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Stefan Burkhardt, Thomas Foerster (eds.), “Norman Tradition and Transcultural Heritage. Exchange of Cultures in the 'Norman' Peripheries of Medieval Europe”

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Norman Tradition and Transcultural Heritage. Exchange of Cultures in the "Norman" Peripheries of Medieval Europe, edited by Stefan Burkhardt and Thomas Foerster, Farnham : Ashgate, 2013, VI, 305 p.

Questo volume miscellaneo, composto di tredici interventi, affronta un tema tradizionale degli studi sui Normanni in Europa: il rapporto fra il mantenimento di cosiddette tradizioni normanne e l’acquisizione di usi locali da parte dei conquistatori normanni che, nel corso di alcuni secoli (IX-XII), si insediarono in gran parte dell’Europa medievale, dalla Scandinavia all’Italia del Sud passando per la Normandia e l’Inghilterra. 

Al Mezzogiorno è dedicato il maggior numero di interventi, che affrontano da prospettive diverse il problema dello sviluppo delle tradizioni normanne all’interno di un contesto multiculturale. Il saggio di Graham Loud (cap. 2) offre una ridefinizione del problema stesso in due direzioni. In primo luogo, mette in luce l’opportunità di uno spostamento dell’attenzione dalla definizione delle tradizioni normanne – intese come elementi connotanti un’identità e una cultura ben definite – all’impatto dei Normanni in Italia, con una maggiore attenzione per i contesti. In secondo luogo, mostra che è importante mettere in rilievo le situazioni nelle quali l’identità Normanna diventava significativa, alla luce del fatto che i conquistatori non rappresentavano un gruppo uniforme per provenienza ed erano fortemente integrati nelle società locali di arrivo.

Su posizioni simili sembra collocarsi Eleni Tounta (cap. 6) che si sofferma sulle strategie di costruzione di un’identità normanna incentrata sulla famiglia degli Altavilla, a partire da un’analisi dei testi di Guglielmo di Puglia e di Goffredo Malaterra secondo i parametri, rispettivamente, del poema epico e della chanson de geste.

Hubert Houben (cap. 1) propone invece di leggere la Sicilia normanna come un “terzo spazio” fra il mondo arabo-musulmano e l’occidente cristiano, ovvero come un luogo «fra le culture» (p. 20) dove la mescolanza degli elementi arabo-musulmani e greco-ortodossi preesistenti con la componente latino-cattolica dei Normanni avrebbe dato luogo a una nuova cultura ibrida, connotata dall’affiancamento di questi tre elementi, fino al prevalere della cultura latina nella seconda metà del secolo XII. In una prospettiva analoga, Julia Becker (cap. 4) analizza la presenza nelle cancellerie di Ruggero I e di Ruggero II di Sicilia di tradizioni diplomatiche varie – ducali (di Normandia), papali, greco-bizantine ed arabe – con usi e funzioni tuttavia diversi prima e dopo l’instaurazione del regno. All’influenza della classe media intellettuale greco-bizantina e del modello imperiale d’Oriente nella Calabria e nella Sicilia normanne prima della de-ellenizzazione avvenuta nel XIII secolo è dedicato il contributo di Vera von Falkenhausen (cap. 3).

In una prospettiva in un certo senso rovesciata Francesco Panarelli (cap. 9) interpreta la conquista normanna nel ducato di Puglia nel secolo XI come occasione per la creazione di identità locali. Attraverso l’inventio, cioè il rinvenimento, e la translatio delle reliquie e la connessa costruzione o ricostruzione delle cattedrali alcune comunità urbane della Basilicata e della Puglia attuali poterono costruire nuove identità cittadine. Un’analisi ulteriore del sottogenere agiografico dell’inventio e della translatio delle reliquie è condotta da Corinna Bottiglieri (cap. 5) per indagare l’influenza dei Normanni sui culti locali e sulla produzione agiografica.

Alle questioni identitarie sviluppatesi in area anglo-normanna è dedicato il saggio di Amy C. Mulligan (cap. 12), che affronta il problema della conquista normanna dell’Irlanda nella seconda metà del secolo XII in chiave geografica: la scrittura del territorio, ovvero la sua costruzione narrativa (nelle cronache) e grafica (sulle mappe), come mezzo per affermare la conquista. Alla luce della peculiare difficoltà di integrazione dei Normanni in Irlanda rispetto ad altre aree (Francia, Inghilterra, Italia), l’autrice conduce un’analisi delle modalità in cui l’isola è collegata all’Inghilterra normanna ed è costruita nei documenti della conquista. In area anglo-normanna si colloca anche l’intervento di Sigbjørn Sønnesyn (cap. 10), che propone di sostituire la nozione di etnogenesi con quella di etnopoiesi: una precisazione lessicale che non corregge, anzi rafforza, i modelli interpretativi che – a partire dagli studi della cosiddetta Scuola di Vienna – hanno da tempo messo in luce il carattere di costruzione politico-culturale delle identità “etniche” medievali. La storiografia anglo-normanna è oggetto, infine, dell’analisi di Benjamin Pohl (cap. 11), che prende le mosse dalla nozione di memoria culturale definita da Jan e Aleida Assmann.

A partire dall’esame delle fonti arabe, invece, Thorir Jonsson Hraundal (cap. 13) connota i Rus – gruppi che nella prima metà del IX secolo si diressero a est – come Turchi, opponendosi così alla dicotomia tradizionale fra chi li considera Vichinghi e chi li vuole Slavi.

Con gli interventi dei due curatori si torna infine all’Italia normanna, da una prospettiva imperiale. Sulla base della definizione di impero data da Hans-Heinrich Nolte, Stefan Burkhardt (cap. 7) tenta di dare un quadro teorico degli elementi imperiali nel regno di Ruggero II intesi sia come strategie di autorappresentazione del sovrano sia come influenza di un paradigma imperiale nel Regno di Sicilia (un’«eredità imperiale» fatta di magistrature, istituzioni, leggi, cerimonie, edifici etc.). Di segno opposto sarebbe invece l’influenza dell’«eredità normanna» sull’imperatore Enrico VI descritta da Thomas Foerster (cap. 8). Dopo la conquista del regno di Sicilia nel 1194 l’imperatore Enrico VI avrebbe infatti dimostrato una maggiore crudeltà nel trattamento degli ostaggi e dei prigionieri politici, che sarebbe stata tipica della cultura politica della Sicilia del secolo XII, basata sulla violenza e sul principio del rigor iustitiae. Al contrario, la “tradizione” occidentale e nordica – della quale, fino ad allora, l’imperatore sarebbe stato un esponente – sarebbe stata fondata sulla pax Dei (intesa come forma di risoluzione pacifica dei conflitti) e sugli ideali cavallereschi e, dunque, sarebbe stata aliena da forme di crudeltà nei confronti dei prigionieri.

Il volume raccoglie gli atti di un convegno internazionale tenuto a Heidelberg nel 2010, e trova nell’attenzione precipua alle periferie dell’Europa normanna il suo tessuto connettivo.