Storicamente. Laboratorio di storia

Biblioteca

Sylvie Joye, "La femme ravie. Le mariage par rapt dans les sociétés occidentales du haut Moyen Âge"

PDF

Sylvie Joye, "La femme ravie. Le mariage par rapt dans les sociétés occidentales du haut Moyen Âge", Turnhout: Brepols Publishers, 2012, 528 pp.

 

Il libro di Sylvie Joye analizza nella sua complessità e nel quadro dei suoi risvolti sociali la pratica del rapimento di donne, a scopo per lo più matrimoniale, tra la tarda antichità e l’alto medioevo europeo (secoli IV-X). Dalla trattazione, tale fenomeno emerge come una pratica volta a stabilire legami non solo coniugali, ma anche e anzitutto sociali (alleanze familiari, allargamento dei gruppi parentali e delle fedeltà personali), assumendo così una funzione centrale in una società, come quella altomedievale, interamente retta da legami interpersonali e tra gruppi di potere, che costituiscono la base per qualsiasi strategia di affermazione sociale o di legittimazione di posizioni di dominio.

Il libro, aperto da un’introduzione generale a carattere latamente storiografico, si compone di otto capitoli e si chiude con succinte ma concettualmente corpose conclusioni. L’A. traccia anzitutto una ricognizione degli studi (quasi esclusivamente antropologici) sul rapimento e sulla famiglia dal XIX secolo a oggi, e illustra l’ampio ventaglio di fonti impiegate nella ricerca. Segue la descrizione di un rapimento-tipo in tutte le sue componenti, attori coinvolti, luoghi, tempi, e l’esame dei possibili risultati e delle conseguenze, positive e negative, di tale pratica su tutti gli attori in gioco, sottolineando come, sin dalla legislazione costantiniana, ciò che connota il rapimento quale crimine pubblico sia il mancato consenso dei genitori della donna rapita. Proprio la famiglia della donna sembra avere da perdere in un episodio di rapimento, avendo dimostrato di non essere stata in grado di proteggere una donna sottoposta alla propria tutela. Soprattutto per questo motivo il rapimento è visto, a livello pubblico, come una potenziale fonte di contaminazione non solo e non tanto sessuale, bensì sociale, capace di scavalcare gerarchie e distinzioni ritenute fondamentali per il mantenimento dell’ordine e della stabilità.

Ma è nella seconda parte, meno descrittiva e più riflessiva, del libro che Joye conduce le considerazioni più interessanti. Esamina in primo luogo le ragioni e gli scopi che muovevano un rapitore tra IV e VIII sec., ragioni, ancora una volta, di natura soprattutto sociale, di arricchimento e rafforzamento tramite unioni ipergamiche. Le differenti categorie di donne coinvolte (ragazze fidanzate, donne sposate, vedove, anche monache) sembrano tuttavia attribuire connotazioni di volta in volta diverse a quell’espressione (estrema) di competizione sociale per via matrimoniale che è un rapimento. Lo sviluppo dell’interpretazione sociale del rapimento in questa prima fase (secoli IV-VIII) è condotta sulla base della legislazione, di ambito sia romano, sia barbarico. Emerge una latente ma costante dialettica tra la tendenza, da parte delle famiglie coinvolte, a trovare soluzioni private, compromessi, persino matrimoni riparatori, e i continui sforzi dell’autorità pubblica, imperiale o regia, di estendere la propria giurisdizione sui casi di rapimento, rivendicando il diritto di giudicare il colpevole con pene che, pur molto variabili a seconda degli ordinamenti, appaiono il più delle volte improntate a una severità esemplare. Solo in epoca carolingia sul rapimento si innesca una discussione che ne ridefinisce lo statuto. Nonostante la sua progressiva demonizzazione, quale sembra emergere dall’anonimo trattato De raptu (metà IX sec.), la rappresentazione del rapimento nelle fonti carolinge oscilla tra piaga sociale da condannare in quanto perturbatrice dell’ordine gerarchico, e strumento ancora efficace e usato nel sistema di scambi e di alleanze matrimoniali che coinvolge le élites. In epoca tardo e postcarolingia, le stesse principesse regie, e dunque le famiglie di cui fanno parte, diventano oggetto del desiderio dei rapitori. Le conclusioni pongono una volta di più l’accento sul valore del rapimento come pratica sociale, volta a superare – con un’azione certo decisiva e rischiosissima – differenze sociali altrimenti cristallizzate, ma proprio per questo specchio indiretto di quelle stesse differenze, e dunque delle gerarchie che percorrono le società dell’occidente tardoantico e altomedievale.

Il libro si inserisce pienamente nelle più recenti tendenze interpretative e di ricerca in ambito altomedievistico, in particolare di area francofona: concetti quali le reti di alleanze, la dialettica tra potere pubblico e sfera privata, la competizione e le pratiche sociali messe in atto dalle élites guidano costantemente l’analisi e consentono di restituire un quadro sistematico del fenomeno del rapimento.