context of the debates of the Avignon period, paying specific attention to the works of Marino Sanudo. In this context, the temporal distance from the first crusades and the need to assert continuity with their tradition enhance the recovery of the image of Jerusalem, the place of Christ’s sacrifice and of the crucesignatus’s military and penitential itinerary.

Premessa

Nell’ambizioso testo concepito per illustrare al papa e al mondo latino il suo progetto di crociata, il veneziano Marino Sanudo il Vecchio (1270 ca.-1343 ca.) descrive la Terra Santa come «più degna» di tutte le altre terre «per la salvezza del popolo umano»: infatti, egli aggiunge, «il nostro Redentore ne ha voluto fare l’ombelico della terra e va tenuta in maggior reverenza che qualsiasi altra parte del mondo» [1]. Nei lunghi anni in cui Sanudo lavorò alla redazione e alla diffusione del suo trattato, il mondo stava lentamente cambiando: per quanto Gerusalemme e la Terra Santa continuassero ad occupare una posizione di primissimo piano nel dibattito intorno alla crociata e nella vasta letteratura de recuperatione prodotta a cavallo tra Due e Trecento, tali obiettivi dovevano gradualmente allontanarsi dalle priorità strategico-militari del Mediterraneo orientale e delle ambizioni politiche del mondo latino. Eppure, la crociata in Terra Santa costituiva un orizzonte tanto potente e seduttivo da non potervi ancora rinunciare. Prendendo avvio dalla riflessione storiografica intorno alla sacralizzazione della guerra e alla centralità simbolica di Gerusalemme nell’intendimento della crociata, questo saggio riconsidera la peculiare rielaborazione propagandistica dell’immagine della Terra Santa in età avignonese, segnatamente nell’ambito di quelle discussioni sulla crociata e sulle modalità della sua realizzazione che furono promosse negli ambienti della corte dei papi nella prima metà del Trecento. In questo contesto, la distanza temporale dalle prime spedizioni in Terra Santa e l’urgenza di collocarsi in continuità con la loro tradizione alimentarono il recupero dell’immagine di Gerusalemme come luogo simbolico e materiale del sacrificio di Cristo così come del percorso a un tempo militare e penitenziale del crucesignatus.

La crociata a Gerusalemme nel dibattito storiografico

Ormai molti studi hanno guardato all’elaborazione del concetto di guerra sacra e alla sua complessa stratigrafia tra il tardoantico e i secoli centrali del medioevo, illustrando la pregnanza delle connotazioni sacrificali sottese alle idee di violenza santa, morte in guerra e liceità della guerra di religione [2]. Se i prodromi di una transizione medievale verso la sacralizzazione della guerra sono stati ravvisati sin dall’VIII secolo, furono le crociate a marcare un passaggio determinante nell’elaborazione del discorso cristiano sulla violenza. L’annullamento del nemico (infedele o eretico), la morte del crociato come veicolo penitenziale dal valore salvifico, la sacralità della sua missione in quanto miles Christi sono motivi spesso riconducibili alla semantica del sacrificio, foraggiati dalla pregnanza dell’obiettivo di riconquista dei luoghi santi e del Sepolcro. Ne sono emerse nell’ultimo secolo chiavi di lettura che hanno conferito enfasi diversa alla Terra Santa e a Gerusalemme quali obiettivi centrali della missione crociata [3].

Nel 1935 compariva la pionieristica analisi di Carl Erdmann intorno alle origini dell’idea di crociata: uno studio di ampio raggio, che avrebbe influenzato a lungo il dibattito storiografico, sul modo in cui le guerre diventarono legittime, sui rapporti tra Chiesa e guerra e sulla fondazione storica dell’etica occidentale della guerra. Delineando una prospettiva nella quale i confini e le differenze tra la crociata e le altre guerre sante apparivano volutamente sfumati, lo studioso tedesco ridimensionava drasticamente anche la centralità simbolica di Gerusalemme tanto esaltata dalla storiografia ottocentesca, evidenziando piuttosto la matrice affatto occidentale dell’idea di crociata e individuando uno snodo centrale del processo di sacralizzazione della guerra nell’età di Gregorio VII, alla convergenza tra impulsi dei circoli riformatori, motivazioni sottese alla lotta per le investiture e ambizioni delle élites cavalleresche (Erdmann 1935).

Su posizioni sensibilmente diverse si assestavano invece le riflessioni (tra loro contemporanee, ma raccolte e pubblicate in momenti diversi) di Paul Alphandéry (1954-59) ed Étienne Delaruelle (1980), i quali associavano inestricabilmente l’“idée de croisade” alla meta gerosolimitana: il primo vedendo nella crociata un moto popolare collettivo ispirato da un intenso entusiasmo escatologico centrato sull’immagine di Gerusalemme, il secondo enfatizzando la portata penitenziale e salvifica dell’impresa crociata, condivisa da tutto il popolo cristiano e alimentata da elementi tradizionalmente associati alla città santa come il pellegrinaggio, la croce e l’indulgenza.

Sulla scia di queste riflessioni, l’essenza e lo sviluppo dell’idea di guerra santa nel pensiero medievale hanno continuato a essere oggetto d’indagine, producendo letture assai diversificate. Modificando sostanzialmente l’impostazione erdmanniana, Hans Mayer (1965) identificava così la destinazione Gerusalemme (connessa in particolare al pellegrinaggio e alle indulgenze) come elemento davvero connotante della crociata, evidenziando l’onnipresenza della città santa nelle fonti ed escludendo dunque dal concetto di crociata le spedizioni dirette verso altri obiettivi. Su questa linea, la sua storia delle crociate si interrompeva significativamente al 1291, con la caduta di Acri e la perdita degli ultimi possedimenti franchi in Outremer, scartando le spedizioni successive a quella data in quanto eccentriche rispetto alla Terra Santa. Negli stessi anni, anche John Cowdrey ([1970] 1984, xvi) riteneva che la liberazione di Gerusalemme fosse un obiettivo sin da subito centrale nell’intendimento papale della crociata.

Raccogliendo l’eredità di Erdmann, ma prendendone le distanze su molti punti, Jean Flori si è più recentemente soffermato sulla protostoria delle crociate, nella convinzione che esse affondassero le loro radici concettuali in quel lungo processo di sacralizzazione della guerra che occorre predatare, a suo avviso, ai due secoli precedenti l’avvio delle spedizioni, reperendone passaggi di particolare rilievo nello stato carolingio, nelle paci di Dio, nel culto dei santi, nella riforma gregoriana. Tra i molti elementi fondativi di un’idea di crociata veramente poliedrica, Flori sottolinea il valore di quelli connessi al recupero di Gerusalemme, «la città santa e la tomba di Cristo, cuore della sua eredità, culla del cristianesimo, luogo santo per eccellenza, fonte di grazia e di salvezza, vero e proprio centro mitico della cristianità». In definitiva, aggiunge lo studioso, «nessun’altra impresa di riconquista poteva fregiarsi di una simile dimensione di sacralità» (Flori 2003, 378 e 336-45).

Se una parte della storiografia ha dunque privilegiato un’idea di crociata incardinata sulla riconquista e sulla difesa di Gerusalemme, altri propendono invece per una lettura plurale, imperniata su una molteplicità di elementi religiosamente e istituzionalmente caratterizzati e sulla diversità dei teatri di guerra coinvolti [4]. Tra gli altri, Jonathan Riley-Smith (1977) ha messo in risalto il valore penitenziale della crociata – un pellegrinaggio armato tale da assicurare la remissione dei peccati – ma soprattutto il ruolo dell’autorità preposta a lanciarla, il pontefice. L’autorizzazione papale, in quanto manifestazione della volontà stessa di Cristo, doveva acquisire un rilievo centrale nella connotazione delle crociate, a prescindere dalle loro diverse destinazioni. Simili letture si aprivano così a prendere in considerazione una molteplicità dei teatri di guerra (la regione siro-palestinese come l’Egeo, la Spagna, la Linguadoca, la Boemia, il Baltico, l’Italia), di obiettivi (infedeli, eretici, avversari politici) e di ambiti cronologici (tali da dilatarsi ben oltre la fine del XIII secolo). Nell’ambito di una concezione ampia e plurale di cosa fossero le guerre crociate, l’interesse della storiografia recente si è così concentrato in maniera crescente sulle “crociate tardive”, dilatando gli orizzonti cronologici e geografici della ricerca e rimodulando l’indagine sulla guerra santa, tra continuità e trasformazione [5].

Gerusalemme, la crociata e la storia
nella riflessione di Marino Sanudo

Espressione di un mondo in trasformazione, la letteratura scaturita dal dibattito sulla crociata nel XIV secolo continuava a nutrirsi di simbologie persistenti e ricostruzioni idealizzate, spesso associate all’immagine liturgica di Gerusalemme e alla funzione svolta dal «processo di sacralizzazione dei luoghi santi» nella pietà e nel pensiero cristiano (Campopiano 2020, 1-24). Il periodo successivo alla caduta di Acri in mano ai Mamelucchi e alla perdita irreversibile dei possedimenti franchi in area siro-palestinese (Musarra 2017) costituisce così un osservatorio di primo piano sul tema della riattualizzazione della crociata e della centralità simbolica di Gerusalemme alla fine del medioevo. Nel corso del Trecento, infatti, il progetto di recuperare la Terra Santa andò facendosi gradualmente più irreale e divergente rispetto alle effettive ambizioni politiche, militari ed economiche della cristianità latina, incorrendo in un primo sostanziale fallimento nel 1336, fino ad eclissarsi definitivamente dopo il 1369-70. Nondimeno, la propaganda crociata avrebbe continuato a lungo ad alimentarsi del mito di Gerusalemme, città terrena ma anche simbolo del mondo redento, centro della missione penitenziale di quei milites che prendevano la croce a imitazione del sacrificio di Cristo (Tyerman 2012b). La centralità simbolica di questo spazio fu ulteriormente corroborata dalla costituzione della Custodia Terrae Sanctae a partire dal 1333 e dall’impulso che i frati del convento del Monte Sion conferirono alla costruzione di una “memoria culturale” dei luoghi santi (Evangelisti 2016; Campopiano 2020; Delle Donne 2022).

Questi temi continuarono a conferire spessore, legittimità e credibilità a piani militari che andavano pian piano alterandosi rispetto a quelli del passato. L’incapacità di realizzare un magnum passagium dopo il 1291, o quanto meno di coordinare una guerra davvero efficace contro i Mamelucchi, poi contro gli Ottomani, mutò progressivamente la natura delle crociate, indirizzandole verso nuovi teatri di guerra, conferendo spazio a leghe e alleanze militari di scala ridotta e aumentando il peso strategico di “piccoli passaggi” preparatori rispetto a una sempre più improbabile campagna in Terra Santa. Se la politica crociata dei papi avignonesi si rivelò un sostanziale fallimento, inibita com’era dai molteplici conflitti che dividevano l’Europa al tempo della Guerra dei cent’anni, la dedizione collettiva al negotium Terre sancte era lungi dall’eclissarsi (Housley 1986; Tyerman 2012a, 841-90). Nel corso del Trecento, il tema del recupero di Gerusalemme e dei luoghi santi continuò anzi a essere oggetto di incessanti discussioni, sollecitando negoziazioni internazionali e ponendosi al centro di una copiosa trattatistica [6]: l’ideologia crociata era ancora profondamente radicata nella mentalità collettiva e non solo negli ambienti intellettuali e diplomatici della curia pontificia e delle grandi corti europee.

Se la retorica dei documenti pontifici era refrattaria ai cambiamenti, la letteratura de recuperatione doveva invece rispecchiarli fedelmente: il suo scopo era quello di rispondere in maniera empirica alle necessità del tempo presente, illustrando piani militari da realizzare in tempi rapidi e rendendoli più credibili mediante una narrativa traboccante di informazioni logistiche, considerazioni politico-strategiche, stime economiche, osservazioni sugli attori coinvolti nel momento stesso nel quale si scriveva. Nondimeno, la consapevolezza del mutare dei tempi poneva agli autori di questi trattati l’urgenza di allacciarsi idealmente alle imprese del passato. La loro produzione contiene allora un elemento di novità che merita di essere messo in evidenza: lo scarto temporale dalle prime crociate era ormai tale da doverle situare in prospettiva storica, ma non ancora bastevole a prenderne criticamente le distanze, situandole pienamente nel passato. Come si riflette la lontananza dalle prime campagne militari in Terra Santa nella riproposizione di un modello di guerra sacra alla fine del medioevo? Come contribuisce la storia a esaltare la centralità di Gerusalemme in seguito alla perdita irreversibile dei luoghi santi?

Simili domande consentono di rileggere alcuni trattati de recuperatione che, come quello del veneziano Marino Sanudo, ricorrono ampiamente alla narrazione storica a sostegno del progetto strategico-militare che intendono presentare. Nell’ambito di questa produzione strategico-propagandistica, il ricorso alla storia delle crociate consente infatti non solo di strutturarne la memoria, ma anche di riattivare la partecipazione e il coinvolgimento emotivo nei confronti del progetto presentato, conferendo a quest’ultimo una rinnovata validità e al contempo distinguendolo dagli altri.

Appartenente a un’importante famiglia di mercanti veneziani e figlio di un membro del Senato, Marino Sanudo dictus Torxellus si distingue, tra i propagandisti trecenteschi della crociata, per la conoscenza diretta del Mediterraneo orientale, acquisita in occasione di molteplici e prolungati soggiorni in Romania e in alcune porzioni della Grecia allora sotto il controllo latino: a quanto riferisce, egli attraversò il mare cinque volte, visitando il Principato di Acaia e il Ducato di Nasso oltre a Cipro, Alessandria, l’Armenia, Rodi, Acri [7].

Nel 1309, ad Avignone, Sanudo consegnò a Clemente V una prima versione del suo progetto crociato, dal titolo Conditiones Terrae Sanctae. Nell’ambito di una complessiva revisione effettuata negli anni seguenti, egli avrebbe poi integrato questo primo testo mediante ampie esposizioni di argomento strategico-militare e soprattutto storico. Ne risultò un trattato molto più esteso, dal titolo Liber secretorum fidelium Crucis, che il veneziano sottopose a Giovanni XXII nel 1321, per poi rimaneggiarlo ulteriormente in seguito all’esame di una commissione pontificia [8]. Del nuovo testo, articolato in tre libri, il primo comprende una versione ampliata delle Conditiones, nella quale è esposta nel dettaglio l’opportunità di realizzare un blocco mercantile ai danni dell’Egitto. Il secondo libro si concentra sull’attacco militare da sferrare al cuore del Sultanato mamelucco, un obiettivo ritenuto imprescindibile per potersi poi rivolgere alla Siria con il supporto delle forze il-khanidi e procedere infine alla conquista di Gerusalemme e dei luoghi santi: obiettivo, quest’ultimo, da perseguire grazie all’intervento dei crucesignati. Il terzo libro contiene invece un’estesa e dettagliata storia della Terra Santa: nei lunghi anni dedicati alla stesura del Liber secretorum, Sanudo si allinea così alle scelte di altri propagandisti della crociata che, come Fidenzio da Padova e Hayton da Korykos, si erano ampiamente avvalsi della narrazione storica a sostegno dei loro progetti militari [9].

Lo scopo del veneziano è infatti quello di istruire i crociati su come preservare le terre strappate al Sultanato: è con questo intento che egli predispone ampie e dettagliate ricostruzioni della storia della Terra Santa, dell’Egitto e della Siria dai tempi biblici fino al 1301, che si pongono al centro dell’impianto narrativo del terzo libro e trovano sostegno nell’apparato cartografico realizzato in collaborazione col genovese Pietro Vesconte, oggi conservato in nove manoscritti (Degenhart e Schmitt 1973; Vagnon 2013, 131-70). Un importante impulso alla realizzazione di questo testo sarebbe derivato anche dalla proficua e intensa collaborazione avviata da Sanudo con lo storico minorita Paolino da Venezia (1270-1344 ca.), suo concittadino e autore di tre cronache universali (Epithoma, Chronologia magna e Satirica ystoria) dotate di apparati iconografici e, in alcuni casi, cartografici, largamente imperniate sulla storia dell’Oriente cristiano e delle crociate. Nominato penitenziere apostolico e membro della commissione nominata da Giovanni XXII per esaminare il Liber secretorum nel 1321, Paolino dovette infatti affiancare Sanudo ad Avignone nel contesto delle successive revisioni dell’opera, dando avvio a prestiti reciproci [10].

Attingendo ampiamente alle Scritture, ai testi classici e patristici (Cicerone, Flavio Giuseppe, Seneca, Agostino, Isidoro, Beda), alla cronachistica crociata e a quelli che erano divenuti gli imprescindibili punti di riferimento sulle storie d’Oriente agli inizi del Trecento (Jacques de Vitry, Guglielmo di Tiro, Vincent de Beauvais, Burcardo da Monte Sion, Hayton da Korykos) [11], Sanudo realizza una compilazione assai estesa, densa e colma di dettagli, ordinati per sequenze cronologiche e tematiche ma solo a tratti inseriti entro un impianto critico o analitico che ne illustri il significato: Arturo Magnocavallo (1901, 146-7) la trovò «monotona e noiosa», complessivamente «di uno scarso valore». Al di là della qualità stilistica e narrativa di tali digressioni, quale è la loro funzione nell’ambito del trattato? Che compito è assegnato alla storia nel progetto sanudiano? Alcune risposte attendibili risiedono nell’intento educativo e di intrattenimento che caratterizza il terzo libro, congiuntamente a una concezione didattico-esemplare della storia, intesa dall’autore come maestra per future imprese. Lo sguardo al passato si fa infatti «ammonimento per le future generazioni» [12], poiché è teso a prevenire il ripetersi di quegli errori che portarono in più momenti alla perdita dei luoghi santi. Si tratta dunque di passare al setaccio la storia, allo scopo di offrire «infallibili e vere istruzioni per preservare, mantenere e possedere la Terra promessa contro gli attacchi degli infedeli una volta conquistata dalle mani dei Saraceni» [13]. Infatti, puntualizza ancora l’autore in apertura al terzo libro, «dai racconti e dalla storia possiamo vedere quando la Terra Santa finì nel giogo della perdizione e quando abbandonò il rito cristiano», apprendendo come «salvare questa terra dalla forza degli infedeli e mantenerla per sempre» [14].

Ma la narrazione storica è investita anche di una missione legittimante di natura più sostanziale nell’impalcatura della riflessione sanudiana: il suo compito è in ultima analisi quello di avvalorare e santificare il progetto di guerra proposto, situandolo appieno nel lungo corso della storia della Terra promessa. È anche in questa prospettiva che l’autore ridisegna entro un quadro coerente e unitario le vicende dei luoghi santi, ripercorse attraverso le fasi salienti della storia vetero e neotestamentaria, della nascita ed espansione dell’islam, poi delle guerre crociate: il progetto militare delineato nelle prime due sezioni del Liber viene così saldamente allacciato alla memoria biblica di Gerusalemme, alle condizioni dei luoghi santi di fronte alle conquiste islamiche e alle numerose spedizioni dei crucesignati, acquisendo una rinnovata legittimazione. Per quanto perfettamente allineata con le precedenti campagne in Terra Santa, la crociata sanudiana tuttavia se ne differenzia, configurandosi come ultima e definitiva: qualora siano seguiti i consigli dell’autore, l’impresa da lui progettata consentirà infatti di riconquistare l’area siro-palestinese in maniera davvero definitiva [15].

Sanudo si sofferma così sull’intero corso storico della terra promessa, luogo della creazione, origine di tutte le genti del mondo, sede prescelta dell’incarnazione e della passione di Cristo, testimone di innumerevoli eventi di segno diverso che ne ribaltarono in continuazione i destini: dalla diversa sorte dei figli di Noè alle gesta dei re di Israele, dalle battaglie eroiche di Giuda Maccabeo alla «crudele ed empia persecuzione di Cristo e degli apostoli», fino alla distruzione del tempio di Gerusalemme da parte dei Romani [16]. La storia della Terra Santa viene poi ripercorsa attraverso le vicissitudini dell’Orientalis ecclesia, messe in rapporto con l’avvento di Maometto, con le conquiste islamiche e la conseguente disgregazione di molta parte dell’Impero romano d’Oriente [17]. La transizione verso la storia della riconquista cristiana dei luoghi santi è anticipata dalla venuta di Carlo Magno in Palestina, quasi un proto-crociato invocato dal patriarca di Gerusalemme, e dai prodigi scaturiti attorno alle reliquie da lui portate in Occidente [18]. Si approda così alla sezione più estesa del resoconto storico di Sanudo, quella dedicata alla storia delle crociate, che occupa buona parte del terzo libro: la Terra Santa diviene in questo contesto il teatro dell’eroismo militare, ma anche delle difficoltà incontrate dai crociati, le cui spedizioni vengono ripercorse dall’epoca di Pietro l’Eremita e di Goffredo di Buglione fino al tempo in cui scrive l’autore, contemporaneo della caduta di Acri [19].

L’incipit di questa narrazione è significativamente assegnato al pellegrinaggio di Pietro l’Eremita al Sepolcro di Cristo, durante il quale il pio visitatore poté constatare di persona l’abiezione di Gerusalemme e dei luoghi santi, per poi ricevere in sogno una rivelazione divina che lo designava come ambasciatore presso il papa e i principi occidentali in vista della liberazione della Terra Santa [20]. Ne deriva la narrazione delle diverse tappe della prima crociata, culminata nella conquista di Gerusalemme e nella costituzione degli Stati latini. Le alterne vicende che contrassegnano la storia della regione sono poi ripercorse seguendo la scansione cronologica degli eventi che portarono ora alla sua fioritura politica, ecclesiastica e religiosa, ora alla caduta di Gerusalemme nelle mani di Saladino, attribuita alla corruzione morale dei cristiani e deplorata in un’accorata lamentatio colma di riferimenti scritturali [21]. Dalla costernazione della cristianità tutta di fronte alla perdita della città santa e della reliquia della Vera Croce scaturisce il dettagliato resoconto delle successive spedizioni dei crucesignati in Terra Santa, dal viaggio di Federico Barbarossa, Filippo Augusto e Riccardo Cuor di Leone fino alle gesta di re Luigi IX, ripercorse sullo sfondo delle alleanze, dei giochi dinastici e delle rivalità che accompagnano la storia degli Stati latini d’Oltremare. La caduta di Acri e dei possedimenti latini in Terra Santa sullo scorcio del XIII secolo chiude la lunga esposizione con l’ammonimento a seguire Dio, essendo tali perdite attribuite in primo luogo alla corruzione morale dei cristiani e al loro allontanamento dalla grazia divina [22].

Gerusalemme e la Terra promessa costituiscono il cuore della narrazione storica di Sanudo, configurandosi come obiettivi prioritari di una guerra santa non dissimile, per ambizioni di conquista e per vocazione spirituale, dalle campagne lanciate da Urbano II. La missione dei primi e degli ultimi crucesignati appare così santificata dalla comune destinazione, i luoghi eletti da Cristo e bagnati dal suo sangue. Sin dal prologo del Liber secretorum viene evidenziato a chiare lettere il carattere di sacralità del negotium Terre sancte. La Terra promessa è infatti presentata come il luogo nel quale si incrociano i momenti fondativi della storia della salvezza, dalla creazione del genere umano fino al Giudizio:

Infatti a Ebron fu formato Adamo, il primo padre del mondo terreno. A Gerusalemme il Signore fu crocifisso per la redenzione di un servo; per un peccatore, innocente: per il fango, Dio. Vicino, Gioele testimoniò che il Signore riunirà tutte le genti e le condurrà nella valle di Giosafatte e le giudicherà [23].

In linea con un’immagine omiletico-liturgica di lunghissima data, nell’esposizione di Sanudo Gerusalemme richiama immediatamente i luoghi della Passione e la centralità del sacrificio di Cristo nell’economia della salvezza: «Egli», puntualizza il veneziano, «mostrò la necessità di acquisire la redenzione mediante il proprio sangue, salendo sulla Croce, quando disse “Colui che non porta la propria croce e viene dietro a me, non può essere mio discepolo” (Lc 14,27)» [24]. Attratti dall’amore del «primo principe» come l’agnello dal seno della madre o il ferro dal magnete, e spronati al contempo dal timore del Giudizio, i fedeli si volgeranno dunque al Signore facendo ritorno in quella terra. Avendola ottenuta «per diritto di guerra o avendola acquisita», aggiunge il veneziano adottando la prima persona plurale, «quando arriverà il Giudizio finale non ci troveremo là come “stranieri né ospiti, ma concittadini dei santi e familiari di Dio” (Ef. 2,19)» [25]. Ecco che il ritorno a Gerusalemme e la riconquista dei luoghi santi sono pienamente inseriti nel dispiegarsi della storia cristiana. Non vi è destinazione che possa essere più degna e nobilitante: infatti «Dio ama questa terra con maggior benevolenza e intimità che le altre» [26].

La memoria dei luoghi santi e la predicazione della crociata: osservazioni conclusive

Il rapporto tessuto nel Liber secretorum tra memoria, guerra santa e centralità di Gerusalemme trovava ampio riscontro nella cornice concettuale della predicazione della crociata e nelle connesse cerimonie liturgiche. Propagandisti di vario genere sapevano bene quanta parte potesse giocare la storia nel plasmare un’immagine pubblica della crociata. Come ben evidenzia Jessalynn Bird, i predicatori dovevano infatti «confrontarsi con il bisogno di situare i singoli crociati e le pratiche crociate entro una concezione sacra e profana del tempo», ricorrendo alla storia della salvezza e alla successione dei regimi terreni al fine di presentare la Terra Santa come patrimonio di Cristo da sottrarre alla dominazione islamica (Bird 2017, 15). Malgrado l’ovvia differenza dei generi testuali, importanti elementi di raccordo tra la letteratura de recuperatione e quella omiletica emergono così non solo nella comune finalità propagandistico-persuasiva di queste fonti, ma anche nel repertorio di argomenti utilizzati a sostegno della crociata e nel riferimento alla memoria dei luoghi santi.

Motivi come il santo pellegrinaggio, la redenzione della cristianità attraverso la croce della penitenza, l’imitazione della Passione o il viaggio spirituale verso la Gerusalemme celeste costituivano da oltre due secoli l’essenza della predicazione della crociata. Simili temi ricorrevano in particolare nei sermoni pronunciati in occasione della festa dell’esaltazione della Croce (14 settembre) o durante il periodo quaresimale, segnatamente in occasione della domenica delle Palme, della domenica Laetare Iherusalem o del venerdì santo. Il ciclo liturgico della Quaresima, imperniato sull’evocazione della crocifissione, si prestava infatti particolarmente alla diffusione del messaggio di penitenza e redenzione correlato alle crociate [27].

I predicatori del XIV secolo continuarono a mobilitare simili concetti. Come ha mostrato Constantinos Georgiou (2018), la centralità della Croce, l’esaltazione di Gerusalemme e la presentazione della crociata come sequela Christi sono temi portanti nei sermoni di alcuni contemporanei di Marino Sanudo, come il teologo domenicano Pierre de la Palud o il teologo e canonista benedettino Pierre Roger, futuro papa Clemente VI. In qualità di arcivescovo di Rouen, Pierre Roger fu incaricato nel 1332-33 di alcune missioni diplomatiche presso la corte papale di Avignone per conto di Filippo VI, nel corso delle quali illustrò i progetti crociati del re francese e predicò a più riprese davanti a Giovanni XXII e al concistoro. Una volta eletto papa, egli avrebbe ulteriormente predicato la crociata davanti al collegio dei cardinali. Pur dedicando ampio spazio agli aspetti politico-diplomatici, pratici e finanziari relativi all’organizzazione della crociata, i sermoni di Pierre Roger a noi pervenuti attingono, attraverso Humbert de Romans, al repertorio di temi usualmente mobilitati dai predicatori della crociata [28].

Punto di partenza dell’esposizione di Roger è la deplorazione della profanazione del Santo Sepolcro e dei luoghi santi ad opera dei Saraceni, finalizzata a sollecitare il coinvolgimento emotivo degli astanti e potenziata dal riferimento al lamento di Mattatia di fronte alla distruzione di Israele (2Macc. 2, 7-13). Tale desolazione contrasta radicalmente con l’esaltazione della Terra Santa, la più sacra destinazione, la nostra hereditas, consacrata «dall’essere bagnata del sangue di Cristo e dei martiri», portatrice di salvezza: qui si trovano i luoghi della nascita, della vita terrena e della Passione di Cristo, dove egli «soffrì per noi i gravissimi tormenti della croce», dove fu sepolto e dove infine «giudicherà tutti noi» [29].

«Cosa vi è di più santo, di più glorioso, di più onesto e splendido per un cristiano che andare a Gerusalemme?» [30]. Santificato dalla sua stessa destinazione, il passagium in Terra Santa si configura come bellum Christi, come atto di penitenza e viatico per la salvezza [31]. Questi temi, centrali nella predicazione della crociata, sono ampiamente sviluppati da Pierre Roger, il quale evidenzia a più riprese la portata penitenziale dell’impresa, presentata a un tempo come atto di vendetta e di redenzione, ricompensato dall’eterna beatitudine: «in questa guerra si vince sempre», egli afferma parafrasando Bernardo di Chiaravalle, «perché vincendo si acquisisce l’indulgenza dal peccato e la gloria della vittoria, essendo vinti ci si innalza subito al Regno dei Cieli» [32]. Il crociato si configura dunque come un martire, pronto a incorrere nella morte per vendicare Dio e ottenere così la gloria eterna. Il nesso tra il martirio in bello Christi e la salvezza è ulteriormente ribadito attraverso ripetute citazioni del De laude nove militie di Bernardo di Chiaravalle:

Quale gloria per coloro che tornano vittoriosi dal combattimento! Quanta beatitudine per coloro che cadono martiri sul campo di battaglia! Rallegrati, o forte campione, se vivi e vinci nel Signore; ma ancor più esulta e sii fiero se muori e ti riunisci a Lui [33].

Sempre attraverso le parole di Bernardo, il crociato appare come un «ministro di Dio, vindice di misfatti», che acquisirà la salvezza eterna infliggendo o subendo la morte pro Christo. Il sostegno del papa al negotium Terre sancte è dunque invocato da Pierre Roger «per Cristo, per vendicare le sue ingiurie, per purgare la Terra Santa e i luoghi santi, per il recupero della nostra eredità, per aumentare il culto di Cristo» [34].

L’esposizione di questi temi è imbevuta di riferimenti alla storia sacra e profana, cui Pierre Roger, come qualsiasi predicatore medievale, attinge abbondantemente. Il presente si pone così in dialogo costante con il passato: si tratta di scandagliare gli exempla precedentium, costituiti dai racconti biblici ma anche dalle più recenti hystorie di uomini illustri che combatterono per il recupero della Terra Santa, alla ricerca di figure di comandanti esemplari, eroici guerrieri, martiri della fede (Georgiou 2018, 244). Le storie della lotta eroica dei Maccabei contro i nemici di Israele costituivano ancora il più fecondo repertorio di esempi della guerra condotta dal popolo di Dio contro i nemici della religione (Signori 2012): Roger vi ricorre a più riprese, allo scopo di ratificare ed esaltare l’operato di sovrani e milites cristiani in qualità di protettori della Chiesa contro i musulmani. In quest’ottica egli ritrae se stesso e alcuni leader politici e militari del suo tempo (Filippo VI, Umberto II di Viennois) come nuovi Mattatia, Giosuè o Giuda Maccabeo. Se i riferimenti alle storie veterotestamentarie sono di gran lunga prevalenti, il rapporto di continuità tra le prime crociate e quella nuovamente proposta è tessuto più implicitamente attraverso le molteplici citazioni del sermone di Urbano II a Clermont e del trattato De laude di Bernardo di Chiaravalle: si tratta di reperirvi i fondamenti concettuali di una guerra sacralizzata dalla sua destinazione (ad Iherusalem), dalla sua missione (pro Christo), dalla sua portata penitenziale e salvifica (ad regnum celorum).

Pur scaturendo da un vivace e prolungato dibattito internazionale, i progetti di crociata elaborati nel primo trentennio del Trecento furono incapaci di trovare una realizzazione. Che fosse portata avanti nei trattati de recuperatione o nelle esortazioni dei predicatori, la propaganda crociata di epoca avignonese dovette restare lettera morta, penalizzata com’era dai molti conflitti che frazionavano l’Europa e da una certa estraneità dell’Occidente latino rispetto alla specificità dei contesti orientali. A conferire spessore a questa letteratura era il ricorso a un concetto di violenza sacra ormai di lunghissima data, corroborato dalle Scritture e dal riferimento al modello esemplare delle prime crociate. Mentre aggiornavano linee diplomatiche e disegni militari alla luce delle esigenze strategiche del presente, i propagandisti del tardo medioevo si agganciavano saldamente alla tradizione, mettendo in risalto gli elementi di continuità allo scopo di validare istanze ormai mutate.

In questa prospettiva, la crociata in Terra Santa diventava una irrinunciabile cornice ideale entro la quale far convergere aspirazioni che andavano pian piano modificandosi. Per dirla con Christopher Tyerman, molta parte di quanto viene dibattuto alla corte dei papi avignonesi intorno alla crociata è dunque «vino nuovo in otri vecchi» (Mt 9, 14-17): la centralità della Terra Santa e di Gerusalemme rimane preminente in Occidente, ma nel corso del Trecento si amplifica il divario tra la portata retorica e simbolica di questa immagine e la realtà delle nuove configurazioni politiche, militari ed economiche dell’Oriente mediterraneo (Tyerman 2012b). Se il recupero di Gerusalemme è ancora al centro della letteratura de recuperatione e della produzione omiletica del primo Trecento, esso andrà gradualmente svuotandosi di significato, conservando la propria pregnanza simbolica ma cedendo il passo all’individuazione di nuovi teatri di guerra. La storia contribuisce a cementare il raccordo tra passato, presente e futuro a sostegno di una consolidata immagine di violenza sacra: nelle digressioni storiche di Marino Sanudo o nei riferimenti biblici di Pierre Roger, la memoria della Terra Santa contribuisce così a definire il progetto di bellum Dei presentato agli ambienti della corte avignonese come l’ultima delle crociate e come chiave di volta nell’economia della salvezza [35].

Fonti

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Note

1. «Et quia Terra Sancta dignior existit caeteris aliis ab ipsa distantibus, propter salutem humani generis, qua in ea Redemptor noster tanquam in terrae umbilico voluit operari, valde in maiori, quam aliae huius mundi, reverentia est habenda», Marino Sanudo, Liber secretorum fidelium Crucis, 2, 98 (tutte le traduzioni sono dell’a.).

2. Tra i molti studi sul tema, mi limito a ricordare Morisi Guerra 1963; Russell 1975; Flori 2003; Melloni 2006.

3. Per una ricognizione storiografica, Constable 2001; Tyerman 2011, 216-42. Rimandiamo inoltre alla recente riflessione sui rapporti tra il discorso martiriale francescano e lo statuto del miles Christi offerta in Evangelisti 2006; 2020, 207-62.

4. Sulla distinzione tra la tesi “tradizionalista” e quella “pluralista”, Riley-Smith 1995, 8-12.

5. Dopo Atiya 1938 e Setton 1976-1984, sulle crociate tardive si segnalano in particolare Housley 1986; 1992; 2004; 2010; Weber 2013; Pellegrini 2013; la collana «Croisades tardives» ospitata da Presses Universitaires du Midi.

6. Su questa produzione, Schein 1991; Projets de croisade 2008; Leopold 1998; Mantelli 2013; 2014; Paviot 2014; Musarra 2018.

7. Su Marino Sanudo, Magnocavallo 1901, 19-34; Laiou 1970; Tyerman 1982; Sanudo, Book of the Secrets, 1-11.

8. Per l’edizione del trattato, Sanudo, Liber secretorum, 2, 1-281; una traduzione inglese è offerta in Sanudo, Book of the Secrets. Sulla redazione e sul contenuto del Liber secretorum, Magnocavallo 1901; Cardini 1993, 313-75; Tyerman 1982, 60-1; Leopold 1998, 39-41.

9. Il primo libro si trova in Sanudo, Liber secretorum, 2, 21-33; il secondo ibid., 2, 34-96; il terzo ibid., 2, 96-281; uno schema complessivo dell’opera è offerto dall’autore nella sezione introduttiva, per cui si veda ibid., 2, 10-18.

10. Su Paolino da Venezia rimando in particolare a Golubovich 1906-27, 2, 74-102; Heullant-Donat 1993; Morosini e Ciccuto 2020; sulla sua collaborazione con Marino Sanudo, Degenhart e Schmitt 1973; von den Brincken 1973, 454-9; Vagnon 2013, 131-70; Bueno 2016.

11. Sulle fonti usate nel Liber secretorum, soprattutto nel terzo libro, Sanudo, Book of the Secrets, 6-8.

12. Sanudo, Liber secretorum: «Liber tertius historicus est, et praeterita recitat ad cautelam futurorum», 2, 4.

13. Ibid., 2, 13.

14. «Narrata proinde historia, videre poterimus ob quam causam Terra Sancta aliquando perditionis iugo subiacuit, aliquando extitit Christiano cultui mancipata: propterea id quod super istius negotio est agendum, ad ipsam de infidelium viribus extorquendam, ac in posterum perpetuo retinendam, ex praedictis cognosci poterit clarius et videri», ibid., 2, 98.

15. La quindicesima ed ultima parte del terzo libro è infatti dedicata agli «oportuna remedia pro Terrae Sanctae conservatione contra defectus et errores multiplices superius enarratos», ibid., 2, 262-81.

16. Ibid., 2, 99-120.

17. Ibid., 2, 120-7.

18. Ibid., 2, 127-9.

19. Ibid., 2, 130-243. Attingendo a Vincent de Beauvais e Hayton da Korykos, Sanudo si sofferma nella parte 13, divisa in 11 capitoli, sull’espansione dei Mongoli e sul ruolo da essi giocato negli eventi successivi alla perdita della Terra Santa, ibid., 2, 232-43. Seguono, concludendo il terzo libro, una sezione dedicata alla geografia della Terra Santa e delle regioni circonvicine (ibid., 2, 243-62) e la ricapitolazione conclusiva dei «rimedi opportuni» per conservare la Terra Santa (supra, nota 15).

20. Ibid., 2, 130-1.

21. Ibid., 2, 131-95; il lamento per la perdita di Gerusalemme è a 193.

22. Ibid., 2, 195-232.

23. «In Ebron enim formatus est primus pater orbis terrarum Adam. In Ierusalem pro redimendo servo, crucifixus est Dominus; pro peccatore, innocens; pro limo, Deus. Illuc prope, Ioele teste, congregabit Dominus omnes gentes, et adducet eas in vallem Iosaphat, et disceptabit cum eis», ibid., 2, 8.

24. «Qui dum ibi Crucem, quasi navem, ascendit, redemptis suo sanguine transfetandi ad crucem sumendi necessitatem ostendit, propterea dicebat “Qui non baiulat crucem suam, et venit post me, non potest meus esse discipulus”», ibid., 2, 9.

25. «Portionem terrae illius procuremus habere, aut belli aut emptionis iure, ut in die iudicii inveniamur ibi non “hospites et advenae, sed cives sanctorum et domestici Dei”», ibid., 2, 8-9.

26. «Quam enim propensius, quamque viscerosius caeteris, terram illam diligat Deus, ex proxime dictis manifeste collegimus», ibid., 2, 99.

27. Sulla predicazione della crociata, essenziali Maier 1994; 2000; Cole 1991; Flori 2012; sulle pratiche liturgiche relative alla crociata in Terra Santa, Linder 2003. Per una recente riflessione sul tema del martirio nei sermoni sulla crociata, inoltre, Tamminen 2018, 169-201.

28. Tre sermoni sulla crociata di Pierre Roger/Clemente VI sono editi da Georgiou 2018, 201-68; anche Sanudo, Liber secretorum, 134-87.

29. Georgiou 2018, 236, 206-7.

30. Ibid., 241.

31. «Istud est opus purgativum nostre corruptionis, est exclusivum nostre confusionis, est inflamativum sancte affectionis et incentivum nostre devotionis, est imitativum paterne traditionis, est completivum nostre perfectionis, est directivum et promotivum nostre salvationis», ibid., 240-1.

32. «Per hoc enim opuis peccatum excluditur et celi aditus aperitur. Unde in isto bello semper quisque lucratur, quia si vincit acquirit et peccatorum indulgentiam et de victoria gloriam, si vincitur statim ad regnum celorum evolat», ibid., 247-8.

33. «Quam gloriosi revertuntur victores de prelio! Quam beati moriuntur martyres in prelio! Gaude, fortis athleta, si vivis et vincis in Domino; sed magis exulta et gloriare, si morieris et iungeris Domino», Bernardo di Chiaravalle, Il libro della nuova cavalleria, 152-3.

34. Ibid., 158-61; «Ad litteram enim non petitur istud auxilium pro regni ditatione, pro debitorum aut testamentorum solutione, pro monete melioratione, sed pro Christo, pro iniurie sue vindicatione, pro Terre Sancte et locorum sanctorum mundatione, pro hereditatis nostre recuperatione, pro Christi cultus augmentatione, “pro Christo enim fungimur legatione”», Georgiou 2018, 22.

35. Ringrazio vivamente i revisori anonimi di questo saggio per gli utili commenti offerti.