Franco Freda, La disintegrazione del sistema
Nel 1969, uscì nelle librerie un lavoro di Franco Freda La disintegrazione del sistema, che influenzò in maniera rilevante i giovani neofascisti di quegli anni. Secondo la ricostruzione di Freda, il risultato dello sviluppo europeo è il mondo capitalista-borghese, governato dall’istanza economica e dal principio dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. In tale contesto, l’esistenza della borghesia dipenderebbe dalla sopravvivenza dello stesso sistema statale, da cui essa trarrebbe sostentamento e protezione. Contro questa degenerazione Freda auspicava la costituzione di uno Stato Popolare, molto simile a quelli del cosiddetto socialismo reale. In politica estera, il nuovo Stato avrebbe dovuto denunciare il Patto Atlantico, rompere le alleanze con le «strutture neocapitalistiche supernazionali» e stipulare trattati con «gli Stati realmente anticapitalisti». Freda teorizzava così l’eversione totale del sistema politico esistente attraverso un’«azione rapida» che conducesse ad «accelerare l’emorragia» e, quindi, a «sotterrare il cadavere». In quel contesto – in cui l’attacco alla società borghese era parte integrante della cultura neofascista come, lo era stato, di quella fascista – l’originalità dell’impostazione frediana dipese anche dalla teorizzazione del cosiddetto «fronte unito rivoluzionario». Questo va inteso non come una mera ipotesi teorica, ma come una concreta proposta strategica. Così, forgiando dei «soldati politici» in cui la «purezza giustifica ogni durezza e il disinteresse ogni astuzia», dovrebbe essere instaurata un’unità operativa con tutte le forze antisistema di forze di estrema destra e di estrema sinistra.
F. Freda, La disintegrazione del sistema, Padova, Edizioni di AR, Padova 2000, 34-49.