Il volume affronta aspetti fondamentali del rapporto fra costruzione della nazione ed elaborazione delle identità di genere durante l’età delle rivoluzioni e nell’ambito della società
liberal-borghese, nonché le problematiche riguardanti l’«invisibilità» delle scritture femminili e la ‘riscoperta’ degli epistolari quali fonti per la storia della soggettività.
Oggetto dell’analisi, e protagonisti di vicende ricostruite con grande abilità narrativa, sono i componenti della famiglia Ricciardi.
Giuseppe Ricciardi (1808-1882) è noto soprattutto come fondatore, nel 1832, de «Il Progresso», l’organo del liberalismo meridionale. Ma alla rivista egli dedicò in realtà alcuni mesi mesi, dato che
nel 1833 lasciò Napoli, e che poco dopo fu condannato all’esilio e si portò in Francia. Repubblicano e anticlericale, si conquistò una fama di ribelle ed eccentrico che non ne
facilitò l’integrazione nell’establishment post-unitario. Come giornalista, drammaturgo e scrittore ‘educativo’, perorò negli anni ’60-70 la riforma del diritto di famiglia e delle scuole
femminili. Nel 1869 fu promotore dell’Anticoncilio, la riunione di liberi pensatori celebrata a Napoli in opposizione alle deliberazioni romane di Pio IX.
Nella febbrile attività di Ricciardi Russo individua l’espressione di una «mascolinità tenera», che viene indaga attraverso i carteggi conservati presso la Biblioteca Nazionale di Napoli.
Nelle lettere, Ricciardi trattava soprattutto degli affetti, dell’educazione delle donne, del patriottismo. Erano i valori appresi dalla madre Luisa Granito, che nel 1799 aveva attivamente
sostenuto la Repubblica “giacobina” e che in seguito aveva molto curato la formazione dei figli. Pochi anni dopo la sua morte, Giuseppe fu costretto all’esilio: in quel frangente, divenne
essenziale il rapporto con la sorella Elisabetta, sua “procuratrice” presso i tribunali partenopei.
L’esule si lamentava dei modi spicci che riscontrava nelle lettere di Elisabetta; pativa la deferenza da lei ostentata nei confronti delle dispotiche autorità; non si rassegnava al suo conformismo
religioso. Poco espansiva, Elisabetta curava però con diligenza il patrimonio compromesso dalle disavventure giudiziarie, e si sforzava di partecipare alla formazione delle due figlie di Giuseppe
che crescevano fuor d’Italia.
Se Elisabetta era una «tiranna amorosa» (p. 70), l’altra sorella, Irene, era una creatura fragile. Russo evince una mutazione di registri e di priorità: sebbene Irene fosse un’ardente liberale,
nelle lettere Giuseppe si preoccupava soprattutto delle sue condizioni di salute, delle sue amicizie, del suo matrimonio. Il fratello, in questo caso, lasciava decisamente sullo sfondo il
politico.
Nell’ultima parte del volume, l’a. analizza alcuni carteggi intrattenuti con donne estranee all’ambito familiare. Dopo il rimpatrio, Ricciardi era raggiunto da moltissime donne, che gli scrivevano
per assicurargli solidarietà, ringraziarlo delle crociate “femministe”, sottoporgli progetti e chiedergli ‘consulenze’ letterarie.
Una delle figure più interessanti è quella di Giulia Caracciolo. La contessa napoletana, amica e seguace di Garibaldi, “maestra” di logge massoniche femminili, presiedette nel 1867 il comitato di
sostegno alla proposta di legge di Morelli e nel 1869 finì in carcere per «cospirazione». Nelle lettere a Ricciardi, si dilungò sul proprio itinerario, e sulle amare considerazioni circa la
condizione femminile suscitate in lei, non da ultimo, da un travagliato divorzio.
L’accuratissima esplorazione del fondo Ricciardi ha portato alla luce altri rapporti, altre figure, altre soggettività. Alle lettere di Ricciardi, si affiancano quelle scambiate tra Irene e la
celebre poetessa Giuseppina Guacci Nobile. Dopo averle analizzate con finezza, Russo rileva i tratti caratterizzanti di questa intensa amicizia che infine ascrive, rifacendosi alla definizione di
M. Meriggi, alla categoria dei legami «devianti rispetto al gender».
In conclusione, questo studio aggiunge un tassello notevole alla letteratura - italiana e internazionale - che negli ultimi anni ha iniziato a svelare la magmatica e complessa realtà che si celava
sotto le ‘vittoriane’ rigide contrapposizioni tra maschile e femminile e tra pubblico e privato.
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