Rivolta giovanile
In realtà, le riflessioni di Adriano Romualdi sul movimento di contestazione derivavano da alcune sue precedenti elaborazioni che erano risultate estremamente lucide. Nel 1965, infatti egli aveva
scritto un saggio, dal titolo Perché non esiste una cultura di destra, diffuso come ciclostile nelle università dal FUAN, l’organizzazione studentesca missina. Nell’articolo – pubblicato
successivamente, nel settembre del 1966, su «Pagine libere» e su «L’Italiano», nel numero di luglio-agosto del 1970 –, si metteva in evidenza quali erano le incapacità della destra neofascista di
quegli anni nel presentarsi come forza politica proiettata verso il futuro.
Innanzitutto, per Romualdi la destra italiana doveva svecchiarsi ed uscire dall’asfittica trappola del «conservatorismo»; quella destra, eccessivamente impegnata nel contingente
politico, era incapace di predisporre una strategia ad ampio respiro. La sua analisi prendeva l’avvio dalla convinzione che, rispetto all’ambiente di sinistra, a destra non vi era una «coscienza
culturale». Scriveva infatti Romualdi:
Uno dei motivi che più ricorrono sulla nostra stampa e nelle conversazioni del nostro ambiente è la condanna del massiccio allineamento a sinistra della cultura italiana. Questa condanna viene formulata in tono un po’ addolorato, un po’ sorpreso, quasi fosse innaturale che la cultura si trovi ormai schierata da quella parte mentre a destra si incontra un vuoto quasi completo. Di solito si cerca di rendersi ragione di questo stato di cose con spiegazioni a buon mercato, quel tipo di spiegazioni che servono a tranquillizzare sé stessi e permettono di restare alla superficie delle cose. Si dice – ad esempio – che la cultura è a sinistra perché là si trova la maggior quantità di danaro, di case editrici, di mezzi di propaganda […]. In tutto questo c’è del vero. Una cultura, o meglio, la base di lancio di cui una cultura ha bisogno, è anche organizzazione, denaro, propaganda […]. Ma ciò non deve farci dimenticare la vera causa del predominio dell’egemonia ideologica della Sinistra. Esso risiede nel fatto che là esistono le condizioni per una cultura, esiste una concezione unitaria della vita materialistica, democratica, umanitaria, progressista. Questa visione del mondo e della vita può assumere sfumature diverse, può diventare radicalismo e comunismo, neoilluminismo e scientismo a sfondo psicanalizzante, marxismo militante e cristianesimo positivo d’estrazione “sociale”. Ma sempre ci si trova di fronte ad una visione unitaria dell’uomo, dei fini della storia e della società. Da questa comune concezione trae origine una massiccia produzione saggistica, storica, letteraria che può essere meschina e scadente, ma ha una sua logica, una sua intima coerenza […]. Dalla parte della destra nulla di tutto questo. Ci si aggira in un’atmosfera deprimente fatta di conservatorismo spicciolo e di perbenismo borghese. Si leggono articoli in cui si chiede che la cultura tenga maggior conto dei “valori patriottici”, della “morale” il tutto in una pittoresca confusione delle idee e dei linguaggi. A sinistra si sa bene quel che si vuole. Sia che si parli della nazionalizzazione dell’energia elettrica o dell’urbanistica, della storia d’Italia o della psicoanalisi, sempre si lavora a un fine determinato […]. A destra si brancola nell’incertezza, nell’imprecisione ideologica […]. Mentre l’uomo di sinistra ha anche degli elementi di cultura di sinistra, e orecchia Marx, Freud, Salvemini, l’uomo di destra difficilmente possiede una coscienza culturale di destra. Egli non sospetta l’importanza di un Nietzsche nella critica della civiltà, non ha mai letto un romanzo di Jünger o di Drieu La Rochelle, ignora il “Tramonto dell’Occidente” né dubita che la rivoluzione francese sia stata una grande pagina nella storia del progresso umano.
A. Romualdi, Perché non esiste una cultura di destra, in: Id., Una cultura per l’Europa, Roma, Settimo Sigillo, 1986, 63-65.