Con il termine gacaca, letteralmente 'prato' in kinyarwanda, si intendono le corti stabilite con la legge 40/2000 del 26 gennaio 2001 con giurisdizione sugli accusati di
aver commesso atti di genocidio e crimini contro l'umanità nel periodo compreso tra il 1 ottobre 1990 e il 31 dicembre 1994. Venne stabilito che ogni cellula (il Rwanda è diviso in cellule,
settori, distretti e province) avrebbe avuto il suo gacaca, dove gli accusati sarebbero stati giudicati da un collegio composta da giudici nominati o eletti tra i membri della popolazione
considerati più adatti per formazione o più saggi. I principi dei gacaca, che li rendono profondamente distinti dalle normali corti giudiziarie, sono essenzialmente due: la partecipazione
obbligatoria della comunità e la testimonianza e l'eventuale confessione come unici strumenti per indagare la verità. La letteratura sul funzionamento e sull'efficacia dei gacaca è numerosa, e
riflette il dibattito tra chi vede tale strumento come utile per la riconciliazione nazionale e chi invece lo considera addirittura dannoso perché aiuterebbe a fomentare le divisioni sociali. Si
veda ad esempio B. Ingelaere, «'Does the truth pass across the fire without burning?' Locating the short circuit in Rwanda's Gacaca courts», Journal of Modern African Studies, 47/4, 2009, 507-528;
Amnesty International, Rwanda. Gacaca: A question of justice, AI AFR 47/007/2002.