Il volume raccoglie gli atti del convegno omonimo tenutosi a Milano nel dicembre 2002. Pressoché tutti i numerosi contributi esplorano il complesso e problematico rapporto tra la sfera militare e quella nazionale nel periodo napoleonico, con alcuni temi ricorrenti ma con una notevole diversità di approcci. Questa ricchezza di spunti costituisce un indubbio pregio del volume, nel quale si trovano contributi di lunghezza e di qualità difformi. Nell'impossibilità di citarli tutti, mi limiterò a quelli che mi sembrano più significativi.
Un punto comune a molti contributi è lo sfruttamento dell'Archivio di Stato di Milano, risorsa primaria per chi conduce ricerche sulle istituzioni cisalpino-italiane. Un tema dominante è naturalmente quello del cittadino-soldato, trattato magistralmente ad esempio da Vittorio Criscuolo, il quale ne ricerca la declinazione tra gli scrittori italiani. Antonino de Francesco suggerisce che in questo periodo si potesse credere nel «ruolo decisivo delle armi nel processo di modernizzazione della società italiana» proprio in quanto la «logica di militanza […] nasceva in ambito civile e solo successivamente si trasferiva nella dimensione delle armi» (p. 287).
Nella prima parte - I protagonisti - i contributi sono di carattere prevalentemente biografico, peraltro generalmente inquadrati in contestualizzazioni puntuali e convincenti. Non altrettanto si può dire dell’articolo di Luigi Amedeo Biglione di Viarigi sui generali fratelli Lechi. Sarebbe sufficiente d’altronde consultare le note per farsene un’idea: l’unico studio citato posteriore al 1940 è di Fausto Lechi (1964); le memorie di Teodoro Lechi da una parte, i proclami e le lettere di Giuseppe Lechi dall’altra, sono le fonti principali per condire in salsa risorgimental-patriottica le agiografie dei fratelli, espunte da episodi sconvenienti, come la detenzione di Giuseppe per tre anni a Vincennes sotto accusa di duplice omicidio. Le detenzioni politiche dei due fratelli sono invece puntualmente segnalate.
Fa eccezione al trend biografico l’articolo di Piero Del Negro sugli italiani nella campagna di Russia, la quale, al contrario di quella di Spagna, venne vista come evento «quasi fuori dalla storia», inutilizzabile in chiave nazionalistica se non per la sua dimensione apocalittica ed eroica.
Umberto Carpi, non perdendo di vista le biografie dei protagonisti, ci offre un grande affresco di storia culturale, teso a cogliere «il nesso fra identità nazionale, armi nazionali, lingua e poesia nazionale” (p. 43), già avvertito tra gli intellettuali militanti del Risorgimento. Del periodo napoleonico egli evidenzia la «straordinaria leva nazionale di intellettuali funzionari» costretta a muoversi nell’ambito di uno «Stato nazionale […] a responsabilità limitata» (p. 55) e quindi ad attenersi ad un «doppio registro di lealismo istituzionale e di latomismo patriottico» (p. 54). Questo tour de force è per così dire completato da Lauro Rossi, che si focalizza sulla centralità della sfera militare nella biografia e nella produzione di Ugo Foscolo, il più importante tra questi intellettuali militanti, convinto del resto che «la giustizia deriva dalla forza» (p. 104).
L'attenzione alle biografie resta peraltro elevata anche nella seconda parte, Le istituzioni. Vi sono tre articoli che utilizzano un metodo prosopografico: quelli di Emanuele Pagano, Stefano Levati e Annalucia Forti Messina. Il primo analizza la disciplina del matrimonio nell'esercito italiano attraverso ricerche archivistiche approfondite. Emerge una sostanziale divaricazione nella pratica matrimoniale tra gli ufficiali da una parte, e i sottufficiali e soldati dall'altra. I primi si sposavano infatti molto più frequentemente dei secondi, in un quadro di regolamentazione nel quale le domande di matrimonio venivano vagliate per via gerarchica. Levati si concentra sulle figure dei commissari di guerra, che paragona ai prefetti per la loro funzione di cinghia di trasmissione tra potere centrale e locale, oltre che per l'ampiezza delle attribuzioni. Le carriere di questi ultimi, come per gli ufficiali dell’esercito italico in generale, si svolsero essenzialmente nel triennio rivoluzionario, mentre in seguito le possibilità divennero molto minori. Questo settore dell’ufficialità sembra dominato da “borghesi”. Forti Messina, infine, si occupa della sanità militare, mettendo in rilievo il convogliarsi di esperienze e formazioni intellettuali diverse nello spazio italiano ed europeo dei medici e chirurghi militari, la regolamentazione in età napoleonica, e l'impegno di alcuni di loro - come rileva de Francesco nel suo contributo sul medico Vincenzo Solenghi – nell’«ambizioso progetto di costruire, anche sul versante scientifico, una cultura nazionale in grado di affrancarsi dall’esempio estero» (p. 286).