J. Evola - La gioventù, i beats e gli anarchici di destra
Il volume, L’arco e la clava, che conteneva l’articolo La gioventù, i beats e gli anarchici destra, apparve nel febbraio del 1968 per le edizioni di Vanni Scheiwiller in una tiratura di 1500 copie. Una seconda edizione uscì nel dicembre del 1971 in una quantità di 2000 copie. In poco più di tre anni il libro divenne quasi introvabile: un fatto insolito per un’opera di Evola. Probabilmente si può ipotizzare che il rapido esaurirsi di quel lavoro dipese, appunto, dalla presenza nel libro di questo saggio ritenuto fondamentale per quel momento storico. Nell’articolo Evola, analizzando il movimento di contestazione, riteneva «legittima la rivolta contro il sistema esistente», ma la considerava vuota di valori e priva di una superiore legittimazione. In un passo dell’articolo Evola infatti scriveva:
Sul problema della nuova generazione e dei “giovani” è stato scritto molto, anzi troppo […]. Non v’è dubbio che si viva in un’epoca di dissoluzione, così la condizione che tende sempre più a prevalere è quella di colui che è “sradicato”, di colui pel quale la “società” non ha più un significato, per cui non lo hanno nemmeno i vincoli che regolavano l’esistenza e che, del resto, per l’epoca che immediatamente ci ha preceduti, e che in varie aree ancora si continua, erano soltanto quelli del mondo e della morale borghesi. Naturalmente, di questa situazione la gioventù ha avuto a risentire e in particolar modo, e sotto questa prospettiva porsi alcuni problemi può essere legittimo […]. Una nuova generazione, dunque, subisce semplicemente lo stato di fatto; essa non si pone nessun vero problema del trovarsi, per così dire, slegata fa un uso da dirsi senz’altro stupido. Quando questa gioventù pretende di non essere capita, la sola risposta da darle è che in essa non vi è proprio nulla da capire […]. Il presunto anticonformismo di certi atteggiamenti, a prescindere dalla loro banalità, segue del resto, una specie di voga, di nuova convenzione, per cui è proprio il contrario di una manifestazione di libertà […]. Questo tipo di “gioventù” definita dalla sola età […] soprattutto in Italia è fortemente rappresentato.
In questo contesto, il filosofo, esacerbando le sue critiche verso i movimenti giovanili italiani ed esaminando anche i movimenti provenienti dall’estero, come la beat generation, sosteneva invece che lo spirito ribellistico che era alla base di quest’ultima era da considerarsi “legittimo”.
Per cogliere le forme più tipiche [di questa ribellione giovanile] – replicava Evola – forse occorre riferirsi, però, all’America, in parte anche all’Inghilterra. In America sono già venuti in evidenza su larga scala fenomeni di traumatizzazione spirituale e di rivolta di una nuova generazione. Alludiamo a quella a cui si è dato il nome di beat generation […]: i beats o beatnicks, in una loro variante chiamati anche hipsters […]. Le forme beat del fenomeno di rivolta hanno rivestito uno speciale carattere paradigmatico e, naturalmente, non sono da mettersi sullo stesso piano di quella gioventù stupida di cui abbiamo parlato poc’anzi avendo in vista soprattutto l’Italia. Dal nostro punto di vista, esaminare brevemente problemi in questo fenomeno ha una ragion d’essere perché condividiamo quel che da alcuni beats è stato affermato, ossia che all’opposto di quanto pensano psichiatri, psicanalisti e “assistenti sociali”, data una società e una civiltà come le attuali e, specialmente, come quella americana, nel ribelle, in colui che non si adatta, nell’asociale, è in via di principio da vedersi l’uomo sano. In un mondo anormale i valori si capovolgono: colui che appare anormale rispetto all’ambiente esistente è probabile che sia proprio lui “normale”.
Partendo da tale punto di vista, Evola tracciava le differenze fra il beat e il cosiddetto “anarchico di destra”
Dal nostro punto di vista l’unica problematica riguarda la definizione di colui che potremmo chiamare l’“anarchico di destra”. Vedremo la distanza che separa questo tipo, dall’orientamento problematico proprio, quasi sempre, al non-conformismo dei beats e degli hipsters. Il punto di partenza, ossia la situazione che determina la rivolta del beat, è ovvio. Viene accusato un sistema che pur senza presentare forme politiche “totalitarie” soffoca la vita, colpisce la personalità […]. In tale clima viene sentita a vivo appunto la condizione di esseri senza radici, di esser una unità sperduta nella “folla solitaria” […]. I valori tradizionali sono andati perduti, i nuovi miti vengono smascherati e questa “smitizzazione” colpisce tutte le nuove speranze […]. Qui, tuttavia, si può già indicare il più importante tratto distintivo rispetto al tipo di un “anarchico di destra”: il beat non reagisce e non si ribella partendo dal positivo, ossia avendo una nozione precisa di quello che sarebbe un ordine normale e sensato, tenendosi ben fermo a certi valori fondamentali. Egli reagisce quasi d’istinto in un confuso modo esistenziale, contro la situazione dominante, quasi come accade in certe forme di reazione biologica. Invece, l’anarchico di destra sa quel che vuole, ha una base per dire “no”. Il beat non solo, nella sua caotica rivolta, tale base non l’ha, ma vi è anche ragione di sospettare che qualora gliela si indicasse egli probabilmente la respingerebbe. Così, per lui può valere la definizione di “ribelle senza bandiera” o “senza causa”.
J. Evola, La gioventù, i beats e gli anarchici di Destra, in: Id., L’arco e la clava, Roma, Edizioni Mediterranee, 1995, 191- 195