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Mattone, Moretti, Signori (ed.), “La riforma Gentile e la sua eredità”

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Antonello Mattone, Mauro Moretti, Elisa Signori (ed.), La riforma Gentile e la sua eredità. Bologna: il Mulino, 2023. 440 pp.

Il volume – punto di arrivo di un progetto collettivo di ricerca promosso dal Cisui, Centro interuniversitario per la storia delle università italiane – torna su un tema classico della storia della scuola italiana: la cosiddetta “riforma Gentile”, il riordinamento organico di tutto il sistema formativo, dalle scuole d’infanzia all’Università, promosso ed elaborato da Giovanni Gentile nel 1923. A essere preso in esame non è l’insieme della riforma, ma l’intervento sull’ordinamento universitario e gli effetti che questo produsse. Si tratta, a dispetto di una ricca letteratura sulla figura di Gentile e sulla riforma del 1923, di un tema che si presta a nuove indagini e approfondimenti. La storiografia, infatti, ha ampiamente studiato la riforma della scuola, in particolare di quella secondaria, mentre l’intervento sull’università è risultato meno centrale nell’interesse di studiosi e studiose.

I 19 saggi qui raccolti offrono originali elementi di conoscenza e delineano un quadro ricco e articolato delle politiche universitarie di Gentile. A dare il tono complessivo al volume sono i contributi iniziali, che si misurano sia con la ricostruzione del contesto generale in cui fu ideata e realizzata la riforma, sia con i più rilevanti snodi interpretativi. Lo studio della riforma Gentile intreccia due questioni generali (e altrettanti contesti storiografici). La prima è quella delle continuità e discontinuità delle politiche scolastiche nella storia dell’Italia contemporanea, e di una circolazione di modelli pedagogici e progetti riformatori che attraversa i cambi di regime e i confini tra le diverse tradizioni politiche e culturali. La seconda è rappresentata dal rapporto del fascismo con la scuola, l’università, il mondo intellettuale e la formazione delle giovani generazioni. Pur nella diversità di temi e di approcci interpretativi, gli autori e le autrici affrontano le due questioni restituendone la complessità e rifuggendo da schemi interpretativi semplificatori e consunti. In merito al primo tema, osserva Gabriele Turi, l’approdo di Gentile al primo governo Mussolini e al Partito nazionale fascista, nel 1923, «è per lui il “naturale” proseguimento di una linea politica liberal conservatrice compendiata dalla sua concezione dello Stato etico, e solo marginalmente lo strumento per attuare la riforma della scuola». Questa, a sua volta, era stata «concepita nelle linee di fondo nel ventennio precedente», e con l’ascesa al governo del fascismo «vide accentuati i suoi caratteri gerarchici e conservatori» (p. 19). Anche Mauro Moretti richiama la necessità di tenere conto di una complessa genealogia, fatta di fenomeni di lungo e di breve periodo. Per i primi, invita a considerare la formazione del pensiero gentiliano e, soprattutto i testi, i dibattiti, le polemiche accademiche e le proposte del primo decennio del Novecento, su cui si è innestato il tempo breve della politica universitaria del dopoguerra, immediatamente precedente il suo arrivo al ministero. Il lungo confronto e scontro con Croce, anche sulla scuola e sull’università, qui indagato da Giuseppe Tognon, fu centrale in tutte le fasi.

Le continuità con elaborazioni e progetti degli anni precedenti suggerisce che le politiche scolastiche e universitarie di Gentile non possano essere comprese e interpretate solo nella loro relazione con il movimento e regime mussoliniano. Il tema del rapporto con il fascismo rimane, comunque, di grande rilevanza. Sulla questione, Antonello Mattone osserva che il «corpus della Riforma Gentile realizzata tra il dicembre 1922 e l’autunno del 1923 si colloca […] in una fase ancora di transizione tra l’iniziale esperienza di un governo autoritario e la successiva affermazione di un regime dittatoriale con velleità totalitarie» (p. 65). La riforma della scuola e dell’università, in altre parole, collocandosi nel mezzo di un cambiamento di regime, dovrebbe essere considerato un provvedimento “di passaggio”, non ancora pienamente e coerentemente fascista; non per un presunto liberalismo del suo ideatore – come pure sostenuto da una vulgata edulcorante storiograficamente molto debole –, ma perché era il quadro politico e istituzionale a non essere ancora pienamente e coerentemente fascista. Si spiegherebbe in parte così «il perché nelle storie generali sul fascismo alla Riforma Gentile siano stati dedicati pochi, essenziali cenni» (ibidem).

All’indomani dell’approvazione, Mussolini definì la legge come la «più fascista delle riforme». Pochi anni dopo, nel 1927, il Gran consiglio del fascismo la indicò «come una delle migliori e più fondamentali leggi del regime» (cit. a p. 94). Negli anni successivi, però, il provvedimento fu oggetto di un sostanziale ripensamento. I ministri che si succedettero alla guida del ministero della Pubblica istruzione (poi Educazione nazionale) modificarono la riforma Gentile. Nel suo saggio, Alessandra Tarquini passa in rassegna quella che è stata chiamata la «politica dei ritocchi»: «A volte – osserva nelle conclusioni – si trattò di provvedimenti di poco rilievo, più spesso di iniziative che il filosofo non avrebbe mai condiviso» (p. 103). Ad accomunare i diversi interventi era la volontà di imprimere un valore politico all’educazione delle giovani generazioni, mentre la riforma Gentile, secondo un’accusa che divenne sempre più insistente, in quanto espressione di una cultura non fascista, ritardava la fascistizzazione dell’istruzione. Lo stesso Mussolini modificò il suo giudizio. Nel 1931, definì la riforma «un errore dovuto ai tempi e alla forma mentis dell’allora Ministro» (cit. a p. 64). Sconfessione più netta e inappellabile non poteva esserci. Su un punto, però, ci fu piena continuità nel corso del ventennio, e l’impostazione di Gentile non venne mai sconfessata, e cioè sull’istruzione superiore femminile e sull’accesso delle donne alle professioni. La questione è esaminata da Elisa Signori, che osserva come, al di là di interventi finalizzati a rendere più razionale ed efficiente il sistema, «l’ispirazione discriminatoria e sessista della riforma fu condivisa, confermata e potenziata nella politica scolastica fascista» (p. 130).

Il volume non si confronta solo con i grandi nodi storiografici. La maggior parte dei saggi, infatti, si misura con questioni più settoriali e tematicamente circoscritte, ma non per questo meno dirimenti. Un primo gruppo prende in esame l’impatto della riforma sui diversi ambiti disciplinari: gli studi classici (il saggio di Arnaldo Marcone), gli studi giuridici (Giovanni Chiodi), la matematica (Elisa Patergnani e Luigi Pepe), la fisica (Giovanni Paoloni), la medicina (Tommaso Dell’Era), le facoltà di agraria (Giuseppe Pulina e Bruno Ronchi), le discipline ingegneristiche e architettoniche (Massimiliano Savorra). Nell’insieme, i contributi compongono un ricco mosaico dell’evoluzione delle discipline scientifiche negli anni tra le due guerre, che le pone in relazione con l’insegnamento universitario, intrecciando storia dell’istruzione, storia delle istituzioni e storia degli intellettuali.

Un ultimo gruppo di saggi, infine, prende in esame l’applicazione della riforma Gentile, soffermandosi sia sui risultati e sugli effetti prodotti, sia sulle resistenze incontrate. Sul primo versante, sono analizzati l’impatto sugli atenei minori (Luigiaurelio Pomante), sul perfezionamento post-laurea (Andrea Mariuzzo), sugli istituti superiori di magistero (Simona Salustri), sull’esame di Stato (Salvatore Mura) e sui Conservatori e gli studi musicali (Paola Cossu). I nodi interpretativi più generali – il rapporto tra riforma e progetti modernizzatori, le continuità e le discontinuità con il periodo precedente, il ruolo pedagogico-politico in funzione della fascistizzazione delle giovani generazioni – sono esaminati in concreto, con uno sguardo più interno agli organi universitari. Attraverso questa prospettiva, appare chiaro come, sotto diversi aspetti, la riforma produsse risultati non sempre conformi alle intenzioni. Fu questo l’effetto delle necessarie mediazioni con gli atenei e con gli organi di governo dell’università, delle resistenze e delle agitazioni degli studenti (a cui è dedicato il saggio di Piergiovanni Genovesi), ma anche, e soprattutto, delle dimissioni di Gentile da ministro dell’Istruzione e dello sgretolamento del gruppo gentiliano (tra coloro che rimasero più vicini al maestro fu Ernesto Codignola, a cui è dedicato il contributo di Paola Carlucci), a cui seguì la «politica dei ritocchi».

Intrecciando la ricostruzione più generale all’esame di vicende più specifiche, il volume offre un quadro ricco ed esaustivo dell’università disegnata da Gentile, e in generale dell’università dell’Italia fascista. Rimane invece sullo sfondo il tema dei lasciti della riforma all’Italia repubblicana. È un punto affrontato dalla storiografia sulla scuola e sull’università ma su cui sicuramente, come è stato per le questioni affrontati in questo volume, varrà la pena tornare, con nuove consapevolezze e chiavi di lettura sempre più ricche.