Piano Ina-Casa
Il piano Ina-Casa fu il primo grande piano di edilizia pubblica che interessò l'intero territorio italiano nel secondo dopoguerra. Il suo ideatore fu Amintore Fanfani che, non a caso, era un componente di spicco del gruppo dossettiano. I "professorini" erano, in Italia, i maggiori sostenitori delle teorie economiche di Keynes, ed avevano come modello di riferimento l'Inghilterra del piano Beveridge. Negli anni immediatamente successivi la guerra il dibattito tra questa gruppo e l'ala liberista della Democrazia Cristiana circa la politica economica del paese e la funzione da assegnare alla spesa pubblica fu serrato; Fanfani, diventato Ministro del Lavoro nel 1947, fu il primo ad avere l'opportunità di sperimentare su vasta scala quanto sostenuto negli anni precedenti. Il piano Ina-Casa si ispirò ad una politica economica opposta a quella deflazionista portata avanti dal Ministro Einaudi: nacque infatti come un moderno intervento di welfare state, per far fronte al problema abitativo, drammaticamente peggiorato dopo le vicende belliche, ma anche per assorbire una consistente quota della massa dei disoccupati attraverso un massiccio investimento di denaro pubblico. Per poter raggiungere questo scopo venne creato un ente ad hoc, l'Ina-Casa, che garantisse efficienza e tempi brevi nella realizzazione dei complessi abitativi. Il piano prese il via nel luglio del 1949 e fino al 1963, anno in cui cessò le sue attività, realizzò 355.000 alloggi in tutta la penisola, assorbendo il 10% delle giornate-operaio di quel periodo.
Il piano Ina-Casa rappresentò quindi l'inizio, la prima tappa della breve stagione riformista che contraddistinse il governo democristiano nei primi anni Cinquanta.