Il libro è la pubblicazione integrale di una fonte autobiografica che al valore documentario unisce una sorprendente freschezza narrativa, dovuta agli episodi romanzeschi narrati dal protagonista (1891-1945), con il suo stile “autentico” di operaio autodidatta, in due memorie manoscritte. Il quaderno [A] è conservato presso l’Istituto veronese per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea, il [B] presso l’International Institute of Social History di Amsterdam. Il curatore, Andrea Dilemmi, nel sostanzioso saggio introduttivo Un anarchico del Novecento, inserisce il percorso di Domaschi nell’ambito dei problemi di una generazione di militanti anarchici e le sue memorie carcerarie in un filone che parte dal Risorgimento.
Si parte con l’adesione al sindacalismo rivoluzionario dell’Unione Sindacale Italiana, su posizioni che nel 1914 si oppongono alla componente interventista; Domaschi, coscritto, rifiuterà anche di andare a combattere passando alcuni mesi agli arresti per indisciplina.
Dopo la guerra è nell’Unione Anarchica Italiana di Errico Malatesta – come altri proletari fieri del proprio mestiere, il cui anarchismo era fortemente caratterizzato da una componente ouvriériste, che affermava la centralità della condizione operaia in una prospettiva di tipo rivoluzionario. Dopo la sconfitta del Biennio Rosso (1919-20), questi proletari prenderanno la strada del fuoriuscitismo antifascista, prima in Francia poi nella Spagna del 1936-39, o quella del carcere e del confino in Italia.
Fra le prime vittime, nel 1926, dell’istituzione del confino di polizia, poi in carcere a Lipari, l’anarchico veronese evade la prima volta nell’agosto del 1928 assieme all’ex ardito del popolo Mario Magri. La rocambolesca cattura dei due darebbe alla vicenda un carattere comico, se non fosse il prologo della più celebre, e riuscita, “fuga da Lipari” di Rosselli, Lussu e Nitti, che stando alle memorie di quest’ultimo, citate dal curatore, faranno tesoro del fallimento dei loro predecessori.
Dopo una condanna a quindici anni inflitta dal Tribunale Speciale, nel febbraio del 1929 la seconda evasione, col comunista friulano Antonio Spangaro, segue il topos più classico del genere: sbarre segate e lenzuola annodate. Ma anche questa fuga durerà pochi giorni.
Divide poi per anni una cella con Ernesto Rossi e Riccardo Bauer, che conserveranno una profonda amicizia per l’operaio veronese, confermando un rapporto preferenziale con membri di Giustizia e Libertà, comune a molti anarchici.
Gli anni Quaranta non sono più direttamente documentati dalle memorie. Troviamo Domaschi nel 1944, membro del secondo CLN di Verona in rappresentanza del gruppo libertario della sua città.
Arrestato nell’estate dello stesso anno con altri partigiani e torturato dai repubblichini, ha ancora la forza di fare uscire dal carcere, scritto su un fazzoletto insanguinato, un piano di fuga che non riuscirà: l’anarchico Giovanni Domaschi muore a Dachau il 23 febbraio 1945, il suo numero di matricola è il 116381.
Le conclusioni del curatore sottolineano la “esemplarità” di questa fra le tante vicende di militanti anarchici in esilio o al confino nel Ventennio. Vicenda esposta in un’autobiografia il cui autore alterna i problemi politici generali che deve affrontare, alla narrazione dei fatti di cui si fa protagonista.