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Paolo Cammarosano, “Economia politica classica e storia economica dell’Europa medievale”

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Paolo Cammarosano, Economia politica classica e storia economica dell’Europa medievale. Trieste: Gaspari Editore - CERM, 2020. 466 pp.

La produzione scientifica di Paolo Cammarosano è ampia e varia. Dai primi studi sulla famiglia senese dei Berardenghi, apparsi tra gli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, fino alle più recenti ricerche sulla storia economica e la circolazione di opere letterarie nel Medioevo, l’A. si è sempre distinto per la chiarezza espositiva e la vastità delle sue competenze, che gli hanno permesso di spaziare dall’alto al tardo Medioevo senza mai smarrire il rigore dell’analisi e la profondità interpretativa. Piace sottolineare, in particolare, l’attenzione da lui prestata a caratteristiche, quantità e distribuzione geografica dei documenti scritti, e al modo in cui la combinazione di tali elementi condiziona il lavoro dello storico (Cammarosano, Italia medievale. Struttura e geografia delle fonti scritte, Roma: Carocci, 1991). Un’accortezza di metodo, questa, importante e feconda, tanto per il giovane studente quanto per il ricercatore più esperto.

Economia politica classica e storia economica dell’Europa medievale è un esperimento ardito. Cammarosano esamina le trasformazioni socioeconomiche avvenute durante il millennio medievale alla luce delle teorie economiche classiche e della storiografia moderna, cui è dedicata la Parte Prima del testo. La serie di autori presi in considerazione in questa sezione del libro è lunga e molto originale, perché include sia i maggiori esponenti della storia del pensiero economico – da Smith a Keynes – sia gli storici che, dall’Ottocento ai giorni nostri, hanno contribuito a definire i temi e i problemi della storia economica medievale. Colpisce l’assenza pressoché completa, nelle pagine della Parte Prima, degli antropologi, le cui teorie sono ritenute dall’A. di poca utilità per la comprensione dei meccanismi dell’economia del Medioevo. Giudizio probabilmente troppo severo, ma che ha il merito di stigmatizzare gli eccessi di quelle correnti storiografiche secondo cui l’economia medievale può essere descritta come una «economia del dono o comunque… estranea al mercato» (112), posizione che ha offerto un facile «alibi per soprassedere alla paziente e faticosa analisi dei prezzi» (149).

All’evoluzione dei prezzi e della demografia è dedicata la Parte Seconda del testo, di cui è opportuno richiamare la conclusione principale. L’aumento del prezzo della terra a partire dagli ultimi venticinque anni del X secolo fino alla metà dell’XI (e poi, con rinnovato vigore, dalla metà del XII in avanti) si riscontra in regioni geograficamente distanti e, dal punto di vista economico, quasi per nulla integrate tra loro (come la Catalogna, la Lombardia e l’Abruzzo). La somiglianza tra questi trend si spiega, secondo l’A., con l’incremento della produzione agricola, «che comandava andamento della popolazione e andamento dei prezzi» (147), e con il moltiplicarsi delle strutture politiche responsabili dell’intensificazione della domanda: castelli, signorie rurali e comuni cittadini. Minore fu l’importanza, secondo Cammarosano, dei profitti generati dal commercio e dalla finanza, che divennero sostanziosi soltanto nel corso del XIII secolo. Lo sforzo di distinguere i diversi fattori che contribuirono al cambiamento economico medievale, e di valutare il peso – non sempre uguale nel corso del tempo – che ebbero nel determinare quel cambiamento è apprezzabile e condivisibile. Suscita invece qualche perplessità il rifiuto, da parte dell’A., di considerare lo svilimento della moneta (vale a dire, la diminuzione di quantità e qualità del metallo prezioso contenuto al suo interno) un elemento importante nel generare l’aumento dei prezzi (143, nota 34). Opinione che non tiene in sufficiente considerazione né le prove offerte in tal direzione dai rinvenimenti archeologici, né le crisi di fiducia nel valore della moneta create dallo svilimento, che rinforzarono – e, a volte, generarono – le spirali inflazionistiche.

La Parte Terza occupa quasi metà del libro e analizza le trasformazioni dell’economia medievale dalla tarda Antichità fino al XV secolo, mettendo a confronto l’Occidente europeo con l’Oriente bizantino e il mondo islamico. Nel periodo altomedievale l’espansione economica si sarebbe realizzata principalmente attraverso la messa a coltura di nuove terre: le rese agricole rimanevano però basse, la vendita delle eccedenze sul mercato era, di conseguenza, limitata, così come limitata era l’attività creditizia. Un cambio di passo si verificò soltanto nel XII secolo, età di «formazione degli Stati» e di affermazione del «credito, motore dello sviluppo economico» (256). Dal 1100 in avanti, infatti, gli apparati burocratici e fiscali nell’Europa occidentale divennero progressivamente più complessi e articolati. Fece la sua lenta comparsa il debito pubblico come forma di finanziamento della spesa, ciò che fu alla base, secondo l’A., del crescente divario economico tra l’Occidente e l’impero di Costantinopoli: erede, quest’ultimo, della macchina amministrativa romana, ma incapace di innovare e ampliare le fonti di entrata che sarebbero state necessarie per far fronte alle numerose guerre che dovette sostenere. Il consolidamento di un debito pubblico strutturale – non un deficit temporaneo, quindi, ma un mezzo con cui gli Stati coprivano stabilmente una parte del proprio fabbisogno – presupponeva, dall’altra parte, l’esistenza di meccanismi di credito altrettanto sviluppati. Furono proprio gli investimenti – nel settore della finanza pubblica, ma anche nelle attività economiche in generale e in particolare nel commercio – l’elemento cardine del decollo economico dell’Occidente europeo.

A una fase di poderosa espansione nei secoli XII e XIII fece seguito, già a partire dai decenni centrali del Duecento, un significativo rallentamento e poi, nel Trecento, un periodo di stagnazione economica. Tanto la curva demografica quanto quella dei prezzi si appiattirono, e un’inversione di tendenza si sarebbe registrata soltanto a cavallo tra Tre e Quattrocento. «Il fatto che tali fenomeni abbiano interessato spazi d’Europa diversi e distanti», nota Cammarosano, avvalora «una delle tesi che sono state proposte per le cause della crisi trecentesca, cioè quella del cambiamento climatico, con il raffreddamento e l’aumento dell’umidità nell’emisfero nord» (334); al peggioramento delle condizioni climatiche si accompagnarono poi – è fatto arcinoto – carestie ed epidemie. Tuttavia, secondo l’A., “crisi” è un termine che deve essere impiegato con parsimonia. L’andamento dei prezzi non fu caratterizzato da bruschi ribassi o improvvise impennate fino alla fine del XIV secolo; ciò è segno di «un sostanziale equilibrio fra produzione e livello demografico: alla caduta demografica rispondeva una caduta dei consumi» (368). Cammarosano, inoltre, dedica ampio spazio alla produzione epistolare e letteraria, soprattutto da parte dei mercanti; e il libro si conclude con un’interessante riflessione sulle «consapevolezze economiche del medioevo» (390), argomento che ha conosciuto una certa fortuna storiografica negli ultimi anni. Secondo l’A., sarebbe inutile cercare in opere di carattere religioso, moralistico o politico i prodromi della scienza economica moderna; si può certo parlare, però, di comportamenti e prassi derivanti da «intuizioni pratiche e piene di successo, che solo alcuni secoli più tardi l’economia politica classica avrebbe elaborato ed elevato a teoria» (394).

Il libro di Cammarosano rimarrà a lungo sulla scrivania degli storici dell’economia medievale. Costituisce una delle sintesi più fini che si possono ottenere da un’analisi basata quasi esclusivamente sulle fonti scritte. Spetterà ad altri mettere queste ultime a serrato confronto con i dati, sempre più significativi, che emergono dalle ricerche archeologiche (sulle strutture materiali della produzione nell’alto Medioevo, per esempio, ma anche sulle reti di scambio nel Mediterraneo durante i secoli XI e XII). Così come pare auspicabile, giova ribadirlo, un esame dei trend inflazionistici che tenga in maggior considerazione il ruolo giocato dallo svilimento della moneta.