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Paolo Ferrero (ed.), Raniero Panzieri un uomo di frontiera

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Il 9 ottobre 1964 moriva, a soli quarantatre anni, Raniero Panzieri. Paolo Ferrero, in occasione del quarantesimo anniversario di questa ricorrenza, ha curato una ricca raccolta di interviste ad amici e compagni del fondatore dei Quaderni Rossi intitolata "Raniero Panzieri un uomo di frontiera", con prefazione di Marco Revelli.

L'ampio ventaglio di punti di vista ci offre un quadro complessivo della figura di Panzieri, descritto da venti voci differenti, ma concordi nel definirlo un personaggio di grandissimo valore umano e intellettuale. Uomo vivace e sempre attento all'autonomia della ricerca, ebbe per questo più di una delusione, sia da dirigente del PSI in Sicilia e a Roma, sia, successivamente, durante la collaborazione con la casa editrice Einaudi a Torino. Certamente uomo di frontiera, genuina espressione della generazione politica che usciva, dopo il 1956, dai "dieci inverni" della guerra fredda e si apprestava ad affrontare le problematiche del tumultuoso sviluppo del nostro paese all'inizio degli anni Sessanta.

Attraverso i ricordi di Nando Giambra, dirigente del PSI siciliano in quegli anni Cinquanta che videro Panzieri impegnato nella ricostruzione della struttura del partito nell'isola, ritroviamo le prime esperienze di lotta al fianco degli ultimi, i braccianti e gli zolfatari sfruttati.

Lo ricordano Gianni Alasia e Pino Ferraris, dirigenti sindacali torinesi e membri della redazione del primo numero dei Quaderni Rossi , che avrebbero abbandonato in seguito alla polemica tra CGIL e i giovani della rivista, autori di un volantino distribuito alla FIAT nell'agosto del '61 che invitava gli operai a scioperare al di fuori dei sindacati.

Compaiono Luca Baranelli e Renato Solmi, colleghi di Panzieri presso Einaudi, dove furono gli unici ad appoggiarlo nella scelta di pubblicare l'inchiesta sugli immigrati meridionali a Torino svolta da Goffredo Fofi e respinta da Giulio Einaudi, che temeva di irritare la FIAT.

Non potevano mancare le testimonianze dei collaboratori più stretti di Panzieri: Dario e Liliana Lanzardo, Mario Miegge, Giovanni Mottura e Vittorio Rieser, allora studenti universitari, espressioni di una generazione che, per dirla con le parole di Revelli, era "assetata certo di "rotture" e di rivolta contro l'esistente, ma nel contempo già compiutamente disincantata nei confronti della "grande narrazione" comunista novecentesca". La loro esperienza di inchiesta nelle fabbriche piemontesi anticipò quella degli studenti che, pochi anni dopo, in massa, si riversarono "ai cancelli" per vedere da vicino e capire gli operai.

Mario Tronti, che nel 1963 fu uno dei principali attori della rottura tra i Quaderni Rossi e il mensile Classe operaia , analizza le divergenze che separarono i due gruppi, il primo interessato a fornire alle organizzazioni ufficiali analisi della fabbrica, l'altro propenso a svolgere un intervento attivo nelle lotte operaie. Il filosofo romano riconosce che, dopo la rivolta di Piazza Statuto del 1962, "Raniero vedeva l'esplosione della fabbrica, ma non pensava che potesse sfondare nella società. Nel breve periodo aveva ragione lui. Nel periodo medio avevamo ragione noi. Sul lungo periodo avevamo torto tutti".

Tra le altre interviste, desta particolare interesse quella alla moglie Giuseppina (Pucci) Saija, figura importante quanto discreta nella vicenda biografica di Panzieri. Sempre al fianco del marito, in Sicilia fino al trasferimento a Roma, e, in seguito, nel difficile impatto con la fredda città di Torino, dove Panzieri non si adattò mai del tutto. Attraverso la testimonianza di Pucci emerge il lato più umano di Panzieri, padre di tre figli, e così diverso dal distacco dei dirigenti di partito, pieno di interessi per l'arte e la cultura.

Infine, meritano particolare attenzione le parole di Gianni Bouchard, pastore di quella chiesa valdese che giocò un ruolo estremamente importante nella vicenda dei Quaderni Rossi e dalla quale provenivano molti dei giovani che si riunirono attorno alla figura di Panzieri a Torino. Il campo valdese di Agape, in Val Pellice, infatti, costituì, in un panorama dominato dalle rigidità dei partiti del movimento operaio, un momento di confronto aperto anche alle idee di un'area all'apparenza così distante come la cosiddetta sinistra "eterodossa". Afferma Bouchard: "eravamo imbarazzati di fronte al dogmatismo marxista e sicuramente poco inclini ad accettare le proposte di riassorbire il socialismo nella tradizione liberale, Panzieri rappresentava per noi la quadratura del cerchio".

Panzieri fu, dunque, per dirla con Revelli, un visionario convinto di trovarsi alla vigilia dello scoppio di un nuovo antagonismo di classe "contro chi si illudeva che nel contesto soft della società del benessere fosse possibile trasferire al rapporto capitale-lavoro la logica conciliativa della coesistenza pacifica". Panzieri non fece in tempo a vedere il '68, ma le idee veicolate dai numeri di Mondo Operaio sotto la sua direzione e, naturalmente, dai Quaderni Rossi , un ruolo in quel movimento lo giocarono senza alcun dubbio.

Il pregio del libro di Ferrero è quello di aver raccolto un ampio numero di voci tra i tanti che conobbero Panzieri e che dall'incontro e dalla collaborazione con questa figura così importante per l'elaborazione teorica della sinistra italiana ne uscirono radicalmente cambiati.

Non si può che concordare, comunque e in ultima istanza, con quanto sostiene Giovanni Jervis secondo cui parlare di un'attualità di Panzieri, come Ferrero e alcuni degli intervistati sembrano voler fare, può essere fuorviante (insidia che caratterizza ogni tentativo di attualizzazione) dal momento che "le idee di Panzieri si riferivano a una realtà che era ancora quella del predominio democristiano, a un'opposizione operaia che era ancora quella che nasceva dalla catena di montaggio, a una divisione del mondo in blocchi, a una sostanziale vitalità dell'idea di partito [.] e Panzieri analizzava quel mondo, e non il mondo di oggi, che è molto, ma molto cambiato".