David Bates, “The Normans and Empire: the Ford lectures delivered in the University of Oxford during Hilary Term 2010”, Oxford, Oxford University Press, 2013, 256 pp.
L’espansione di quelle genti che si auto-definivano Normanni è uno dei temi più cari alla storiografia medievale. Impiantatisi nel IX secolo in quella zona che poi prenderà il nome di Normandia, dal X fino al XII secolo creeranno un vasto sistema di domini indipendenti, dall’Europa Settentrionale a quella Meridionale fino al Vicino Oriente, diventando una popolazione-crocevia per la storia Europea. Cruciale in questa diaspora fu la conquista dell’Inghilterra nel 1066 e l’unione del regno inglese con il ducato di Normandia.
The Normans and Empire prende in esame il periodo che va dalla conquista dell’Inghilterra al collasso, nel 1204, del sistema di domini organizzatisi tra Normandia e Inghilterra. David Bates, nel corso di una più che quarantennale carriera accademica, ha concentrato il suo lavoro sul ruolo dei Normanni e della Normandia nello scenario europeo, rimarcando la loro capacità di imporsi anche come attori di primo piano della scena politica continentale. Il libro nasce dal ciclo di conferenze tenute dall’a. all'Università di Oxford nel 2010 per le “Ford's Lectures in British History”. Il testo stesso nasce così diviso in sei capitoli ognuno dei quali è la rielaborazione di una diversa conferenza, il che ne permette anche una lettura non unitaria.
Nel primo capitolo (The Normans and Empire) l’a. dapprima illustra il concetto di “impero normanno” e la relativa discussione storiografica poi passa all’illustrazione dei concetti chiave della sua analisi. Sono analizzati diversi aspetti quali la permeabilità del canale della Manica non inteso come un vero confine, il problema dell’identità etnica tra Angli e Normanni, l’uso dell’Hard Power (il potere di costrizione, violento) e la creazione di un linguaggio “imperiale” che desse al regno nato dalla conquista una prospettiva ben definita e lo legittimasse.
Il secondo capitolo (The Experience of Empire) si concentra sui legami creatisi, grazie all’unità politica, tra le due sponde della Manica. L’a. propone lo studio prosopografico come strumento analitico dei grandi network bi-continentali che si erano creati tra Normandia e Inghilterra coinvolgendo uomini, enti ecclesiastici e affari economici. Anche le opere storiche degli autori coevi sono analizzate in quest’ottica: si indaga in che modo questo gruppo di intellettuali “imperiali” descriva gli eventi post-conquista come un naturale prosieguo della storia britannica.
Il terzo capitolo (William the Conqueror as Maker of the Empire) analizza la figura di Guglielmo il Conquistatore quale creatore pratico dell’impero, riflettendo così sull’importanza degli studi biografici e anche sulle difficoltà che gli storici dell’XI/XII secolo avevano nel descrivere il fondatore dell’impero e il suo operato spesso brutale. Viene anche analizzato il modo in cui la stessa politica di Guglielmo creò quella fusione di uomini e interessi che poi caratterizzò l’impero.
Il quarto capitolo (Hegemony) ha come oggetto d’indagine le relazioni di potere che hanno portato i Normanni a giocare un ruolo egemonico negli equilibri del Nord Europa. Sotto esame il regno di Enrico I (1100-1135), la golden age durante la quale l’attrattiva e la convenienza nel partecipare alle dinamiche imperiali attrarranno sia le famiglie normanne, alle quali la continuità dell’impero darà sicurezza, sia gli altri regni britannici, come quelli gallesi o la Scozia, su cui l’influenza dell’impero sarà sempre più forte.
Nel quinto capitolo (Core, Periphery, and Network) l’a. analizza l’esistenza e la compresenza di differenti network relazionali, operanti su differenti livelli (locale, regionale, “imperiale”) e capaci di essere punto d’unione tra le diverse zone dell’impero. La creazione di queste diverse reti relazionali, che coinvolgevano anche istituzioni ecclesiastiche e interessi economici, è proposta come un modus operandi delle élites, utilizzato per sostenere o aumentare la propria influenza e come base della loro peculiare condizione di “élites bi-continentali”. Questo equilibrio sfuma anche le differenze tra centro e periferie dell’impero in un rapporto non biunivoco che vede, in base alle contingenze, la presenza di più “centri”, e permette alle periferie di entrare a far parte tanto dell’organizzazione dell’impero quanto partecipe del suo stesso milieu culturale.
Il sesto capitolo (Empire: from Beginning to End) oltre a ricapitolare l’analisi condotta propone anche per la fase finale dell’impero, dal 1154 al 1204, l’utilizzo degli strumenti prosopografici e dello studio delle differenti reti sociali per comprendere più a fondo le dinamiche dell’impero e del suo collasso.
È da segnalare, infine, che il termine impero in relazione ai domini normanni è frutto, tuttora in discussione, della riflessione storiografica inglese, ma che l’a. ne accetta l'uso però con un significato differente: impero come struttura di relazioni e di pratiche. Così l’uso di strumenti metodologici propri dello studio di altri periodi storici, delle scienze politiche e della sociologia gli permette di scomporre il puzzle di relazioni alla base della realtà sociale compostasi tra le due sponde della Manica. Nel volume, quindi, emerge con forza l’importanza dello studio biografico per capire gli spazi di manovra e la mentalità tanto dei maggiori protagonisti della storia normanna quanto del burrascoso mondo che gli ruotava intorno. Il concetto di “periferia” e lo sguardo ravvicinato sulla produzione culturale smentiscono inoltre una, per molto tempo, presunta biunivocità nei rapporti Inghilterra-Normandia. L’analisi condotta nel libro restringe di molto questa visione Anglo-centrica enfatizzando al contrario il valore e la presenza della Normandia come casa-madre e punto di partenza tanto per i Normanni quanto per coloro che si avvicinano allo studio del loro tortuoso tragitto.