Storicamente. Laboratorio di storia

Dossier

Dalla Calabria al Delta del Po? L’Italia nella prospettiva greca tra IV e III secolo a.C.

PDF
Abstract

This article examines the evolution of the geographical concept of Italy from the Greek perspective between the 4th and 3rd centuries BCE, a crucial period in the transition toward the Roman definition. Challenging the idea of a Hellenic conception rigidly limited to Southern Italy, the analysis demonstrates how Greeks, especially Italiotes, contributed to extending the boundaries beyond the southern area, progressively including Campania, Southern Latium, and possibly territories on the Adriatic coast up to cities like Spina. This conceptual fluidity wasn't due to geographical imprecision, but reflected the intense interactions between the Greek world and Italic populations.

 

L'articolo indaga l'evoluzione della nozione geografica di Italia nella prospettiva greca tra IV e III secolo a.C., periodo cruciale nella transizione verso la definizione romana. Contrastando l'idea di una concezione ellenica rigidamente circoscritta al Meridione, l'analisi dimostra come i Greci, specialmente Italioti, contribuirono all'estensione dei confini della nozione oltre l'area meridionale, includendo progressivamente la Campania, il Lazio meridionale e forse territori sul versante adriatico fino a città come Spina. Questa fluidità concettuale non derivava da imprecisione geografica, ma rifletteva le intense interazioni tra mondo greco e popolazioni italiche.

 

Nel contesto della riflessione sulla costruzione dell’identità italiana, l’immagine dell’Italia romana tende ad assumere un posto di particolare rilievo e centralità. La storia romana ha contribuito in modo significativo a definire un’area geoculturale corrispondente alla penisola italica, diventando un punto di riferimento in vari momenti della costruzione dell’identità nazionale italiana. Questo è avvenuto in diversi contesti: durante il Risorgimento, quando il modello amministrativo dell’Italia di Augusto ispirò l’organizzazione del nuovo stato; durante il fascismo, che si appropriò del concetto augusteo di un’Italia unita e fedele al suo leader, come testimonia il famoso giuramento di fedeltà a cui, secondo Augusto, partecipò tutta l’Italia richiedendolo come condottiero nella guerra contro l’Egitto e Marco Antonio [1]; sempre durante il regime fascista, quando l’Italia della prima guerra punica fu usata per giustificare le ambizioni coloniali in Africa; infine, il retaggio culturale delle popolazioni italiche preromane è stato valorizzato più volte, sin dal Risorgimento, come modello di un pluralismo regionale comunque funzionale all’unità nazionale [2]. Se, da una parte, la nascita dell’idea di un’Italia romana è stata oggetto di numerosi e ampi studi, dall’altra non è naturalmente sfuggito che le radici di questa denominazione furono anzitutto greche. Il nome Ἰταλία fu una creazione lessicale greca (Humm 2010, 39; Simon 2011, 76), così come gli etnonimi Italiotes, che identificava i greci che abitavano l’Italia meridionale, e Italos, impiegato dal V secolo a.C. – con maggiore regolarità nelle fonti greche di età romana, ad esempio da Diodoro Siculo, storiografo vissuto nel I secolo a.C. – per definire le popolazioni non greche nella penisola. Tuttora è dibattuto come e quando sia giunto a compimento il processo che portò Roma a fare proprio il patrimonio culturale collegato a questa nozione geografica, conferendole un importante significato politico. Mentre infatti possiamo riconoscere l’esistenza di una nozione romana di Italia all’epoca delle guerre puniche nel III secolo a.C., è particolarmente difficile tenere traccia del percorso seguito dalla transizione della nozione greca in quella romana, tra IV e III secolo a.C. [3]

Negli ultimi vent’anni, in particolare in prossimità del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, diversi studi sull’Italia antica hanno ripreso la questione proponendo varie soluzioni. È fuor di dubbio che nel II secolo a.C. l’opera politica dei romani giustificasse l’estensione del coronimo all’intera penisola italica: sia nelle Origini di Catone il Vecchio sia nelle Storie di Polibio, le Alpi segnavano ormai il confine dell’Italia dal punto di vista geografico [4]. Rispetto al processo che portò a un progressivo sviluppo dell’Italia, come vedremo si è discusso intorno al ruolo non solo dei Greci, ma anche delle varie popolazioni osco-sabelliche della dorsale appenninica. Inoltre, un punto talvolta dato per assodato è che, se qualche popolazione nell’Italia meridionale iniziò nel IV secolo a.C. a estendere i confini della già esistente Ἰταλία – definita secondo diverse fonti greche, che esamineremo, da confini che tracciavano un triangolo tra Posidonia (come era chiamata dai greci Paestum), Reggio (Calabria) e Taranto, se non ancora più circoscritta –, non si trattò dei greci in Italia. Ne è un esempio il contributo di William V. Harris, secondo il quale nel tardo IV secolo a.C. gli unici che potevano “confondere gli abitanti dell’Italia, nel suo senso più antico [ovvero l’Ἰταλία cui si è appena accennato], con quelli di gran parte dell’‘Italia del 264’ erano Greci che giungevano in Italia da lontano, come i Rodiesi” (Harris 2007, 318). Con “Italia del 264” Harris intende la nozione di Italia romana alla vigilia della prima guerra punica, che dopo le vittorie contro gli etruschi, le popolazioni osco-sabelliche della dorsale appenninica e i greci d’Italia, ovvero gli italioti, poteva estendersi dalla punta meridionale della Calabria fino all’Arno sul versante tirrenico della penisola, e fino all’Esino su quello adriatico.

Prima di discutere questa interpretazione, al fine di chiarire il contesto in cui si formò l’“Italia del 264” occorre segnalare che il concetto di Italia dei romani si sviluppò sin dalle prime fasi in maniera indipendente da quello greco. L’identità romano-italica emerse, in primo luogo, in correlazione con la costruzione di un sistema genealogico che implicava la comunanza di stirpe tra Roma e varie popolazioni della dorsale appenninica, dai sabini e i sanniti in Italia centrale fino ai lucani e i brettii nell’area meridionale; sviluppatasi nel corso dei conflitti con i greci di Italia e Cartagine tra la fine del IV e il III secolo a.C., tale idea di omogeneità etnica fu alla base di una nozione dalla quale galli, etruschi e greci rimasero esclusi fino al II secolo a.C. [5] Allo stesso tempo, un’altra direttrice del processo identitario che riguardò Roma e l’intera penisola italica fu rappresentata dal concetto di “terra Italia”, che Roma definì nel corso del III secolo a.C. e avrebbe continuato a rifinire più avanti: una nozione anzitutto giuridica fondata sulle norme di diritto divino, che individuava l’area entro la quale un territorio poteva essere equiparato a quello di Roma stessa, a differenza di quelli provinciali sin dalla costituzione della prima provincia in Sicilia (241 a.C.) [6].

1. I greci tra Mediterraneo centrale e orientale:
punti di vista distinti?

Secondo Harris, i romani avrebbero appreso una nozione estesa di Italia, quella “del 264”, quando si affacciarono sul Golfo di Napoli, a contatto con greci che non erano particolarmente sensibili al problema dei confini geografici e culturali che distinguevano le varie popolazioni italiche nella penisola da quella greca. Tuttavia, conviene non dare per scontati due punti: che i greci di provenienza egea elaborassero una conoscenza geografica scollegata da quella dei greci in Italia e in Sicilia, e che questi ultimi mantenessero in ogni caso una visione ristretta dell’Italia. Per illustrare questo argomento, conviene esaminare innanzitutto le testimonianze di autori come Ecateo di Mileto e Antioco Siracusa, che mostrano una flessibilità della nozione di Ἰταλία già in epoca precedente a quella considerata qui. L’analisi dell’interazione culturale tra i greci in Italia e le popolazioni osco-sabelliche (anzitutto i sanniti) chiarirà il possibile ruolo tanto dei primi quanto delle seconde nella diffusione della nozione. Infine, l’esame di varie attestazioni letterarie tra IV e III secolo a.C. permetterà di ricondurre anche alla prospettiva greca l’estensione progressiva dei confini dell’Ἰταλία verso nord, forse anche sul versante adriatico della penisola italica.

A questo scopo possiamo considerare una delle fonti più antiche che consentono di ricostruirne i confini nella prospettiva greca: Ecateo di Mileto, attivo tra VI e V secolo a.C. ed espressione del punto di vista dei greci che abitavano la costa occidentale dell’Asia Minore. I frammenti superstiti della sua opera paiono suggerire che l’Italia si estendesse sul versante tirrenico proseguendo a nord di Posidonia e includendo l’area del Golfo di Napoli fino a Capua [7]. Questa estensione particolarmente ampia è stata considerata plausibile nonostante i dubbi legati alle potenziali deformazioni operate da Stefano di Bisanzio, nostro testimone principale. Ettore Lepore ha spiegato questa discrepanza in ragione degli stretti rapporti commerciali esistenti verso il 510 a.C. tra Mileto e Sibari, l’ultima delle quali avrebbe adattato la nozione di Ἰταλία all’estensione del proprio dominio territoriale (che arrivava fino a Posidonia) e della relativa rete di relazioni, influenzando di conseguenza il punto di vista dei milesii [8]. Il nostro interesse per questa interpretazione risiede tanto nella possibilità che i confini dell’Italia greca giungessero fino all’area del Golfo di Napoli, quanto nello stretto rapporto tra la rappresentazione geografica dei greci dell’Egeo e la prospettiva dei greci in Italia.

Secondo Domenico Musti, tuttavia, l’Italia di Ecateo non corrispose effettivamente all’estensione del dominio sibarita e non esisterebbero agganci sicuri per suggerire che questa estensione fosse una conseguenza degli specifici rapporti commerciali di Sibari. Questa concezione ionica particolarmente estesa non rifletterebbe dunque una nozione unanimemente condivisa all’interno del panorama culturale greco della fine del VI secolo a.C., bensì una “più lata e imprecisa, valida come punto di riferimento per le rotte della navigazione verso le contrade meridionali della penisola […] diffusa nell’area di partenza, cioè fra la grecità dell’Egeo” (Musti 1988, 280-281). Ciò non implica, tuttavia, che i greci dell’Egeo fossero poco consapevoli delle definizioni adottate dai greci in Italia: esempi come quello di Erodoto, nato ad Alicarnasso ma ben informato tanto sulla Grecia continentale quanto sulla grecità in Italia, o l’interesse della Grecia nei confronti delle vicende politiche di Italia e Sicilia nel corso dei decenni successivi al periodo considerato qui (almeno dall’epoca delle guerre persiane, nei primi decenni del V secolo a.C.), invitano a essere più fiduciosi [9]. Se in base all’ipotesi di Musti riconosciamo che i greci impiegarono diverse nozioni di Italia più o meno estese a seconda del contesto – per esempio, commerciale o politico –, non è necessario ricondurre le differenze tra ciascuna nozione alla prospettiva dei greci in Italia o di altri greci. Ne consegue che la denominazione allargata che i romani appresero nel tardo IV secolo a.C. non era necessariamente imprecisa dal punto di vista dei greci in Italia.

Il fatto che l’Italia di Ecateo non sembra proseguire oltre Napoli, una delle ultime città della Magna Grecia andando verso nord, suggerisce che questa pur ampia nozione avesse come orizzonte di riferimento quello greco e che escludesse aree più interne dove non erano presenti centri greci. Tuttavia, in un riferimento cardinale come quello offerto da Antioco di Siracusa intorno agli anni Venti del V secolo a.C., l’esclusione delle popolazioni anelleniche non appare una caratteristica necessaria dell’Ἰταλία. Nella prospettiva di Antioco, greco d’Occidente in Sicilia e dunque particolarmente sensibile alle identità etniche e culturali in Italia, l’Ἰταλία si era estesa progressivamente in seguito a una prima fase in cui comprendeva un territorio che, dall’akroterion della penisola rappresentato da Reggio [10], giungeva soltanto fino all’istmo tra i golfi Napetino o Lametino (oggi di Sant’Eufemia) e Scilletico (oggi di Squillace); alla fine del regno del mitico personaggio eponimo Italo, essa abbracciava un’ampia parte della costa ionica e si espandeva verso nord lungo la costa tirrenica. Strabone di Amasea, quattro secoli più tardi, tracciava il confine di questa Italia antiochea tra Metaponto sul versante ionico e il fiume Laos sul versante tirrenico, comprendendo così l’odierna Calabria e una parte della Basilicata [11]. Un’ulteriore estensione, fino a Taranto sulla costa ionica e fino a Posidonia e alla piana del Sele sul versante tirrenico, era attribuita da Strabone a non meglio definiti autori di epoca antica ma chiaramente ricondotta ad Antioco da Dionigi di Alicarnasso, contemporaneo di Strabone [12].

L’estensione dell’Ἰταλία di Antioco. Fase 1; fase 2 (Strabone); fase 3 (Dionigi). Basata su Musti 1987, 37.
L’estensione dell’Ἰταλία di Antioco. Fase 1; fase 2 (Strabone); fase 3 (Dionigi). Basata su Musti 1987, 37.

Dalla trattazione di Antioco emerge anzitutto, mediante il confronto con Ecateo, che l’Italia poteva apparire diversa non solo in base ai contesti di impiego della nozione, ma anche a seconda degli interessi di ciascun autore [13]. Ciò che qui interessa ancor di più è il ruolo giocato dalla popolazione non greca nella formazione dell’Ἰταλία. Secondo Antioco, infatti, gli enotri furono i più antichi abitanti della terra che ai suoi tempi si chiamava Ἰταλία, e presero il nome di “Italoi” dal già menzionato re Italo, dal quale derivò anche il nome della regione [14]. Il frammento in questione è tramandato da Dionigi di Alicarnasso, il quale riporta un’altra tradizione di V secolo a.C. sull’origine del coronimo: Ellanico di Lesbo raccontava che l’eroe greco Eracle, inseguendo una giovenca (damalis) fuggita dalla mandria di Gerione fino in Sicilia, tracciò il percorso che definì l’area successivamente chiamata Ἰταλία – la quale non viene chiaramente delimitata verso nord [15]. Il nome sarebbe derivato da ouitoulos, termine indigeno equivalente al greco damalis, con il significato di “terra dei vitelli” [16].

Possono senz’altro rimanere dei dubbi sull’inclinazione greca a includere nel proprio orizzonte culturale e identitario le popolazioni anelleniche dell’Italia: una tradizione presentata da Timeo di Tauromenio attribuiva la pratica denominativa testimoniata da Ellanico ai greci e a un’etimologia greca [17]; inoltre, appare plausibile l’ipotesi che l’analisi antiochea del concetto geo-etnografico di Italia e delle origini degli Italoi rispondesse a un preciso intento ideologico, ovvero di unire i greci del mondo coloniale d’Occidente in un’entità concettualmente distinta e autonoma dai greci del mondo metropolitano (anzitutto Atene) durante la Guerra del Peloponneso [18]. Nondimeno, nelle tradizioni testimoniate da Antioco ed Ellanico, l’Ἰταλία era riconosciuta come il prodotto culturale di un legame a doppio filo tra greci e non greci. Anche se durante il V e il IV secolo a.C. i greci in Italia e in Sicilia, cioè gli italioti e i sicelioti, svilupparono discorsi identitari che risentirono del conflitto con le popolazioni epicorie, il confine ideale tra greco e non greco restò dunque permeabile: non solo nell’ambito di varie esperienze di cooperazione tra comunità di entrambe le parti [19], ma anche nella concezione geografica del territorio abitato dai popoli in questione. Inoltre, l’associazione tra Ἰταλία ed enotri in Antioco implicava una potenziale proiezione dei suoi confini dalla costa verso l’entroterra, dove i greci collocavano tradizionalmente le città enotrie [20]. In sostanza, la definizione di Italia nel V secolo a.C. era caratterizzata dall’apertura concettuale verso un panorama etnico e geografico flessibile, senza contorni netti. Non è un caso se, nell’ambito delle interpretazioni dell’ancora più antica ‘Ίταλία allargata di Ecateo come riflesso dell’impero di Sibari, l’inclusione di varie località non greche è stata spiegata come risultato di una rete socioculturale sibarita che si estendeva verso l’interno, dunque oltre l’area prettamente greca (Giangiulio 2014, 141-144; De Sensi Sestito 2014, 68-69).

2. Le relazioni con i romani e gli italici
e l’ampliamento dell’Italia

Stabilito quindi che i greci in Occidente non vanno esclusi a priori come possibile veicolo dell’estensione della nostra nozione verso l’Italia centrale, in particolare sul versante tirrenico, possiamo ora considerare le ipotesi avanzate sul ruolo giocato dalle popolazioni osco-sabelliche. Nel solco delle osservazioni di Lepore sulla formazione di un’unità culturale tra bretti, lucani e sanniti all’epoca della progressiva estensione della nozione di Italia tra IV e inizio del III secolo a.C. [21], Humm ha proposto di collegare l’adozione romana all’introduzione a Roma, nei primi decenni del III secolo a.C., del culto della dea Mefitis [22]: attestato tra il Lazio meridionale, la Campania e l’antica Irpinia, esso aveva il suo santuario principale presso la valle del lago di Ampsancto, noto per emanare gas mefitici collegati all’essenza stessa della divinità; tale santuario, posto in un’area di incontro tra Campania, Lucania e Apulia, sarebbe stato collocato medio Italiae da Virgilio e considerato umbilicus Italiae da Servio [23]. Come ha rilevato Giovanna De Sensi Sestito, si tratta di notizie troppo tarde, le quali difficilmente dimostrano che il ruolo culturale delle popolazioni osco-sabelliche fu in qualche modo fondato sul santuario di Mefitis (De Sensi Sestito 2014, 82-83). Nondimeno, è possibile ritenere che esse parteciparono significativamente alla formazione di un’identità sovralocale tra il Lazio e l’Italia meridionale, sviluppando un’idea di comunanza culturale ed etnica che poteva fornire un terreno fertile per condividere una nozione geografica sovraregionale. Questa tesi si fonda su alcuni aspetti riepilogati di seguito.

In primo luogo, occorre ricordare la complessità del quadro politico, diplomatico e quindi culturale degli ultimi decenni del IV secolo a.C. Tra gli anni delle spedizioni in Italia di Alessandro il Molosso e dello spartano Cleonimo, ovvero poco prima e durante la seconda guerra sannitica, i sanniti furono al centro di un’impalcatura ideologica costruita da Taranto per giustificare l’alleanza tra le due parti. Questa politica era già stata anticipata a metà del IV secolo a.C. da Archita di Taranto, il quale aveva sostenuto un allineamento con i sanniti attraverso la consonanza tra il sistema culturale di questi ultimi e il modo di vita pitagorico da lui promosso, improntato alla temperanza, all’astinenza dai piaceri e al valore militare: è a questa ricostruzione che rispondono le tradizioni letterarie, pur di epoca più tarda, sulla diffusione del pitagorismo tra i sanniti [24]. Venuta meno la centralità dell’ideale pitagorico dopo la morte di Archita, la comunanza di interessi tra sanniti e Taranto – quest’ultima identificata come colonia di Sparta – fu sostenuta attraverso il tema di una grecità, o meglio di una “spartanità”, condivisa. A sua volta, in contrasto con Taranto e dunque con i sanniti, Roma rispose a questa politica culturale elaborando narrazioni mitiche che rivendicavano una sua posizione nel panorama pitagorico, campo privilegiato per questi meccanismi diplomatici nei decenni precedenti [25]. In questa rete diplomatica, Roma e Taranto ebbero naturalmente un ruolo propulsore. Tuttavia, la complessità del materiale utile alla ricostruzione del legame tra Taranto e i sanniti – anzitutto, la corrispondenza tra fonti letterarie ed emissioni monetarie tarantine – porta a riconoscere a entrambe le parti una partecipazione attiva e prolungata al processo di costruzione di una comune base culturale e ideologica (Russo 2007, 18-20). Le esigenze politiche e il contrasto con Roma gettarono dunque le fondamenta per un collegamento diretto tra sanniti e italioti, che a sua volta rafforzò le già esistenti vie di trasmissione culturale dal Sud Italia verso Roma.

Il quadro appena richiamato induce a riconoscere nel Sannio di fine IV secolo a.C. un contesto adatto a recepire una preesistente nozione allargata di Ἰταλία. Come menzionato all’inizio, già dalla metà del III secolo a.C. Roma insistette su un sistema genealogico che definì, in parallelo a una nozione geopolitica più inclusiva, una squisitamente politica e culturale appannaggio delle popolazioni della dorsale appenninica centromeridionale [26]. D’altro canto, almeno alcune popolazioni osco-sabelliche a contatto coi greci – per esempio, oltre ai sanniti, i lucani e i campani – potevano essere già state predisposte a questa operazione dalla diffusione del concetto greco più ampio (come quello in Ecateo) di Italia, resa possibile dalle interazioni su più livelli tra mondo greco e non greco (sia italico sia romano) nel corso del IV secolo a.C. [27] Porta in questa direzione il fatto stesso che Roma poté proporre agli italici un’idea di Italia dove non era necessario includere gli italioti appena sottomessi: anche prima della sconfitta di Taranto nel 272 a.C., probabilmente essi non erano più considerati – né da Roma, né dai popoli degli Appennini centromeridionali – i depositari quintessenziali della nozione di Italia.

Chiarito che l’interazione col mondo italiota rendeva possibile la partecipazione almeno di alcune popolazioni osco-sabelliche (in primis i sanniti) al processo di espansione dell’Ἰταλία, passiamo a verificare fino a che punto i greci favorirono o, invece, ostacolarono l’estensione di questa nozione tra il IV e il III secolo a.C. La seconda possibilità merita di essere considerata poiché in questo periodo il tema della lotta della grecità contro il barbaro trovò nuova linfa in Italia meridionale [28], mentre quello della concorrenza e dell’autonomia rispetto ai greci di metropoli passava in secondo piano dopo la Guerra del Peloponneso. D’altra parte, non mancano elementi che dimostrano varie possibilità di apertura verso l’elemento non greco.

Particolarmente interessante è l’integrazione di vari italici nei ranghi dei pitagorici, specialmente alla luce del legame tra pitagorismo, Magna Grecia e Ἰταλία, desumibile da un famoso passo di Polibio che colloca i moti anti-pitagorici del V secolo a.C. nell’area che era allora chiamata Magna Grecia, all’interno dell’Italia [29]. Nonostante il pitagorismo offrisse una delle tradizioni identitarie più significative per la cultura italiota, la storia del movimento dimostra che la grecità non fu un suo polo costitutivo fondamentale. Un frammento di Aristosseno di Taranto, personaggio cruciale nella canonizzazione del patrimonio culturale pitagorico ed esponente della scuola peripatetica tra fine del IV e inizio del III secolo a.C., attesta la presenza tra i discepoli pitagorici di lucani, romani, messapi e peucezi [30]. Questa notizia riflette il coinvolgimento di romani e lucani nella costellazione di città e popoli verso i quali Taranto, all’epoca in cui era guidata dal pitagorico Archita o poco prima, intendeva stabilire legami di affinità culturale in concomitanza con un avvicinamento diplomatico [31]. Inoltre, la presenza di lucani tra i pitagorici non è isolata e risulta attestata già nel V secolo a.C. [32], mentre Roma potrebbe essere già stata rappresentata come città greca nel corso del IV secolo a.C.: lo suggerisce un noto frammento relativo all’incursione del 390 a.C. contro Roma da parte degli iperborei – termine che qui indica quelli che saranno poi identificati come celti –, che Plutarco attribuisce chiaramente all’esponente della scuola platonica Eraclide Pontico, il quale al più tardi nell’ultimo quarto del IV secolo a.C. si sarebbe basato su un racconto proveniente da Occidente (ἀπὸ τῆς ἑσπέρας λόγον) [33].

Questo quadro resta valido anche se si considerano i ripetuti momenti di conflittualità tra le varie popolazioni in questione. Il modo positivo in cui certe comunità italiote consideravano le popolazioni dell’Italia centro-meridionale poteva facilmente lasciare il posto a una percezione del tutto diversa pochi decenni dopo: mentre secondo Aristosseno i romani partecipavano al pitagorismo, probabilmente in riferimento a un contesto precedente di alcuni decenni rispetto a quando scriveva, verso la fine del IV secolo a.C. lo stesso autore lamentava invece l’imbarbarimento di Posidonia, divenuta ormai romana o tirrenica [34]. Questa testimonianza è stata interpretata come risultato di varie circostanze: la propaganda anti-romana in ambito tarantino; la percezione del cambiamento culturale delle élite campane dopo che i romani estesero la civitas sine suffragio a diverse comunità della zona negli anni Trenta; una più generica constatazione della perdita di identità culturale al di là della situazione politica; o semplicemente un’imprecisione di Aristosseno che avrebbe confuso romani e lucani, gli ultimi dei quali occupavano sin dal V secolo a.C. Posidonia [35]. Sia come sia, qui importa sottolineare un altro aspetto: le varie prospettive greche sia di apertura sia di chiusura, maturate nel IV secolo a.C. su Roma e sulle altre popolazioni della penisola, non dovevano obliterarsi a vicenda, ma piuttosto coesistere e avvicendarsi a seconda del contesto.

È nel contesto di potenziale apertura culturale appena tratteggiato che, secondo Alfonso Mele, si verificò l’evoluzione dei pitagorici da Italiotai (nel senso di greci) a Italoi, conseguenza dell’integrazione tra elemento greco e italico nel IV secolo a.C. (Mele 2014, 250; cfr. Poccetti 2014, 322-323). In questo modo potrebbe essere interpretata la menzione nel Gorgia platonico di un filosofo, forse pitagorico, identificato come Sikelos oppure Italos, così come quella di “alcuni tra i cosiddetti Pitagorici italici” (τῶν Ἰταλικῶν τινες καλουμένων Πυθαγορείων) in Aristotele [36]. Queste precoci attestazioni dell’etnonimo italico, attestato per via epigrafica soltanto più tardi nel II secolo a.C. [37], rinviano a una denominazione più ampia rispetto agli etnonimi regionali come per esempio quello degli italioti, dei lucani o dei sanniti. Questi pur segmentati richiami inducono a riconoscere l’esistenza nel IV secolo a.C. (anche) di una concezione di Ἰταλία capace di includere le popolazioni osco-sabelliche del versante tirrenico. È senz’altro vero che la lega degli italioti, attiva tra il IV e l’inizio del III secolo a.C., dovette enfatizzare in chiave politica la comune appartenenza delle città membri all’Ἰταλία [38]. Tuttavia, in primo luogo, la scarsa presenza dell’etnonimo Italiotes nella documentazione epigrafica mostra una significativa differenza tra la lega italiota e altre leghe greche fondate su premesse identitarie ben più solide (Reali 2023); inoltre, dal passaggio in primo piano della nozione più “tecnica” di Ἰταλία non conseguirebbe necessariamente che quella più ampia e flessibile scomparisse dal panorama culturale greco-italico. Se, dunque, è vero che i romani fecero un uso tanto innovativo della nozione geografica di Italia da poterlo considerare un’appropriazione [39], la sua precedente diffusione sembra invece il risultato di diverse riformulazioni favorite dai fattori appena richiamati: da una parte, una definizione di Ἰταλία potenzialmente adattabile a contesti non greci; dall’altra, la possibilità che greci e non greci riformulassero e attenuassero i confini che li differenziavano, non solo in virtù di ragioni politiche, ma anche di rapporti culturali ormai consolidati.

3. Ulteriori estensioni dell’Italia dei greci

Determinata così la possibilità che gli stessi greci prendessero parte attivamente, almeno in certi contesti, al processo di estensione del concetto di Ἰταλία possiamo concludere esaminando un insieme particolarmente eterogeneo di attestazioni letterarie della nozione in questione. Distribuite tra varie opere anche frammentarie, esse contribuiscono significativamente ad approfondire la nostra conoscenza del punto di vista greco sull’Italia, tra la fine del IV secolo a.C. e l’età in cui scrivevano Catone e Polibio. Una parte consistente della letteratura disponibile conferma senz’altro l’idea che, tra la fine del IV e il III secolo a.C., i greci localizzassero l’Ἰταλία in prossimità del versante ionico della penisola: per esempio, troviamo questa denominazione geografica in relazione al contesto italiota in autori come Aristotele, Dicearco, Alcimo di Messina, Archestrato di Gela, Aristosseno, Duride di Samo, Cleante di Asso, Telete di Megara. Se ci rivolgiamo ora a un’opera piuttosto enigmatica come i Racconti meravigliosi pseudo-aristotelici, troviamo anzitutto due notizie interessanti [40]: in Italia, sul monte Circeo (nel Lazio meridionale) si trovava un veleno mortale, con il quale due uomini – evidentemente nemici di Taranto [41] – tentarono di uccidere Cleonimo; a Cuma in Italia, che a quanto si diceva era dominata dai lucani, si trovava un antro della Sibilla. I Racconti meravigliosi consistono in una compilazione erudita che potrebbe essere stata realizzata tra il III secolo a.C. e il III secolo d.C. se non anche più tardi; tuttavia, la critica ha riconosciuto che una larga parte degli estratti ivi raccolti provengono da materiale precedente connesso con la produzione peripatetica, compresi Aristotele e Teofrasto (Vanotti 2007, introduzione; Giacomelli 2021, 13-21). Mentre il riferimento a Cleonimo ci induce a collocare il relativo racconto non prima dell’inizio del III secolo a.C., il dominio lucano su Cuma ci rimanda per l’altro racconto a un contesto di origine idealmente precedente all’espansione romana e al conferimento della civitas sine suffragio alla città nel 334 a.C. [42] Presumendo che la fonte confluita nella nostra compilazione non fosse perfettamente aggiornata sugli eventi in Italia, potremmo comunque ricondurne il punto di vista al tardo IV secolo a.C. A quell’epoca, quindi, l’Ἰταλία poteva estendersi considerevolmente verso nord, sicuramente in Campania e forse poco più tardi fino alla regione chiamata Latium adiectum dai romani (odierno Lazio meridionale).

L’inclusione della Campania a nord di Posidonia alla fine del IV secolo a.C. difficilmente stupisce: non solo perché la natura multiforme della nozione di Ἰταλία consentiva la permanenza di un’estensione relativamente ampia dall’epoca di Ecateo o di Ellanico fino a quella in questione, ma anche in base ad alcune altre testimonianze probabilmente coeve. Un altro dei Racconti meravigliosi [43] parla del lago d’Averno nei pressi di Cuma in Italia (περὶ τὴν Κύμην τὴν ἐν Ἰταλίᾳ), specificando che di per sé non ha caratteristiche prodigiose e che non è vero che nessun uccello sorvola il lago: chi l’ha visitato afferma che vi si trovano numerosi cigni. Il contesto cronologico del materiale raccolto potrebbe essere vicino a quello del racconto sulla Sibilla cumana, e la dimostrazione dell’assenza di un qualche prodigio legato agli uccelli ci rimanderebbe a un frammento di Eraclide Pontico [44] (seconda metà del IV secolo a.C.), nel quale si dice che gli uccelli morivano presso il lago d’Averno, in Italia, a causa dell’aria maleodorante; tuttavia, non è sicuro – anche se non impossibile – che Eraclide utilizzasse l’espressione κατὰ τὴν Ἰταλίαν, poiché in un’altra citazione dello stesso passaggio Ἰταλία non viene menzionata [45]. La datazione del racconto che collocava Cuma in Italia al III secolo a.C. è dunque possibile, ma resta ipotetica.

Sempre a non oltre la seconda metà del IV secolo a.C. risalirebbe la localizzazione di Cuma in Ἰταλία in un frammento di Iperoco di Cuma, benché dalla citazione di Ateneo resti dubbio se anche l’informazione in questione derivasse dall’autore cumano, sull’identificazione del quale il nostro testimone sembra peraltro incerto [46]. Eppure, questo punto di vista trova un’interessante corrispondenza con un frammento di Eudosso di Cnido, autore di un Giro della Terra, vissuto fino alla metà del IV secolo a.C., che localizzava in Ἰταλία gli opici [47]: Iperoco impiegava lo stesso etnonimo per identificare i campani e, come ci informa chiaramente Pausania, collocava nel territorio di questa popolazione proprio Cuma [48]. Questa testimonianza porta a ritenere possibile che Teofrasto, attivo nella seconda metà del IV secolo a.C., considerasse la località di Baia nei Campi Flegrei all’interno dell’Ἰταλία, come suggerisce un pur esteso (e quindi forse non precisissimo) frammento individuato da Wehrli in Ateneo [49].

In altri due Racconti meravigliosi, la Tirrenia e le terre dei celti erano trattate come unità geografiche distinte [50], in linea con la prospettiva genealogica adottata da Roma nel III secolo a.C. per costruire l’immagine di un’Italia a ovest dell’Appennino dalla quale erano esclusi etruschi e galli (oltre ai greci). Ne emerge una certa sensibilità nei confronti del complesso intreccio tra politica, diplomazia, ideologia e identità culturale che segnò i rapporti tra Taranto (nonché le città della lega italiota da essa egemonizzata), Roma e le popolazioni non greche poste tra di loro sul versante tirrenico della penisola. Tuttavia, con l’inclusione del Monte Circeo nell’Ἰταλία, la differenza principale tra la prospettiva dei racconti in questione e l’Italia romana ai tempi della prima guerra punica (264 - 241 a.C.) riguarda più che altro Roma e il suo territorio più interno, plausibilmente inclusi nella Tirrenia. Questa differenza ci conferma che la visione greca presa in esame non rifletteva l’idea di Italia proposta da Roma alla vigilia della prima guerra punica, o addirittura alla fine del IV secolo a.C. Come esaminato in precedenza, la politica culturale degli italioti fu tutt’altro che chiusa nei confronti delle popolazioni non greche durante il IV secolo a.C., riconoscendo perfino Roma come città greca o per lo meno rispondendo positivamente all’intento romano di integrarsi nel panorama culturale greco. Dopo Archita di Taranto si aprì una fase in cui Roma non poteva rientrare nell’Ἰταλία, ma la rete di relazioni estesa fino al Lazio rendeva contemplabile per i greci d’Italia l’ampliamento dell’Ἰταλία fino ai confini meridionali della regione. Non sembra, quindi, che questa estensione fosse il frutto di una nozione generata da una conoscenza geografica sommaria dal punto di vista italiota, come nel caso dell’ipotesi di Harris a proposito dei rodiesi: i greci in Italia contribuirono all’allargamento dei limiti geografici dell’Ἰταλία, recepito da vari intellettuali del mondo egeo che attingevano a notizie e tradizioni provenienti da Occidente, come nel già citato caso di Eraclide e della grecità di Roma.

Pochi decenni più tardi, Timeo, che solitamente menziona l’Ἰταλία in relazione ai suoi luoghi più antichi e dimostra come la nozione più tradizionale e ristretta avesse ancora un certo valore, sembrerebbe – attraverso Diodoro – dar conto di una sua versione più estesa analoga a quella appena considerata [51]. Poco dopo, all’epoca della prima guerra punica ma a proposito del discusso trattato romano-cartaginese forse del 306 a.C., Filino attribuiva ai romani un’Italia che includeva senz’altro il Lazio: poteva in questo caso trattarsi o di un’unità territoriale che percorreva il versante tirrenico della penisola e la dorsale appenninica fino alla Calabria e all’Apulia, come risultato della prospettiva greca dello stesso Filino all’epoca in cui Roma aveva sottomesso anche gli italioti; oppure, di un territorio corrispondente, al momento del trattato (fine IV secolo a.C.?), all’Italia romana che dal Lazio si estendeva fino ai confini con il territorio italiota [52]. Stando a Dionigi, Mirsilo di Metimna, alla metà del III secolo a.C., individuava in Ἰταλία il luogo da cui i tirreni – ovvero coloro che per Dionigi erano i mitici pelasgi – erano migrati verso l’area egea [53]. In questo solco sarebbe rimasto il punto di vista di Appiano in riferimento all’epoca dell’inizio della seconda guerra punica (218 - 202 a.C.), secondo il quale poteva considerarsi vera e propria Italia quella a ovest dell’Appennino; tuttavia, anche il versante adriatico della penisola veniva ora chiamato Italia (νῦν μέν ἐστι καὶ ταῦτ’ Ἰταλία), al pari della Tirrenia, ed era abitato da greci lungo la costa e per il resto da celti: alla luce dell’analisi svolta fin qui, “ora” poteva in effetti esprimere il punto di vista di una fonte appianea vicina agli eventi narrati [54]. L’identificazione dell’Italia in Mirsilo, così forse come quella di Appiano, potrebbero in effetti risentire della prospettiva romana e della definizione dello spazio geografico italico che, tra III e II secolo a.C., superò i limiti ideali dell’Italia romano-italica. Tuttavia, in base ai casi che verranno considerati di seguito, non è da escludere che anche la prospettiva greca contemplasse ulteriori estensioni dell’Italia.

A questo proposito possiamo ricordare uno dei Racconti meravigliosi pseudo-aristotelici, dove un’antica via detta Eraclea, che partiva dall’Ἰταλία e portava nel paese dei celti, dei celtoliguri e degli iberi, poteva essere percorsa tanto dai greci quanto dagli abitanti locali (enchorioi non greci) godendo della protezione offerta da chi risiedeva nelle vicinanze del tragitto [55]. Bisogna tuttavia chiedersi se la prospettiva con cui ci viene presentata questa informazione risalga sempre al periodo compreso tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C., poiché, nel caso in cui questa via avesse seguito un itinerario tirrenico, ci aspetteremmo di leggere che portava anzitutto in Tirrenia. Si può ipotizzare, come per il caso di Mirsilo, che la Tirrenia risultasse già inclusa nell’Italia come effetto di una prospettiva almeno del III secolo a.C. inoltrato. Un’altra soluzione è che la precedente tradizione recepita dalla fonte del racconto facesse partire l’itinerario dall’area alto-adriatica, dove in età classica la presenza commerciale greca si concentrava intorno a empori per così dire “franchi” come Adria e Spina; la via sarebbe così giunta da lì nella terra dei celti dell’area cisalpina [56].

In base a quanto detto fin qui, non si direbbe che il versante adriatico potesse rientrare in una pur estesa Italia greca. Tuttavia, un passo della Storia delle piante di Teofrasto, esponente di punta di quell’ambiente peripatetico che fornì diverso materiale alla compilazione dei Racconti meravigliosi, può suggerire che l’allargamento al versante a nord-est degli Appennini fosse possibile: se, da una parte, la regione chiamata Adria è distinta dall’Ἰταλία, dall’altra viene detto che nella prima il platano è assente tranne dove si trova il santuario di Diomede, e che del resto esso è raro anche in tutta l’Ἰταλία (σπανίαν δὲ καὶ ἐν Ἰταλίᾳ πάσῃ) [57]. Il riferimento a tutta l’Italia, come se al suo interno rientrasse anche l’Adria, potrebbe suggerire che per i greci fosse possibile estendere la nozione oltre gli Appennini. Forse in questo caso ci si potrebbe aspettare piuttosto un riferimento alla parte restante dell’Ἰταλία, ma ci conduce nella direzione appena proposta anche un frammento del già citato Eudosso di Cnido, il quale secondo Stefano di Bisanzio avrebbe collocato Spina (nell’area meridionale del Delta del Po) in Ἰταλία, al pari di Artemidoro di Efeso un paio di secoli più tardi [58]; Spina potrebbe in effetti essere stata identificata da Pseudo-Scilace come polis greca, nonostante la prevalenza della componente demografica e culturale etrusca [59]. Se queste informazioni sono giuste, mostrano ulteriormente l’elasticità della concezione geografica greca dell’Ἰταλία, la quale poteva talvolta estendersi quasi fino ai confini documentati nel II secolo a.C. da Polibio. Si trattava certamente di una nozione di natura simile a quella più lata impiegata all’epoca di Ecateo [60]; essa si sviluppò in maniera autonoma dall’interazione politica con le varie popolazioni della dorsale appenninica e con Roma, basandosi piuttosto sul consolidamento delle reti culturali e commerciali greche in zone meno raggiungibili nel periodo tardo-arcaico.

In conclusione, il processo di definizione ed estensione dell’Ἰταλία appare caratterizzato da una notevole fluidità e permeabilità, che contrasta con l’idea di una nozione greca rigidamente circoscritta all’area meridionale della penisola. Le evidenze analizzate suggeriscono che, già prima dell’appropriazione romana, il concetto di Italia potesse estendersi ben oltre i confini tradizionali, includendo non solo la Campania e il Lazio meridionale, ma talvolta anche aree del versante adriatico. Questa elasticità concettuale non derivava necessariamente da un’imprecisione geografica, quanto piuttosto da una complessità di interazioni culturali, commerciali e politiche tra greci e popolazioni italiche. La nozione greca di Italia si rivela quindi un concetto ancor più flessibile di quanto si ammette di solito, e la sua evoluzione nel tempo documenta un adattamento ai rapporti tra i diversi popoli della penisola ancor prima della successiva interpretazione romana.


Bibliografia

  • Aigner Foresti, Luciana. 2002. “Etruschi e Greci in Adriatico: nuove considerazioni.” In I Greci in Adriatico, 1, a cura di Lorenzo Braccesi e Mario Luni, 313-327. Roma: L’Erma di Bretschneider.
  • Ameruoso, Michele. 1992. “La visualizzazione geografica di Italía-Oinotria e lapygia in Ecateo di Mileto e Antioco di Siracusa.” Miscellanea Greca e Romana 17: 65-133.
  • –, 1996. Megale Hellas: genesi, storia ed estensione del nome. Roma: L’Erma di Bretschneider.
  • AMG. 2014. Da Italìa a Italia: le radici di un’identità. Atti del LI Convegno di studi sulla Magna Grecia: Taranto, 29 settembre-2 ottobre 2011. Taranto: Istituto per la Storia e l’Archeologia della Magna Grecia.
  • Bispham, Edward. 2014. “The Lucanians: historical perspective.” In E pluribus unum? L’Italie, de la diversité préromaine à l’unité augustéenne, I, a cura di Michel Aberson et al., 311-330. Bern: Peter Lang.
  • Braccesi, Lorenzo. 2001. Hellenikòs kolpos. Supplemento a Grecità adriatica. Roma: L’Erma di Bretschneider.
  • Cappelletti, Loredana. 2002. Lucani e Brettii: ricerche sulla storia politica e istituzionale di due popoli dell’Italia antica (V-III sec. a.C.). Frankfurt a.M.: Peter Lang.
  • Carlà-Uhink, Filippo. 2017. The “Birth” of Italy: The Institutionalization of Italy as a Region, 3rd-1st Century BCE. Berlin-Boston: De Gruyter.
  • Catalano, Pierangelo. 1978. “Aspetti spaziali del sistema giuridico-religioso romano.” In Aufstieg und Niedergang der römischen Welt II, 16, 1, 440-553. Berlin-New York: De Gruyter.
  • Cuscunà, Cristina. 2003. I frammenti di Antioco di Siracusa: introduzione, traduzione e commento. Alessandria: Edizioni dell’Orso.
  • De Cazanove, Olivier. 2003. “Le lieu de culte de Méfitis dans les Ampsancti ualles: des sources documentaires hétérogènes.” In Sanctuaires et sources? Les sources documentaires et leurs limites dans la description des lieux de culte, a cura di Olivier De Cazanove e John Scheid, 145-177. Napoli: Centre Jean Bérard.
  • De Francesco, Antonino. 2013. The Antiquity of the Italian Nation: The Cultural Origins of a Political Myth in Modern Italy, 1796-1943. Oxford: Oxford University Press.
  • De Sensi Sestito, Giovanna. 2014. “Italo, Italía, Italioti: alle origini di una nozione.” In Unità multiple. Centocinquant’anni? Unità? Italia?, a cura di Giovanna De Sensi Sestito e Marta Petrusewicz, 53-92. Soveria Mannelli: Rubbettino.
  • Dench, Emma. 1995. From Barbarians to New Men. Greek, Roman, and Modern Perceptions of Peoples from the Central Appennines. Oxford: Clarendon Press.
  • Fraschetti, Augusto. 1989. “Eraclide Pontico e Roma città greca.” AION 11: 81-95.
  • Frisone, Flavia. 2013. “In volo con Trittolemo: le fonti greche di età classica e l’orizzonte geografico-territoriale del mondo ‘enotrio’.” In L’indagine e la rima. Scritti per Lorenzo Braccesi, a cura di Flavio Raviola et al., 705-725. Roma: L’Erma di Bretschneider.
  • Gabba, Emilio. 1978. “Il problema dell’unità dell’Italia romana.” In La Cultura italica, 11-27. Pisa: Giardini.
  • Giacomelli, Ciro. 2021. Ps.-Aristotele, De mirabilibus auscultationibus: indagini sulla storia della tradizione e ricezione del testo. Berlin-Boston: De Gruyter.
  • Giangiulio, Maurizio. 2014. “Achei, Enotri e Italía.” In AMG: 135-146.
  • Greco, Emanuele, e Mario Lombardo, a cura di. 2007. Atene e l’Occidente. I grandi temi. Le premesse, i protagonisti, le forme della comunicazione e dell’interazione, i modi dell’intervento ateniese in Occidente. Atene: Scuola Archeologica Italiana di Atene.
  • Harris, William V. 2007. “Quando e come l’Italia divenne per la prima volta Italia? Un saggio sulla politica dell’identità.” StStor 48: 301-322.
  • Herring, Edward. 2007. “Identity Crises in SE Italy in the 4th c. B.C.: Greeks and Natives.” In Roman by Integration: Dimensions of Group Identity in Material Culture and Text, a cura di Roman Roth e Johannes Keller, 11-25. Portsmouth: Journal of Roman Archaeology.
  • Humm, Michel. 2010. “Le concept d’Italie, des premiers colons grecs à la réorganisation augustéenne.” In Mémoires d’Italie. Identités, représentations, enjeux (Antiquité et Classicisme). Actes du colloque de Besançon, 24-25 octobre 2008, a cura di Alex Colombo, Sylvie Pittia, e Maria Teresa Schettino, 36-61. Como: New Press.
  • –, 2018. “La ‘barbarisation’ de Poséidonia et la fin des cultes grecs à Paestum.” RevHist­Relig 235: 353-372.
  • Lepore, Ettore. 1963. “L’Italia nella formazione della comunità romano italica.” Klearchos 5: 89-104.
  • –, 1980. “L’Italía dal ‘punto di vista’ ionico. Tra Ecateo ed Erodoto.” In Φιλίας χάριν. Miscellanea di studi classici in onore di Eugenio Manni, a cura di Maria Josè Fontana, Maria Teresa Manni Piraino, e Francesco Paolo Rizzo, 1329-1344. Roma: Giorgio Bretschneider.
  • Letta, Cesare. 1984. “L’Italia dei mores romani nelle Origines di Catone.” Athenaeum 62: 3-29, 416-439.
  • Lombardo, Mario. 2002. “Achei, Enotri, Italìa.” In Gli Achei e l’identità etnica degli Achei in Occidente. Atti del Convegno Internazionale di Studi, a cura di Emanuele Greco, 257-270. Paestum-Atene: Pandemos.
  • Mele, Alfonso. 2011. “Italía terra di vitelli: considerazioni storiche sull’origine del geonimo Italia.” Incidenza dell’Antico 9: 33-64.
  • –, 2014. “Pitagorismo, Megale Hellas e Italici.” In AMG: 237-278.
  • Morelli, Davide. 2024. Il ruolo della diplomazia nella conquista dell’Italia: cronologia e contesto storico (338-270 a.C.). Bari: Edipuglia.
  • Musti, Domenico. 1987. “Italia - Storia del nome.” In Enciclopedia Virgiliana, III, 34-40. Roma: Istituto della Enciclopedia italiana.
  • –, 1988. Strabone e la Magna Grecia: città e popoli dell’Italia antica. Padova: Programma.
  • Nafissi, Massimo. 2014. “Italos in Antioco di Siracusa e nella tradizione greca di V e IV secolo: a proposito di eponimi e archaiologia.” In AMG: 57-76.
  • Nocita, Michela. 2012. Italiotai e Italikoi: le testimonianze greche nel Mediterraneo orientale. Roma: Quasar.
  • Pittia, Sylvie. 2014. “Les Italies d’Appien.” In Peupler et habiter l’Italie et le monde romain, a cura di Stéphane Bourdin, Julien Dubouloz, e Emmanuelle Rosso, 35-43. Aix-en-Provence: Presses Universitaires de Provence.
  • Poccetti, Paolo. 2014. “L’‘identità variabile’ dell’Italia preromana: tradizioni, ideologie e loro riflessi moderni.” In AMG: 321-359.
  • Prontera, Francesco. 2014. “L’Italia degli storici greci: Polibio e Antioco.” In AMG: 203-212.
  • Reali, Francesco. 2023. “L’etnonimo Italiotes tra identità regionale e identità politica: alcune riflessioni sull’identificazione degli Italioti nelle fonti epigrafiche.” Historikà 13: 255-278.
  • –, 2025. Eudaimonia e nomos: Identità greca e alterità italiota tra V e III secolo a.C. Bologna: Bononia University Press.
  • Ronconi, Lucia. 1997 “La terra chiamata Italía.” In Il dinamismo della colonizzazione greca, a cura di Claudia Antonetti, 109-119. Napoli: Loffredo.
  • Russo, Federico. 2007. Pitagorismo e spartanità: elementi politico-culturali tra Taranto, Roma ed i Sanniti alla fine del IV secolo a.C. Campobasso: Istituto regionale per gli studi storici del Molise.
  • –, 2008. “Ancora sulla barbarizzazione di Poseidonia.” Aevum 82: 25-39.
  • –, 2012. “L’Italia nella prospettiva romana (III secolo a.C.).” Studi Classici e Orientali 58: 11-186.
  • Salvatori, Franco. 2016. “La Geografia di Augusto: durevolezza e discontinuità nella regionalizzazione del territorio italiano.” Bollettino della Società Geografica Italiana 9: 65-72.
  • Salvatori, Paola S. 2014. “Fascismo e romanità.” Studi Storici 55: 227-39.
  • Sammartano, Roberto. 2024. Antioco di Siracusa. Testimonianze e frammenti sull’etnografia italica. Roma: Edizioni Tored.
  • Simon, Mathilde. 2011. Le rivage grec de l’Italie romaine: la grande Grèce dans l’historiographie augustéenne. Roma: École française de Rome.
  • Uggeri, Giovanni. 2009. “Spina: polis hellenís (Ps.-Scyl. 17).” In Etruria e Italia preromana. Studi in onore di Giovannangelo Camporeale, a cura di Stefano Bruni, 893-897. Pisa-Roma: Fabrizio Serra.
  • Urso, Gianpaolo. 2001. “Iperoco e le Cronache cumane.” In Storiografia locale e storiografia universale. Forme di acquisizione del sapere storico nella cultura antica, a cura di Cinzia Bearzot, Riccardo Vattuone, e Delfino Ambaglio, 101-117. Como: New Press.
  • Vanotti, Gabriella. 1999. “Roma polis hellenis, Roma polis tyrrhenis: riflessioni sul tema.” Mélanges de l’Ecole Francaise de Rome. Antiquité 111: 217-255.
  • –, 2007. Aristotele. Racconti meravigliosi. Milano: Bompiani.

Note

1. Res Gestae Divi Augusti 5.

2. Su questi temi si vedano, come punti di partenza pubblicati di recente, De Francesco 2013; Salvatori 2014; Salvatori 2016.

3. Su questo tema, alcuni riferimenti recenti sono Harris 2007, 307-314; Simon 2011, 171-172; Prontera 2014, 205-208; De Sensi Sestito 2014, 85-89.

4. Cat. Orig. F 85 Peter = F 150 Cornell, ap. Serv. 10, 13; Plb. 2, 14-16 e 3, 54, 2. Sul ruolo delle Alpi nella definizione dell’Italia nel periodo in questione, cfr. Simon 2011, 136-137; Carlà-Uhink 2017, 35-42.

5. Sia diversi frammenti delle Origini di Catone sia una serie di tradizioni, attestate tra I secolo a.C. e I d.C., permettono di ricostruire una prospettiva romana riconducibile anche all’epoca della prima e della seconda guerra punica: si veda in particolare Russo 2012, spec. 109-155, insieme a Letta 1984, 416-418 su Catone; Dench 1995, 85-94; Simon 2011, 82-86. Alla stessa epoca, in ragione di esigenze anzitutto militari, assunse naturalmente un importante valore anche un concetto di Italia unitaria e più inclusiva (quella “del 264”, appunto): cfr. Simon 2011, 93-101; Carlà-Uhink 2017, 58-67.

6. Per il valore giuridico e sacrale del concetto di “terra Italia”, si veda Catalano 1978, spec. 525-547.

7. I frammenti di Ecateo riguardano varie località richiamate negli Ethnikà di Stefano di Bisanzio: per esempio, s.v. Kapua, Kapriene, Lametinoi, Medme, Lokroi Epizephyrioi, Kaulonia, Krotalla, Iapygia.

8. Lepore 1980, partic. 1331-1332. A favore di questa interpretazione, che attribuisce effettivamente a Ecateo i contenuti proposti da Stefano di Bisanzio, sono Ameruoso 1992, 78-80; Lombardo 2002, 259 pure con alcuni avvertimenti relativi alla collocazione nell’Ἰταλία di alcuni luoghi e soprattutto della Iapigia; Mele 2011, 33-34.

9. L’interesse di Atene verso le vicende contemporanee in Occidente, da Temistocle in poi, è ben noto: come punto di partenza, si veda Greco e Lombardo 2007.

10. Antioch. FGrHist 555 F 9, ap. Strab. 6, 1, 6. A proposito di Reggio akroterion dell’Italia, cfr. Thuc. 6, 24, 4.

11. Per la prima e la seconda fase, si vedano Antioch. FGrHist 555 F 5, ap. Dion. Hal. AR 1, 35, 1 e Antioch. FGrHist 555 F 3, ap. Strab. 6, 1, 4.

12. Si vedano Strab. 5, 1, 1 (cf. 5, 4, 13) e Dion. Hal. AR 1, 73, 4, in riferimento alla narrazione antiochea relativa ai leggendari successori di Italo, Morgete e Sicelo (Antioch. FGrHist 555 F 6). Sulla differenza tra le prospettive di Strabone e Dionigi, che inducono a ritenere che Antioco individuasse due fasi di espansione del coronimo Ἰταλία, l’ultima delle quali potrebbe essere stata recepita diversamente dai due autori, cfr. Sammartano 2024, 124-128 e 163-169; si vedano anche i commenti di N. Luraghi, BNJ 555 spec. F 2. Per alcune sintesi sulle fonti a proposito dei due diversi confini successivi alla prima fase, in relazione con la narrazione in Strabone di antichi conflitti tra Taranto e Metaponto (si veda Antioch. FGrHist 555 F 12, ap. Strab. 6, 1, 15, con Lombardo 2002, 265-266 e il commento di N. Luraghi, BNJ 555 F 12), cfr. Musti 1988, 277-282, che dà priorità alla delimitazione registrata da Strabone; Ameruoso 1996, 168-170; Ronconi 1997, spec. 41-45; Cuscunà 2003, 119-125; Harris 2007, 303-307; Mele 2011, 35-43.

13. Cfr. le riflessioni di Lombardo 2002, 258 sul dinamismo della nozione in questione.

14. Antioch. FGrHist 555 F 2, ap. Dion. Hal. AR 1, 12, 3 e F 5, ap. Dion. Hal. AR 1, 35, 1. Sulla figura di Italo, si veda anche Thuc. 6, 2, 4; Arist. Pol. 1329b (con Sammartano 2024, 77-88) per la sua nota rappresentazione del sovrano come re civilizzatore; Ps.-Scymn. 300-303; si veda in generale Nafissi 2014. La popolazione degli Italoi (o Italietes) in questo contesto appare una creazione artificiosa di Antioco, volta a includere nello stesso orizzonte etnico le varie popolazioni sul territorio dell’Ἰταλία allargata antiochea: cfr. Sammartano 2024, 91-108.

15. Sulla maggiore indefinitezza dell’estensione dell’Ἰταλία di Ellanico rispetto ad Antioco, cfr. Sammartano 2024, 91.

16. Hellan. FGrHist 4 F 111, ap. Dion. Hal. AR 1, 35, 2-3. Sulle tradizioni in questione, cfr. Mele 2011, 54-55; Simon 2011, 73-74; De Sensi Sestito 2014, 62-65; Poccetti 2014, 334-343, soprattutto sulle relative interazioni linguistiche tra greci e non greci; Sammartano 2024, 156-159.

17. Tim. FGrHist 566 F 42b, ap. Varr. De r. r. 2, 5, 3.

18. Sulla dibattuta prospettiva di Antioco in questo ambito, cfr. Cuscunà 2003, 55-56; Mele 2011, 50-53; Giangiulio 2014, 144; Nafissi 2014, 58-59 e 68-71; Sammartano 2024, 18-34, 42-43, 63-70.

19. In merito all’intreccio in questo ambito tra eventi storici e costruzioni identitarie, sia inclusive sia esclusive dell’elemento locale rispetto a quello greco, si veda ora Reali 2025, 39-64.

20. Particolarmente illustrativo è l’esempio della collocazione en mesogeia delle città enotrie in Ecateo: Hec. FGrHist 1 FF 64-71; cfr. Lepore 1980, 1331-1332 e Frisone 2013, 706-707, fiduciosi sull’effettiva attribuzione dei testi all’autore. Si considerino inoltre gli enotri hyperkeimenoi in Antioch. FGrHist 555 F 12, ap. Strab. 6, 1, 15. Riguardo agli insediamenti enotri in questo periodo, cfr. Bispham 2014, 316-318.

21. Lepore 1963, 94-97. Ci si riferisce qui al frequente allineamento politico tra bretti e lucani nella seconda metà del IV secolo a.C., soprattutto contro Taranto: per un quadro evemenenziale, cfr. Cappelletti 2002, 48-89; Bispham 2014, 324-328.

22. Humm 2010, 49-53. Per la localizzazione del santuario e una discussione del materiale letterario e archeologico e dei dati topografici (a supporto della veridicità di diverse tradizioni letterarie), cfr. de Cazanove 2003.

23. Virg. Aen. 7, 563-571; Serv. Ad Verg. Aen. 7, 563-571. Va segnalato che in altre tradizioni romane è naturalmente il Latium a essere umbilicus Italiae, in particolare in un passo delle Antiquitates rerum divinarum di Varrone citato in Plin. NH 3, 109: cfr. Catalano 1978, 523-525.

24. Per un’analisi di questo tema a partire dall’episodio dell’incontro tra Archita e C. Ponzio sannita in Cic. Cat. 39-41, si veda Russo 2007, 30-52; Mele 2014, 272-273.

25. Per il materiale composito su questo tema, specialmente le tradizioni sul discepolato pitagorico di Numa (per le fonti: Russo 2007, 56, n. 106) e sull’erezione a Roma di statue di Pitagora e Alcibiade durante le guerre sannitiche (Plin. NH 34, 26), cfr. Russo 2007, 53-74; Simon 2011, 406-418; Mele 2014, 266-270.

26. Oltre alla bibliografia supra a nota 5, sulla differenza tra questi due concetti di Italia cfr. Gabba 1978.

27. Non considereremo qui un’iscrizione talvolta addotta come prova di un’appropriazione precoce del concetto di Italia da parte degli italici, proveniente dal territorio centroitalico dei Marsi: ILLRP 7, su cui cfr. Simon 2011, 81. Harris 2007, 311 avanza argomenti convincenti contro i tentativi di correggere il testo per trarne l’attestazione di un finis Italicus.

28. Su questa intensificazione dei contatti ma anche dei conflitti tra greci e non greci, cfr. Herring 2007.

29. Plb. 2, 39: ἐν τοῖς κατὰ τὴν Ἰταλίαν τόποις κατὰ τὴν Μεγάλην Ἑλλάδα τότε προσαγορευομένην; l’accezione regolare impiegata da Polibio per definire Ἰταλία porta a escludere che qui il termine rifletta il punto di vista di una fonte di IV-III secolo a.C.: così invece Ameruoso 1996, 119-120. Il legame tra pitagorismo e prestigio dell’Ἰταλία è enfatizzato nella più tarda tradizione pitagorica: Iambl. VP 166. Nonostante non compaia la correlazione con l’Ἰταλία, si consideri anche la dibattuta attestazione dell’espressione Megale Hellas in Tim. FGrHist 566 F 13a, ap. Schol Plat. Phaedr. 279c, con Simon 2011, 164 e 168-176 sulla ricezione di questa nozione in età romana.

30. Aristox. F 17 Wehrli, ap. Porphyr. VP 22; cf. Iambl. VP 241.

31. Per il contesto cronologico, cfr. Mele 2014, 266.

32. Cfr. Mele 2014, 250-263 sulla storicità della figura di Aresas lucano nel tardo V secolo a.C. e sul ruolo dei lucani anche in seguito.

33. Su Roma città greca, cfr. Heracl. Pont. F 102 Wehrli, ap. Plut. Cam. 22; cf. Fraschetti 1989 e Vanotti 1999, 236-241, a proposito del collegamento di questa rappresentazione di Roma con l’intento italiota di arginare le mire espansionistiche di Dionisio I di Siracusa, alleato con i celti.

34. Aristox. F 124 Wehrli, ap. Ath. 14, 632a-b. In questo brano riemerge una prospettiva opposta a quella di Eraclide, ovvero quella riconducibile ad Alcimo e all’ambiente siracusano, dove Roma era appunto una città etrusca: Vanotti 1999, 239-240.

35. Per le prime due soluzioni, si vedano Russo 2008 e Humm 2018, spec. 363-364 e 371-372, che raccolgono una cospicua bibliografia precedente, relativa anche alle altre soluzioni menzionate qui.

36. Plat. Gorg. 493a; Arist. Meter. 342b.

37. IG II2 8943, da Atene; SGDI 1800, da Delfi. Cfr. Nocita 2012, 208 e 249.

38. Humm 2010, 46-47; De Sensi Sestito 2014, 80-82.

39. Così Poccetti 2014, 329-332, che tra le cause che predisposero tale appropriazione riconosce anche lo scarso rilievo del concetto di Ἰταλία per la definizione dell’ethnos italiota.

40. Ps.-Arist. Mir. Aus. 78 (835b); 95 (838a).

41. Giacomelli 2021, 13 pensa a dei lucani.

42. Liv. 8, 14.

43. Ps.-Arist. Mir. Aus. 102 (839a). Per l’impiego di fonti locali sia per questo racconto sia per il n° 95 sopra citato, cfr. Urso 2001, 111-112.

44. Heracl. Pont. F 128a Wehrli, ap. Paradox. Vat. Rohd. 14.

45. Heracl. Pont. F 128b Wehrli, ap. Antigon. Hist. Mir. 152.

46. Hyperoc. F 1, ap. Ath. 12, 528d-e. Per la cronologia alta di Iperoco proposta qui, cfr. Urso 2001, 101-106.

47. Eudox. F 321, ap. Steph. Byz. Ethn. s.v. Opikoi.

48. Hyperoc. F 2, ap. Paus. 10, 12, 8. Per Urso 2001, 108, proprio l’impiego dell’etnonimo in questione permette di attribuire questo e un altro testo di Pausania a Iperoco.

49. Theophr. F 159 Wehrli, ap. Ath. 2, 43b. Harris 2007, 305 riconduce il testo ad Ateneo poiché Baiae non sarebbe stata un luogo degno di nota all’epoca di Teofrasto. In effetti, questo brano rappresenterebbe la seconda occorrenza letteraria del toponimo in ordine cronologico, dopo un frammento di Eforo (FGrHist 70 F 134a) formato da un lungo estratto da Strab. 5, 4, 5. Anche se Eforo potrebbe non aver trattato della località in questione, va notato che quest’ultima viene ricordata da Strabone per le sue sorgenti termali e in contiguità con l’Averno: visto l’interesse della produzione peripatetica per le caratteristiche naturali di questo territorio, è possibile che anche Baia fosse menzionata in un lavoro di Teofrasto.

50. Ps.-Arist. Mir. Aus. 94 (837b); 85 (837a).

51. Escludendo i testimonia e la lunga sezione diodorea registrata come FGrHist 566 F 164, per i quali è difficile ricondurre l’impiego di Ἰταλία alla prospettiva di Timeo, in diversi frammenti la nozione compare in relazione a informazioni riguardanti città italiote, l’interazione tra Sicelioti e Italioti, o l’idrografia dell’antica Calabria. Appaiono diversi i casi di FGrHist 566 F 89, ap. Diod. 4, 21, dove Eracle parte dal Tevere e percorre la costa di “quella che ora è chiamata Italia” fino alla pianura di Cuma; F 85, ap. Diod. 4, 56, 6, dove Telamone e Formia sono collocate rispettivamente in Tirrenia e in Italia: è concreta la possibilità che il punto di vista espresso in questi frammenti, specialmente nel secondo, non fosse quello diodoreo. Inoltre, a Timeo viene talvolta ricondotto un brano contenuto in un codice miscellaneo chiamato Ineditum Vaticanum, dove in relazione all’epoca di Pirro potrebbe emergere una visione greca dell’Italia, dalla quale il Lazio era escluso; tuttavia, Ἰταλία è menzionata soltanto in relazione ai Greci. Su questa fonte, cfr. ora Morelli 2024, 217-218.

52. Philin. F 2, ap. Plb. 3, 26, 3-4, databile in base a Liv. 9, 43, 26. In merito al trattato, forse un rinnovo di un accordo preesistente, e sull’estensione dell’Italia, cfr. di recente Simon 2011, 87-89; Carlà-Uhink 2017, 29-30; Morelli 2024, 122-124.

53. Myrs. F 2 Müller, ap. Dion. Hal. 1, 24, 4, con 1, 23, 5 a favore dell’affidabilità della citazione.

54. App. Hann. 8, 34. Ciò diversamente da Harris 2007, 320, secondo il quale il passo esprimerebbe piuttosto la prospettiva tarda di Appiano. Sulla differenza tra le due Italie concepite qui da Appiano, cfr. Pittia 2014, 12-21. La presenza dei celti nel testo in questione potrebbe dipendere dall’espansione romana a nord dell’Appennino poco prima della seconda guerra punica: sull’ambigua inclusione della Gallia Cisalpina nell’Italia romana durante il II secolo a.C., tra considerazioni politiche e geografiche, cfr. Carlà-Uhink 2017, 42-58.

55. Ps.-Arist. Mir. Aus. 85 (837a).

56. Così Braccesi 2001, 77-79, insieme a 50-51 sulla frequentazione greca di Adria e Spina; cfr. Aigner Foresti 2002 sul rapporto tra componenti demografiche greca ed etrusca a Spina tra V e IV secolo a.C.

57. Theophr. Hist. Plant. 4, 5, 6. Le altre occorrenze di Ἰταλία nella produzione dell’autore rimandano o a un’indicazione generica oppure all’Italia meridionale: per esempio, Hist. Plant. 2, 8, 1.

58. Eudox. F 358, ap. Steph. Byz. Ethn. s.v. Spina: πόλις Ἰταλίας, ὡς Εὔδοξος καὶ Ἀρτεμίδωρος.

59. Ps.-Scyl. 17 menziona una polis hellenis nell’area adriatica, solitamente riconosciuta come Spina anche in base alla stessa identificazione proposta da Strabone (Strab. 5, 1, 7): cfr. Aigner Foresti 2002, 315 con bibliografia precedente; Uggeri 2009 per un’analisi a favore della storicità di questa notizia ricavata da Pseudo-Scilace.

60. Sulla possibilità di attribuire a Ecateo le notizie trasmesse da Stefano di Bisanzio, cfr. supra a nota 8.