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Pescatori di uomini. Predicatori e piazze alla fine del Medioevo

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Pescatori di uomini è uno studio sulla predicazione nelle piazze delle città italiane ed europee del tardo Medioevo. L’atto della predicazione è un fecondo crocevia di esperienze diverse e complementari: piazze gremite, persone ammassate, devozione e scetticismo, sublimi capacità oratorie, sottile capacità di manipolazione di un pubblico eterogeneo e di difficile governabilità, un fenomeno di grande rilevanza e nello stesso tempo un appuntamento abituale nella vita delle città dell’epoca. Tutto questo è predicare: un intreccio di esperienze, sapienze antiche e nuove invenzioni, sperimentazioni e improvvisazioni che hanno luogo in ogni spazio della città in un perenne scambio di linfa e nutrimento tra il predicatore ed il suo pubblico.
La predicazione è qualcosa di istantaneo, legato al momento, al luogo, al pubblico, ed ovviamente all’oratore: «Il fenomeno che caratterizza la predicazione degli ultimi secoli del Medioevo è l’uso diffuso e pienamente consapevole di tutte le possibili sfaccettature performative allo scopo di rendere estremamente efficace la relazione tra il predicatore e il suo pubblico». L’a. non tralascia nulla, riuscendo pertanto a fare luce su ogni aspetto del fenomeno della predicazione. È forse questa una delle doti maggiori di Pescatori di uomini.
Maria Giuseppina Muzzarelli analizza la realtà della predicazione nei suoi aspetti più concreti – il calcolo della densità del pubblico in una piazza, i chilometri percorsi nella turné omiletica, la vita di sacrifici che conduce il predicatore, la fama da gestire, la folla da convincere e riesce allo stesso tempo a far luce su ciò che accade “dietro le quinte” fin negli aspetti che non trovano voce, se non raramente, nelle fonti: l’allestimento dello spazio scenico, gli accordi sul compenso del predicatore, le difficoltà affrontate dall’Ordine francescano nello smistare i suoi predicatori contesi e litigati dalle autorità cittadine come delle vere e proprie étoiles.
Sono al centro della prima parte del libro da un lato il predicatore medievale nella sua umana fisicità, la sua voce e il suo gesto, dall’altro il popolo spettatore, una appassionata platea, a volte assonnata e distratta a causa delle molte ore di attesa sulle piazze delle città già dal termine della notte per poter assistere alla predica da una buona posizione. La parola del grande predicatore-pescatore deve essere quindi dotata di tanta luce quanto il sole, deve avere «splendore, calore e vigore» come spiega Bernardino da Siena. La parola del predicatore doveva tener viva l’attenzione dell’uditorio anche per ore mettendo a dura prova la resistenza fisica di chi la pronunciava e la concentrazione di chi la ascoltava.
Se il pescatore riesce a gettare l’amo – la parola – in maniera proficua, possono avvenire pentimenti, conversioni e pacificazioni. Spesso, infatti, nell’impeto della forza e del trascinamento, dato dalle parole persuasive del predicatore, si consegnavano alle fiamme, nei cosiddetti roghi delle vanità, belle vesti ed ornamenti preziosi. Ma vedono compimento anche atti concreti ed iniziative cittadine, che portarono spesso alla fondazione di nuove istituzioni quali i monti di pietà. Il convincimento, anche in questo caso, necessitava di non meno abili giochi emotivamente persuasivi.
Naturalmente il risultato ambito da tutti i predicatori era l’efficacia e la comprensibilità del discorso e quindi la sua adeguatezza rispetto al pubblico a cui si rivolgeva. Da qui l’uso del volgare, il sermo humilis, il dirlo “chiarozzo chiarozzo” – formula efficace nella teorizzazione delle tecniche della predica - che mira a cancellare la distanza tra predicatore e pubblico. «Per fare una buona pesca occorre appendere all’amo l’esca più adatta al pesce che si intende catturare». Con queste parole l’a. riassume efficacemente lo scopo prefissatosi dal predicatore e la funzione primaria della sua azione predicatrice. Tale azione viene combinata per rafforzare e affilare la propria punta penetrante con immagini dal forte potere evocativo, richiamando scene ed episodi di particolare violenza e crudeltà, trasformati in simboli della vittoria del male e del peccato, oppure con oggetti esibiti che inducevano il pubblico a tremare e ad angosciarsi terribilmente, ma anche a sentirsi più vicino al paradiso travolti da un virtuosismo gestuale e scenico.
L’ultima parte del libro si concentra poi sulla figura di Bernardino da Feltre e sulla sua vita itinerante, esempio di uno stile di vita e di un mestiere lontano nel tempo ma strettamente connesso alle tecniche della comunicazione di massa del mondo contemporaneo, mettendo in luce come anche in un epoca ormai remota esistesse la consapevolezza dell’uso sapiente della parola come mezzo di manipolazione e persuasione combinata e amplificata da un studiato apparato di immagini e gesti.