Alessandro Cont, “Giovin Signori. Gli apprendisti del gran mondo nel Settecento italiano”, Roma, Società Editrice Dante Alighieri, 2017, 119 pp.
Esce per la Biblioteca della “Nuova Rivista Storica” il prezioso volume di Alessandro Cont, storico già noto al pubblico dei lettori di settecento italiano e non solo. Il percorso che ha portato Cont alla stesura di una monografia su questo soggetto parte da lontano. Nel 2013 per gli «Annali di Storia dell’Educazione e delle Istituzioni Scolastiche» in un volume curato da Maria Pia Paoli, appare il saggio Educare alla e attraverso l’amicizia. Precettori e governatori nella società nobiliare italiana del Seicento. È dell’aprile 2014, per la « Rivista storica italiana », il saggio L’uomo di corte italiano: identità e comportamenti nobiliari tra XVII e XVIII secolo. Nel 2016, ben due saggi pregevoli, il primo del gennaio-aprile nella «Nuova Rivista Storica» su Guillaume Du Tillot e la questione della nobiltà, il secondo in aprile, per la « Rivista storica italiana», con il titolo “Ove pennello industre l’imagin tua ritrasse”: i gusti e gli studi del Giovin Signore nell’Italia del Settecento.
Conoscitore di Archivi, innamorato e appassionato di collezioni private, studioso serio dalla penna attenta e piacevole, Cont presenta l’immagine di un “Giovin Signore” nei diversi ambienti e livelli di vita e di formazione: famiglia, scuola e società. Già l’importante prefazione di Aurelio Musi valorizza il lavoro, potremmo permetterci di dire quasi di altri tempi, di un ricercatore scrupoloso che attraverso un metodo solido aiuta il lettore a muoversi tra carte d’archivio e ricca bibliografia. Le note che arricchiscono il volume diventano, nei lavori di Cont, prova di rigore e soprattutto strumento utilissimo per approfondimenti e aperture a nuovi temi e a differenti percorsi. La ricerca di Cont, attraverso l’indagine compiuta, non è mai gelosa celebrazione di saperi ma condivisa ricerca di grande valore.
Albergati, Arrigoni, Bernardini, Durazzo, Caetani, Sanseverino di Bisignano, sono alcuni dei nomi di famiglie illustri della nobiltà italiana del Settecento che, insieme agli Archivi di Stato di Bologna, Napoli, Torino, Palermo, etc.., ritornano nelle dense pagine di questo studio e compongono l’opera di definizione del profilo del giovin signore. Particolarmente evocativo è l’apparato iconografico, per nulla scontato ma inedito e centrato, insieme alle appendici documentali che, quasi come una cornice, valorizzano il quadro.
Superata l’immagine stereotipata del damerino e cicisbeo frivolo ed effeminato che, come ricorda Cont, campeggia nel poemetto satirico-didascalico Il Giorno di Parini e trova plastica espressione nel Ritratto di cavaliere dell’Ordine Costantiniano di fra Galgario, il gentiluomo italiano si veste di un’autocoscienza rinnovata, nel solco dei Lumi ma pure in continuità con le tradizioni delle antiche famiglie gelose delle genealogie e soprattutto delle rendite.
Il grande tema della sociabilità, attraverso lo sguardo di scrittori quali De Brosses, De Lalande e altri, è magistralmente affrontato. Musica, opera, canto, vita di accademia, tutti elementi fortemente presenti nelle vite dei giovani aristocratici italiani. I castrati, con le loro performance, sono protagonisti voluti, e così Francesco Bernardini dopo aver visto esibirsi il Caffarelli, scrive alla moglie Marianna Parensi: “canta con una dolcezza da me non più intesa in tutte le sue infinite corde; è di bel viso e di bella taglia, ma veste una specie di codegugno, marcia sopra i tacchi, e speso vi si riposa con un piede senza gesto, senza ne pure farsi sentire ne’ recitativi” (p. 82).
È un mondo con un sistema di senso e significato che pur mutando per necessità è ancorato al percorso che lo ha portato a essere grande e bello, nei suoi umani limiti, ma così arrivato a noi e presentato da Cont. Ricche di particolare sensibilità narrativa sono le pagine in cui l’a. si sofferma sul sistema di apparenze e convenienze. Le stucchevoli immagini di volti truccati, le parrucche ben preparate e scelte, le ostentate capacità conversative, pur centrali nella società aristocratica d’ancien régime, non oscurano gli impegnati momenti in cui il giovin signore deve formarsi a quella che pur apparente resta una vita in cui la responsabilità verso una tradizione non può mai essere dimenticata.
Così il marchese Ludovico Andreasi nella sua galleria di Ritratti di diversi nobili mantovani viventi, nel descrivere i figli della famiglia dei marchesi Strozzi, ne individua magnificamente i tratti caratteristici: “Il primo chiamasi marchese Filippo ed ha due pregj necessarj ad un capo di casa, cioè una numerosa famiglia di sani e robusti figliuoli. L’altro, un’esatta economia con un trattamento però elegante e decoroso. Del resto non ha grande spirito ed è serio in modo che talvolta sembra astratto. È di angelici costumi, ma la sua adesione alla moglie lo ha più volte disgustato coi fratelli” (p. 41).
Leggendo il libro di Cont si è introdotti in un mondo che si impara a conoscere in profondità, che si riceve superando i pregiudizi e che, perché no, si guarda con leggera nostalgia.