Lucia Floridi, Voci e silenzi di Briseide. Da Omero a Pat Barker. Bologna: Pàtron Editore, 2024. 190 pp.
Il volume di Lucia Floridi, professoressa associata di Filologia Classica presso l’Università di Bologna, propone per la prima volta, senza pretese di esaustività, un percorso trasversale attraverso un’ingente mole di materiali allo scopo di delineare e osservare la fortuna del personaggio di Briseide; a tal fine, l’autrice percorre terreni che travalicano l’ambito degli studi classici, affiancando alla documentazione letteraria, da Omero al XXI secolo, cospicui riferimenti all’iconografia e incursioni nella produzione lirica e cinematografica. Decisamente apprezzabile è lo sforzo di rendere la lettura agevole anche per i non classicisti, coerentemente, del resto, con l’eclettico panorama documentario analizzato, attraverso le traduzioni dal greco, dal latino e, in parte, dall’inglese. La scrittura del volume prende le mosse dalla constatazione della scarsità di studi dedicati a tale figura e della circoscritta fortuna da lei goduta prima dell’età contemporanea. A fronte di una condanna scaturita dall’incipit del poema, che si apre all’insegna della μῆνις di Achille e che la vedrebbe come una piatta comparsa all’ombra dell’eroe, le ricerche condotte dall’autrice portano invece alla conclusione, ampiamente argomentata e introdotta dalla citazione di Philip Roth (p. 9), che all’origine di quell’ira funesta c’è propriamente la ragazza, il cui ruolo, lungi dall’essere meramente funzionale, è rilevante nello svolgimento della trama e il cui profilo è più articolato di quanto presunto. Pertanto, la rassegna svolta si propone di restituire la complessità della storia, più precisamente delle storie, di Briseide. Il volume, in definitiva, risponde all’interrogativo “quante Briseidi sono esistite?”.
La suddetta complessità è al centro del primo capitolo, “Briseide nell’Iliade”, nel quale, attraverso passi tratti dal poema, testimonianze scoliastiche e riferimenti iconografici, si attua un tentativo di ricostruzione della biografia del personaggio. Alla domanda circa la sua identità sono legittime almeno due risposte, a seconda che si interpreti il nome come patronimico, “figlia di Brise”, su modello di Criseide, figlia di Crise, in sostituzione di un nome proprio che, secondo gli scolii e Ditti Cretese, sarebbe stato Ippodamia, o come demotico, originaria di Brisa nell’isola di Lesbo; all’origine eolica, inoltre, si sommano due varianti microasiatiche, dedotte dalle parole di Ditti Cretese, di Igino e della stessa Briseide, che la dicono proveniente da Pedaso e da Lirnesso, in Misia. La sola indagine del nome, pertanto, fa emergere una pluralità, difficilmente conciliabile e, di fatto, non conciliata nel poema, di varianti del suo passato preiliadico, sintomo di una più complessa caratterizzazione ridotta in Omero. A questa complessità concorrono anche le funzioni che le sono attribuite: al suo essere κούρη, che indicherebbe uno status sociale più che anagrafico e alluderebbe, non senza ambiguità, a un duplice passato, da giovane in età da matrimonio e da vedova, si affiancano la sua presentazione come γέρας (“premio d’onore”) del Pelide e quella, nelle parole di lamento di Achille, di ἄλοχον θυμαρέα (“amata compagna di letto”), dalle quali sono evinte fitte equivalenze tra Briseide ed Elena, Briseide e Clitennestra, Briseide e Penelope. Attraverso singoli tasselli, chiaramente tratti dalle parole degli antichi, Floridi procede nella ricostruzione della sua ricca biografia, lasciando il lettore, al termine del primo capitolo, con due riflessioni: l’una concernente il valore primariamente da oggetto, γέρας, di Briseide, un oggetto per di più interscambiabile con altri, come corretta lettura del poema, sebbene già negli scolii si registri, seppur minoritaria, una lettura sentimentale dei gesti (l’emblematico ἀέκουσα, Il. I, 348) e delle parole di lei, come se gli antichi esegeti non trovassero altro modo per spiegare e comprendere il sesso femminile se non per via romantica. In secondo luogo, i numerosi rimandi intratestuali e intertestuali ad altre figure femminili, folla più o meno silente descritta con la riproposizione dei medesimi termini, generano un fondo di amarezza: l’individualità, infatti, si annulla nel convergere di tutti i destini femminili in un unico, ineluttabile destino, che è quello della schiava subordinata al maschio. A questa avvilente sovrapponibilità dei ruoli pare in parte sfuggire Briseide (altra Elena, altra Clitennestra, altra Criseide, altra Penelope), in quanto unica schiava alla quale è concessa la parola, in occasione del γόος per Patroclo, che però innesca l’ennesima equivalenza, con Andromaca, analogamente φίλανδρος, e il suo γόoς per Ettore.
Nel secondo capitolo, dal titolo di per sé eloquente “Briseide e Achille: una storia d’amore”, la lettura romantica accennata negli scolii sale alla ribalta, complice, in particolare, l’elegia latina. Briseide diventa la donna innamorata di Achille, sciattamente dimentica del ruolo di lui come assassino della propria famiglia, al punto da godere, secondo l’Ars Amatoria, delle mani insanguinate del Pelide sul proprio corpo. L’excursus proposto rende chiaro il recupero da parte delle riscritture latine del motivo del ratto di Briseide come causa scatenante dell’ira funesta dell’eroe, tuttavia ne emerge, in un certo senso, un fraintendimento: è ignorato il corretto significato omerico sotteso all’atto, cioè la violazione del sistema di distribuzione dei bottini di guerra e, conseguentemente, l’offesa arrecata alla τιμή, e il ritiro del guerriero dal campo di battaglia è unicamente determinato dalla ferita sentimentale infertagli. La Briseide di Ovidio, che pateticamente prende in prestito le lacrime versate nell’Iliade, tutt’altro che effeminatamente, da Achille, arriva a implorare l’amato di poterlo seguire anche se schiava, accettando l’estremo della negazione della propria persona pur di vivere al suo fianco. L’eroticizzazione della storia va di pari passo con una crescente caratterizzazione fisica della figura, culminante in un assurdo paradosso in Darete Frigio, primo a fornirne un ampio ritratto fisico ed etico, frustrato però dalla totale scomparsa della donna dal seguito della narrazione. Questo secondo capitolo si chiude con la rievocazione della prima e unica morte antica di Briseide per un’imprecisata malattia.
Il terzo capitolo, “Nuove Briseidi”, prende avvio dalle riscritture medievali e, attraverso il fil rouge dell’accentuazione del sentimentalismo della storia con Achille, tanto in letteratura quanto in arte, approda all’epoca moderna. La sezione dedicata all’hollywoodiano Troy, fautore di una nuova biografia di Briseide che si è rivelata fortunata (a giudicare dalla scelta compiuta da una casa vinicola delle colline novaresi, p. 155), precede la parte più d’impatto del volume, dedicata alle riscritture del XXI secolo. Floridi avverte implicitamente il lettore, e soprattutto la lettrice, di abbassare le proprie aspettative, presagendo la possibile delusione derivante da un retelling che, ormai “ossessione contemporanea” (p. 129), terreno di “prove dilettantesche” (p. 138), si proclama femminista ma, nel più dei casi, cade in stereotipi maschilisti (è il caso della Briseide di Natalie Haynes che, a differenza del suo alter ego ovidiano, non ha mai versato lacrime davanti alle tragedie della propria vita, comportandosi come i veri uomini, che notoriamente sono tali solo se non piangono mai) o dimentica le istanze sociali assecondando le logiche di mercato. Il crescendo di delusione, suggerito dalla rassegna di romanzi che ripetono instancabilmente il cliché della schiava innamorata del padrone, per di più affetta da una sorta di sindrome di Stoccolma, si interrompe nella chiusa del capitolo, nella quale l’autrice esprime una chiara valutazione positiva per il romanzo di Pat Barker, The Silence of the Girls: non solo il racconto della guerra di Troia e della storia di Briseide e Achille è privato di qualsiasi dimensione eroica, come d’altronde già nelle antiche riscritture romantiche analizzate, ma qui viene meno anche il sentimentalismo. L’amore, infatti, può esistere solo in una condizione di libertà e Briseide è una schiava. L’interrogativo che percorre l’intero volume, come, cioè, lei possa sposare l’assassino dei suoi cari, in Barker diventa improvvisamente presuntuoso e indiscreto, perché, dice Briseide, lei, come schiava (condizione ignota a chi, forse inorridito, ha sollevato la domanda), è disposta a qualsiasi eventualità pur di tornare a essere una persona: laddove nelle Heroides la barbara si diceva disposta a tutto, anche all’oggettificazione, pur di seguire Achille, qui si dice disposta a tutto pur di riottenere la libertà individuale.
Lucia Floridi ha disseminato testo e note di molteplici spunti di riflessione, variamente provocanti, (per esempio, la mancata libertà per una schiava di decidere del proprio corpo; la virilità di Achille e la censura post omerica delle sue lacrime omeriche; le divergenti interpretazioni del rapporto tra Achille e Patroclo). La progressiva scoperta delle storie di Briseide solleva un crescente sdegno per il graduale appiattimento da lei subito; rema contro questa tendenza il romanzo di Pat Barker al quale è affidata la speranza finale di condizionare le nuove Briseidi che si avvicenderanno in futuro.

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