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Elena Bonora, “Aspettando l’imperatore. Principi italiani tra il papa e Carlo V”

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Elena Bonora, “Aspettando l’imperatore. Principi italiani tra il papa e Carlo V”, Torino, Einaudi 2014, pp. X - 286

«La notte tra il 18 e il 19 settembre 1549 in palazzo Medici a Firenze il cardinale Benedetto Accolti noto ai più come cardinale di Ravenna ebbe un colpo apoplettico. Quarantott’ore più tardi spirava all’età di cinquantadue anni lasciando erede universale Cosimo de’ Medici. Nei giorni successivi staffette e corrieri galopparono tra le corti di Firenze, Ferrara e Mantova, portando dispacci dei rispettivi principi» con l’ordine di far sparire le lettere che il cardinale aveva scambiato con loro e molti altri importanti personaggi del suo tempo perché, come scriveva di suo pugno il duca di Ferrara Ercole II d’Este al cugino cardinale Ercole Gonzaga, gli pareva «fosse meglio per ogni rispetto che non fossero viste da altri». Con la morte dell’Accolti e questo concitato scambio di lettere allarmate inizia la vicenda ricostruita da Aspettando l’imperatore, l’ultimo libro di Elena Bonora.

Per la fortuna dell’autrice e nostra, il prudente signore di Firenze non distrusse le lettere ma, forse per rispetto della sua memoria e in nome della affettuosa amicizia che lo legava all’Accolti, o più probabilmente pensando che gli sarebbero potute tornare utili ove il quadro delle alleanze e delle amicizie personali e politiche fosse cambiato, le conservò nel suo archivio dove Bonora le ha ritrovate e decifrate. Ma cosa c’era di tanto compromettente in quelle lettere? Ce ne dà una chiara idea quella della primavera del 1543 citata dall’autrice all’inizio dell’introduzione: in essa l’Accolti scriveva in spagnolo all’imperatore Carlo V, atteso a Genova da dove intendeva proseguire per la Germania, che se il Turco e il re di Francia erano i suoi peggiori «nemici pubblici… il nemico più certo, che maggiormente sotto sembianze di amico può danneggiare e danneggia Vostra Maestà è il papa»; invitava perciò l’Asburgo a sbarcare non a Genova, ma a Gaeta, e a invadere lo stato della Chiesa «cominciando dalla testa che è Roma» per ripristinare la sua autorità su «tutto lo stato temporale» usurpato dai papi al Sacro Impero e farsi «signore» di Italia e «di tutto il mondo».

È a partire dal fitto carteggio fra l’Accolti e alcuni dei protagonisti delle vicende italiani di quegli anni – spicca fra tutti il cardinale Ercole Gonzaga fratello del governatore di Milano Ferrante e cugino del duca di Ferrara, il più assiduo fra i suoi corrispondenti, e quello a lui più legato da una profonda consonanza politica e culturale – che Elena Bonora reinterpreta le complesse vicende che si svolsero sul teatro politico italiano negli anni compresi fra la pace di Bologna del 1530 e il conclave del 1549 che, dopo la morte di Paolo III Farnese, segnò l’ascesa sul soglio pontificio di Giulio III del Monte.

Si tratta di un corpus di lettere in gran parte già conosciute ed utilizzate dagli studiosi ma, fino a questo momento, non adeguatamente comprese e valorizzate, anche perché di difficile decodificazione, in quanto in parte cifrate e, anche quando scritte “in chiaro”, infarcite di riferimenti e pseudonimi ispirati alla cultura classica non immediatamente decifrabili. Un primo merito dell’autrice è stato appunto quelle di decrittarle, con un lavoro di pazienza certosina e grazie alla sua perfetta conoscenza dei personaggi e delle vicende di quegli anni. Una volta assodato che Cacco è papa Paolo III e cacchici i suoi amici e alleati, Sansone è l’imperatore Carlo V, la spelonca è la curia romana e così via classicheggiando, il carteggio perde la sua cifra di colto e scanzonato divertissement di alti prelati, principi, cortigiani e uomini politici imbevuti di cultura umanistica, e diventa il filo rosso che permette all’autrice di ricostruire in modo superbo un audace e ambizioso progetto politico, quello del partito dell’imperatore.

La sua tesi di fondo è infatti che nell’Italia degli anni ’40 del Cinquecento la partita degli equilibri politici non era ancora chiusa e che un vasto schieramento che comprendeva membri della curia cardinalizia - Accolti, Gonzaga, Salviati, Cibo, Doria - , signorie italiane di peso come quelle di Firenze, Mantova e Ferrara e altre minori, ma pur sempre non trascurabili nel complesso scenario della penisola, come i Rossi, i Colonna e i Cibo, alti ufficiali imperiali come Diego Hurtado de Mendoza ambasciatore a Venezia, Ferrante Gonzaga governatore di Milano e Pedro Alvarez de Toledo vicerè di Napoli, lavorava per convincere Carlo V a marciare di nuovo su Roma e rovesciare l’odiato pontefice e la sua ambiziosa famiglia. Si trattava di un progetto non necessariamente velleitario, sostiene l’autrice, la quale però deve concludere che, proprio come il Godot cui allude l’indovinatissimo titolo del libro, l’imperatore, tanto a lungo atteso, alla fine non arrivò e alla morte dell’odiato papa Farnese il partito imperiale si sfaldò, verosimilmente perché tenuto insieme solo dall’odio per Paolo III e la sua famiglia, ma privo di un coerente progetto politico.

Rimane il fatto che Aspettando l’imperatore è un libro che rivela una profonda e raffinata conoscenza del periodo trattato ed è scritto con uno stile di rara godibilità che lo fa leggere tutto di un fiato, nonostante la complessità dell’intreccio e la puntualità della ricostruzione.