Provos olandesi
Gruppo che apparve nelle strade olandesi nel 1965 imperversando con i suoi famosi Piani bianchi contro le «scatole ostenta status», ovvero le macchine a benzina, a favore di una sessualità più consapevole e per i diritti degli omosessuali, contro la violenza della polizia ecc. I provos olandesi si distinguevano, secondo “Panorama”, dai «giovani arrabbiati che turba[va]no i sonni delle autorità e dei genitori in ogni parte del mondo compresa l’URSS» proprio perché in possesso di un programma politico ben preciso: scuotere l’attenzione generale su alcuni problemi quali, ad esempio, l’inquinamento da gas di scarico, le malattie provocate dal fumo di sigarette, l’educazione sessuale, la liberalizzazione delle droghe leggere, ecc.
Loro obiettivo era fare in modo che la gente non si addormentasse, soprattutto in un paese ricco come l’Olanda in cui era possibile che le persone non solo si lasciassero travolgere dal sonno ma
smettessero di pensare iniziando a vegetare. Nonostante le difficoltà rappresentate da una lingua ostica come quella olandese e dalla mancanza di quel «megafono fondamentale rappresentato dalla
musica pop», che contribuì alla diffusione della beat generation prima e del movimento Hippy poi, la rivolta dei Provos olandesi ebbe comunque una eco straordinaria in tutta
Europa. Anche il prefetto di Milano, in alcune informative del ‘67, constatava che tra i capelloni milanesi il gruppo più consistente era appunto «quello detto dei “provos”, che si ispira[va]
all’omonimo movimento di Amsterdam» ricorrendo a quelle a pratiche «perturbative» - sit-in, happening ecc. – e comunicative già sperimentate dal gruppo olandese con l’obiettivo di usare
«l’immaginazione contro il potere», riscoprendo l’aspetto ludico della politica, stravolgendo gli schemi del tradizionale linguaggio politico – quello, per intenderci, che negli anni Settanta
sarebbe stato etichettato “politichese” – con la satira e l’ironia.
L’obiettivo del “provotariato” olandese era quello di introdurre nuovi temi politici aprendo la strada ad un nuovo modo di intendere e vivere la politica. Non fu un caso, infatti, che il
trentenne Vittorio Di Russo, figura di spicco del capellonismo milanese, balzò agli onori della cronaca italiana proprio di ritorno da Amsterdam: la città che grazie ai provos diventò
«la leggendaria Mecca della controcultura, un laboratorio per ardite sperimentazioni sociali ed evolutive, l’unica città d’Europa con un cuore abbastanza grande e leggero da essere adatto
all’atterraggio dell’immaginazione». Una metropoli che si trasformò, a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta, nella «prima “zona liberata” del pianeta» e in cui, prima «del maggio
francese, prima della Swinging London, prima di Haight-Ashbury», le idee della Nuova Coscienza ebbero modo di mettere solide radici, in cui i capelli lunghi ed i vestiti eccentrici vennero
accettati normalmente. Amsterdam fu anche il primo posto in cui la miscela tra poesia, droghe e musica pop riuscì a dar vita ad un movimento controculturale vero e proprio. Pacifisti e, forse
inconsapevolmente, dadaisti post litteram, i Provos attraverso gli happening e il détournement ottennero tra il 1965 e il 1967 un incredibile successo soprattutto per
il clamore che suscitarono le loro azioni tese a smascherare, con il gioco, le meschinità della società capitalistica. Tra le tante iniziative organizzate in questo periodo il «giocoso
Provotariato» olandese inaugurò il 12 novembre 1966 il Concilio Provo I nel castello di Borgharen nelle vicinanze di Maastricht. Persino “Il Corriere della Sera” dedicò un articolo al singolare
simposio che aveva l’obiettivo di gettare le basi del Provomondo creando nell’immediato futuro il «consumatore consapevole» e resistendo alla «catastrofe pianificata attraverso azioni
contro le automobili, contro l’aumento della popolazione e contro l’inquinamento».
In realtà, da un punto di vista pratico, il Concilio, apertosi con un lavaggio collettivo dei piedi sabato 12 novembre e conclusosi con lo stesso rituale il lunedì 14 novembre, non servì a nulla
se non a “spillare” un bel po’ di denaro ai giornalisti della stampa internazionale – alla fine infatti vi erano più giornalisti che provos – che, per essere accreditati, furono
costretti a pagare un esoso biglietto di ingresso.
In occasione delle elezioni per il rinnovo del Consiglio Comunale della capitale olandese il provotariato, inoltre, scatenò una inverosimile campagna elettorale: tutta la città venne tappezzata da enormi collage con il numero 12 – la lista dei provos era appunto la numero 12 – in bella vista. Grazie a slogans elettorali tanto ironici quanto improbabili - «Votate Provo per avere bel tempo» e «Votate Provo e vi farete quattro risate» - e a continue trovate “pubblicitarie” improvvisate per le strade, 13 mila cittadini accordarono il loro voto alla lista numero 12 facendo sì che i provos si aggiudicassero un seggio. Il ventiduenne Bernhard De Vries, che lo occupò per alcuni mesi, insidiò per un periodo «il posto occupato nei cuori e nei diari delle ragazzine beat da Paul McCartney e da Mick Jagger». Il gruppo decise di sciogliersi per non correre il rischio di diventare prevedibile il 13 maggio 1967 con una grande festa a Vondel Park, introducendo il modello d’azione “della morte e trasfigurazione” che prevedeva lo sparire per poi tornare in un’altra forma; modello questo a cui faranno riferimento i vari gruppi controculturali europei e italiani.
Da M. Guarnaccia, Provos. Amsterdam 1960-1967: gli inizi della controcultura, Bertiolo, AAA edizioni, 1997 e Rapporto del prefetto di Milano del 27 febbraio 1967, in Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell’Interno, Gabinetto, 1967-’70, b. 39, f. 11001/98.