Jessica H. Clark, “Triumph in Defeat. Military Loss and the Roman Republic”, Oxford, Oxford University Press, 2014, 272 pp.
Jessica H. Clark riconosce l’integrazione delle sconfitte militari in una narrazione di vittoria più ampia come il mezzo principale attraverso il quale i Romani a inizio II secolo a.C. elaboravano le loro esperienze belliche fallimentari e identifica nell’azione del Senato il cuore di questo sistema. Nel suo studio l’a. mostra mediante molteplici esempi le modalità di questo processo di integrazione, per poi evidenziare i mutamenti in cui esso incorse dopo la II guerra punica – periodo di fondamentale importanza per quanto riguarda la percezione e l’assimilazione della sconfitta – e fornire, nel farlo, un quadro prospettico alternativo delle vicende militari e politiche del II secondo a.C.
Il testo ha quindi il vanto di portare il lettore a comprendere – attraverso l’analisi dei più controversi conflitti bellici e dei relativi fronti di guerra – come l’inserimento delle sconfitte in una narrazione di vittoria ne modificasse la percezione e come, allo stesso tempo, questo cambiamento percettivo influisse sulla stessa attività politica e militare romana. Minimizzare la sconfitta rappresentandola come momentanea o necessaria a un bene più grande, definire e ridefinire il concetto di vittoria e cercare di renderlo assoluto attraverso la pratica della celebrazione trionfale divennero il fondamento per la rappresentazione dell’immagine di una Roma sempre vittoriosa. Questa immagine, mostrata al popolo e da esso condivisa, consentiva un più facile assorbimento delle notizie belliche negative – evitando crisi collettive – e facilitava di conseguenza l’ottenimento di ulteriori vittorie che andavano così a consolidare la realtà stessa dell’immagine, rafforzandola. Clark mostra come le sconfitte fossero infatti, anche nei peggiori casi, viste solo come un momento buio prima dell’alba, un passaggio del percorso verso un indubitabile trionfo.
La forza di questo meccanismo è però solo apparente e l’a. riesce a metterne in luce le fragilità mostrandone il declino. Le incessanti guerre che continuarono per tutto il II secolo a.C. in Africa, Spagna, Gallia e Macedonia – fronti bellici in cui la vittoria era già stata celebrata come definitiva – portarono Roma a compiere azioni sempre più brutali per concludere i conflitti. Clark mostra come lo stesso concetto di vittoria divenne sempre meno definito e la percezione che di esso si aveva meno definitiva. L’a. evidenzia inoltre come le sconfitte non fossero più inseribili in quella che era stata la narrazione trionfale precedente e mostra come il Senato avesse progressivamente perso il controllo sulla costruzione della rappresentazione bellica.
La conclusione di Clark è netta, il mutamento sostanziale: le sconfitte, alla fine del II secolo a.C., non venivano più riscritte per essere inserite in una narrazione di vittoria, ma diventavano oggetto di immediata accusa pubblica. La rappresentazione storiografia della vittoria, e con essa quella della sconfitta, iniziarono a rispecchiare gli ideali della nuova classe politica romana, il cui obiettivo non era più la gloria imperitura di Roma nella sua collettività, ma la celebrazione della grandezza individuale.
In conclusione, desidero mettere in evidenza il contenuto del primo capitolo nel quale Clark, prima di addentrarsi nell’analisi de facto delle vicende storiche, si interroga sui motivi dietro l’apparente mancanza di una riflessione dei Romani sui costi e le conseguenze della guerra e sulla pressoché totale assenza di modelli celebrativi dei caduti in guerra. Questa analisi preliminare di ampio respiro è degna di nota poiché riesce a fornire ottimi spunti di riflessione mediante rimandi specifici a studi psicologici e antropologici recenti e a una comparazione con la storiografia relativa ai conflitti del XVIII e XIX secolo.