Jan Mohnhaupt, Lo zoo degli altri. Un’incredibile storia vera nella Berlino della Guerra fredda. Torino: Bollati Boringhieri, 2023. 223 pp.
Il volume di Jan Mohnhaupt rappresenta un piccolo gioiello nella recente produzione saggistica dedicata alla capitale tedesca e al periodo della Guerra fredda. In primo luogo è un libro di piacevole lettura, ma che non trascura la necessaria accuratezza documentaria, su cui lo studio è ben ancorato. Del resto l’autore è sì giornalista di importanti riviste tedesche come «Die Zeit» e «Der Spiegel», ma è anche uno storico di formazione. In secondo luogo Lo zoo degli altri. Un’incredibile storia vera nella Berlino della Guerra fredda rappresenta un lavoro senz’altro originale, dedicato ad un argomento per cui l’autore ha evidente passione e competenza. Il suo precedente volume ‒ Bestiario nazista. Gli animali nel Terzo Reich ‒ era dedicato, infatti, agli animali nella vita quotidiana e nell’ideologia della dittatura hitleriana.
Al centro dell’ultima opera ci sono le vicende degli zoo berlinesi, ad Ovest il noto Zoologischer Garten, il più antico della Germania fondato nel 1844, ad Est il Tierpark di Friedrichsfelde, creato invece dalla Repubblica democratica tedesca nel 1955. Con la divisione, infatti, Berlino finì per disporre di un doppione di ogni istituzione culturale degna di nota, compresi gli zoo. La storia del Zoologischer Garten viene narrata partendo dalla Seconda guerra mondiale, quando nel novembre 1943 fu gravemente bombardato. Con l’arrivo dell’Armata rossa il suo direttore Lutz Heck, sostenitore del partito nazista e amico di Göring, si diede alla fuga e le redini dello Zoo vennero progressivamente prese da Katharina Heinroth, vedova del direttore dell’Acquario. Nel dopoguerra la ricostruzione dello Zoo si avviò difficoltosamente, assieme a quella della città, fortemente segnata dalle conseguenze della Seconda guerra mondiale. Jan Mohnhaupt racconta di come Katharina Heinroth, nonostante i successi ottenuti, dovette affrontare pregiudizi e ostilità maschili, fino a che il collegio sindacale (organo direttivo dello Zoo) non la mandò frettolosamente in pensione. Nel 1956 la sostituì il giovane Heinz-Georg Klös, veterinario ed ex direttore dello zoo di Osnabrück. Nel frattempo, nella metà orientale di Berlino, Heinrich Dathe, una delle massime autorità nel campo della zoologia, aveva creato il Tierpark, che si svilupperà fino ad essere il più grande parco zoologico del mondo. Le due Berlino si identificarono ognuna nel proprio zoo, come nota Mohnhaupt quando scrive: «entrambi i giardini zoologici erano simboli della città e incarnavano il proprio sistema: lo Zoo era il tesoro dell’”isola” di Berlino Ovest, un concentrato di biodiversità dove in ogni angolo si percepiva la mancanza di spazi tipica della città del Muro. All’altro lato della Cortina di ferro, il Tierpark rappresentava un’idea di ampiezza e vastità. Un’idea progettata al millimetro, forgiata a più riprese e mai ultimata. L’utopia socialista come soluzione provvisoria» (p. 12).
Fra i due direttori, Klös e Dathe, diversi sotto molti punti di vista ma entrambi estremamente dediti al lavoro, si aprì una rivalità e una competizione che fece da specchio a quella delle due Germanie. Lo zoo si rivelò un luogo politico, in cui la Repubblica federale e la Repubblica democratica cercarono di primeggiare l’una sull’altra, accaparrandosi gli animali più prestigiosi, o provando a raggiungere il numero più alto di visitatori. Mohnhaupt, tuttavia, mette in luce anche le occasioni di incontro, di dialogo e di scambio fra i diversi direttori degli zoo tedeschi, fra Est e Ovest, e più in generale tutti quei rapporti sotterranei che alterarono gli equilibri della Guerra fredda, rendendoli meno rigidi. L’autore ci mostra brillantemente come anche gli zoo furono palcoscenici della politica mondiale, e persino gli animali giocarono un ruolo nei rapporti internazionali della Guerra fredda. Un esempio in questo senso furono i panda, che finirono nelle maglie dell’embargo statunitense lanciato contro i prodotti provenienti dalla Repubblica popolare cinese. Quest’ultima se ne servì nella cosiddetta «diplomazia dei panda» come doni di Stato, regalando un esemplare anche allo Zoo di Berlino ovest, suscitando le ire dell’URSS, per la quale questa era solo un’enclave.
Nel racconto delle vicende del Tierpark emerge più ampiamente la storia della Repubblica democratica tedesca, il modo in cui lo Stato funzionava ‒ o non funzionava. Emergono le lentezze e le difficoltà nel terminare le strutture del giardino zoologico che Dathe aveva immaginato, perché si presentavano altre opere architettoniche a cui dare la priorità di fronte alla costante penuria di materie prime. La burocrazia della RDT appare grezza e dogmatica, un ostacolo alla realizzazione dei progetti, minati anche dalle difficoltà causate dalla mancanza di valuta. Emerge il peso della censura e la pervasiva sorveglianza della Stasi, che non risparmiò neppure il direttore del Tierpark. Vengono narrate le difficoltà dei cittadini nella RDT, con le spinte ad abbandonare il paese, in fughe anche rocambolesche come quella di un dipendente del Tierpark che si nascose in una cassa assieme ad un alce, pur di raggiungere Berlino ovest. Emergono anche le questioni dell’inquinamento ambientale, trascurate e nascoste dalla dirigenza della RDT, come il formarsi di un’opposizione al regime. La narrazione si spinge fino agli anni Novanta, quando con la riunificazione Dathe fu mandato forzatamente in pensione e il Tierpark rischiò la chiusura. Con una certa supponenza, infatti, da ovest l’esperienza di quello che era stato il più grande giardino zoologico di natura scientifica mondiale fu poco riconosciuta e valorizzata, e rischiò l’oblio come avvenne per parte dell’eredità culturale della RDT.
Il libro ci riporta anche ad un mondo ormai lontano, in cui si guardava agli zoo con una maggiore innocenza e i loro direttori erano figure riconosciute – tanto che Dathe, ad esempio, teneva popolari rubriche radiofoniche. Ad arricchire Lo zoo degli altri sono molti piccoli aneddoti: dal beluga che nel 1966 risalì il corso del Reno e rischiò di essere catturato dal direttore dello zoo di Duisburg; all’elefantina portata in funicolare a Wuppertal nel 1950 da un circo in cerca della trovata mediatica… I piccoli racconti di cui è intessuto il libro lasciano emergere alcune riflessioni sul rapporto fra gli uomini, gli animali e la natura. Il successo degli zoo a Berlino, ad esempio, viene spiegato anche con il fatto che la stessa città divisa era una sorta di zoo, circondata da linee di confine, ed in qualche misura i suoi cittadini finirono per provare una particolare empatia con la loro fauna. Lo zoo degli altri, attraverso due vicende che potrebbero sembrare limitate o marginali, ci parla del mondo della Guerra fredda, e non solo, in modo ricco, godibile e brillante.