Leonardo Paggi, più e meglio di altri storici italiani, si è dedicato negli ultimi anni a rispondere ad alcuni interrogativi importanti per comprendere la storia dell’Italia repubblicana: come è
nato il nuovo stato dopo la guerra?
Quale atteggiamento hanno avuto gli italiani durante il conflitto? Quale è stato il ruolo dei bombardamenti e dell’occupazione nazista e fascista?
Sono domande a cui si è risposto soltanto in parte o con affermazioni parzialmente provate o molto lacunose.
Paggi ha voluto anzitutto sottolineare il peso straordinario che hanno avuto i bombardamenti alleati nel nostro paese come le stragi che i nazisti e gran parte dei fascisti della Repubblica sociale
italiana hanno compiuto nei diciotto mesi di occupazione del territorio. Lo storico ha un occhio particolare per l’Italia centrale e per la Toscana che hanno vissuto direttamente e per molti mesi
l’uno e l’altro drammatico fenomeno bellico.
Il “popolo dei morti” di cui parla l’autore è fondamentale per capire le intenzioni dei partigiani e di quelli che hanno interpretato la nascita della repubblica e i valori espressi dalla
Costituzione del 1947.
Una simile impostazione sposta, come è necessario, il centro del racconto e dell’analisi dagli aspetti politici e ideologici e lo colloca come conseguenza diretta del trauma costituito dal
conflitto e dai lutti terribili che hanno caratterizzato il 1943-45 ma anche i due anni successivi.
Paggi ha usato le riflessioni non sempre consonanti ma rappresentative di un giurista-politico come Piero Calamandrei, professore prima e poi rettore dell’Università di Firenze. che ci ha lasciato
un Diario assai significativo e gli scritti molto interessanti del poeta Eugenio Montale che ha idee diverse ma vive con altrettanta profondità la tragedia italiana.
L’uso di queste fonti aiuta Paggi ad allontanarsi a poco a poco dalla storiografia della guerra come della resistenza armata e a farci rivivere sentimenti e impressioni di quella che potremmo
definire come la popolazione attiva e cosciente dell’Italia di quegli anni. Qui l’influenza di storici come Febvre e Braudel è chiara ed evidente.
In questo senso ci troviamo di fronte a un nuovo capitolo della storia di quegli anni, in un certo senso più distaccato dagli avvenimenti politici e militari ma più vicino al vissuto della
popolazione e al sentire degli italiani che hanno vissuto direttamente il passaggio dalla dittatura fascista che fino al 1943 ha dominato la scena a quei primi segni di convivenza democratica che
hanno caratterizzato la liberazione e i primi anni successivi al 1945.
Nel libro di Paggi la sottolineatura costante delle conseguenze dei grandi bombardamenti a tappeto nelle principali città italiane come delle stragi compiute durante la lenta ritirata dalle truppe
naziste come dai gruppi armati dell’ultimo fascismo ci dà in maniera assai vivida il senso di quella tragedia e la grande difficoltà di uscirne e di iniziare un nuovo cammino.
C’è, in quel lavoro, la prefigurazione, sia pure lontana, delle gravi difficoltà delle classi dirigenti italiane non tanto di archiviare in maniera definitiva la dittatura fascista quanto di
costruire, con scelte decise, i caratteri della nuova democrazia repubblicana.
E’ difficile allora cambiare lo Stato e la mentalità collettiva e nello stesso tempo consolidare tradizioni democratiche simile a quelle dell’Occidente più avanzato. La scelta della
nazionalizzazione del consumo di cui parla lo storico nelle ultime pagine del suo libro appare per molti aspetti un esito prefigurato almeno in parte dalla eredità del fascismo e dalle
contraddizioni perduranti delle classi dirigenti italiane nel loro complesso.
E questo si afferma non per interpretare la storia repubblicana come un lungo periodo (ormai più di settanta anni) che avrebbe un esito scontato ma per cogliere piuttosto alcuni elementi di
continuità indicati dall’autore e che emergono con maggiore chiarezza usando fonti culturali piuttosto che politiche e ideologiche e indicando il peso assai forte che la tragedia del ’43-45 ha
avuto nella nostra storia.
Un peso simbolico e materiale che molti studiosi tendono, al contrario, a sottovalutare o addirittura ad accantonare.
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