Storicamente. Laboratorio di storia

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Maria Elena Cortese, “L’aristocrazia toscana. Sette secoli (VI-XII)”

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Maria Elena Cortese, “L’aristocrazia toscana. Sette secoli (VI-XII)”, Spoleto, CISAM, 2017, X-444 pp.

L’aristocrazia toscana. Sette secoli (VI-XII) è un’opera ambiziosa e di grande importanza per la storia delle strutture materiali e simboliche del potere e delle dinamiche di trasformazione del corpo sociale nell’Italia altomedievale. Con una parabola di estesa diacronia, come ricorda il reciso ed efficace sottotitolo, Maria Elena Cortese, ricercatrice di storia medievale presso l’Università Telematica Internazionale Uninettuno di Roma, propone un quadro di sintesi, affrontando la regione della Penisola, la Toscana, che meglio di ogni altra può abbinare buona consistenza delle fonti scritte documentarie, almeno dal secolo VIII, e abbondanza delle fonti materiali portate alla luce dall’archeologia – questa, invece, costante su tutto l’arco cronologico considerato. Ai fini di una possibile comparazione con altre realtà geografiche, l’autrice mette altresì in evidenza i tratti di specificità del suo caso campione, fra loro legati: la permanenza in Toscana di una spiccata identità regionale, che trovò dal pieno secolo IX compiuta espressione anche dal punto di vista politico-istituzionale con la nascita della marca, e la lunga continuità e tenuta di questo quadro istituzionale fino all’ultimo quarto del secolo XI.

Il volume dà conto di riflessioni maturate a lungo: esce esattamente dieci anni dopo la ricerca sulle aristocrazie del territorio fiorentino, incentrata sul secolo XI, che per la Cortese ha costituito un primo fondamentale laboratorio. Partendo da questa esperienza la studiosa riesce nell’impresa di padroneggiare, riordinare e sistematizzare una massa critica di studi sulle diverse aree della Toscana che nell’ultimo mezzo secolo si è fatta ampia ed estremamente sfilacciata. Nel far ciò può giovarsi di un bagaglio di conoscenze che le consente di muoversi agilmente anche su cronologie in cui la documentazione scritta è davvero rarefatta: la sensibilità al dato archeologico, segnatamente alla triade ceramica, monete, edilizia (filo rosso che percorre tutto il volume), discende dalla sua prima formazione nella scuola di Riccardo Francovich, lo studioso che maggiormente ha contribuito al progresso delle conoscenze archeologiche sulla Toscana medievale, distinguendosi e per il carattere innovativo degli scavi da lui diretti (a buon titolo può essere considerato uno dei padri fondatori dell’archeologia medievale, non solo italiana), e per la volontà di mantenere un dialogo costante con gli storici medievisti.

La narrazione, molto chiara e scorrevole, è cronologicamente scandita e ripartita da una serie di sostantivi che danno nome ai sei capitoli: mutamenti (550 ca.-700 ca.); stabilità (700 ca.-775 ca.); crescita (775 ca.-915 ca.); potenziamento (915 ca.-1000 ca.); equilibrio (1000-1080 ca.); resilienza (1080-1175 ca.). Un’avvertenza: nella loro laconicità i titoli invitano alla lettura, ma non vanno presi, per così dire, alla leggera. Si sforzano di condensare una trama di complesse e talvolta discordanti dinamiche che sono messe bene in luce entro ciascun capitolo (ad esempio, della crescita di età carolingia se ne rilevano i caratteri di gradualità e incipienza; la resilienza successiva al ‘mutamento signorile’ va intesa in maniera attiva piuttosto che passiva).

Il generale modello di trasformazione storica è il seguente. Il tramonto delle strutture politiche e socio-economiche tardo-romane schiude un quadro con evidenti discromie da area ad area, finanche da luogo a luogo, sia nelle città, sia nel territorio rurale. Il dato più macroscopico è la dissonanza fra due Toscane a diversa velocità: solo nella porzione centro-settentrionale permase il reticolo urbano. È qui che prese avvio il processo di «etnogenesi aristocratica» (p. 334) con l’emersione di un gruppo dominante misto per origine etnica, latina e germanica, ma uniforme nelle pratiche di distinzione e identificazione sociale. Esso si arricchì nella matura età longobarda (sec. VIII) profittando del consolidamento delle istituzioni regie e del maggiore raccordo tra centro e periferia. Emerge allora con evidenza il carattere fondamentale dell’aristocrazia toscana per sei dei sette secoli indagati: la convergenza verso le corti pubbliche; su tutte, Lucca e le altre città del centro-nord, cuore dal IX secolo del potere marchionale. Questi erano i «luoghi di negoziazione ed esibizione del potere» (p. 329): la gran parte delle risorse, infatti, era erogata e redistribuita dalle autorità che ivi risiedevano.

L’azione dell’aristocrazia restò a lungo «di tipo ‘centrale’» (p. 256): volta al mantenimento di un baricentro urbano e della prossimità fisica alle autorità pubbliche. Benché assumesse un assetto sempre più duplice, via via potenziando le sue capacità di controllo ed estrazione del surplus sulle società contadine, sino al cosiddetto ‘mutamento signorile’ nei decenni di passaggio fra XI e XII secolo, essa non modificò sostanzialmente la sua fisionomia e le sue forme di sostentamento, spesso garantendosi una buona continuità genealogica. Con la crisi della marca e delle strutture pubbliche nel corso del secolo XII, in un’epoca che conobbe il deciso dispiegarsi della crescita demografica ed economica, presero avvio, «come facce della stessa medaglia» (p. 270), i processi di formazione dei dominati signorili e comunali. Le maggiori famiglie aristocratiche pressoché ovunque riorganizzarono il proprio assetto e recisero in maniera netta i rapporti con le città – Pisa e Pistoia fanno eccezione. La loro azione trasformò radicalmente il tessuto sociale e insediativo delle campagne. Esse ospitarono, infatti, le nuove sedi del potere signorile, maestosamente incastellate. Si esaurì così il «modello di cultura politica ancora ‘curiale’» che aveva fatto della Toscana «l’ultima forma di società ‘carolingia’ in Europa» (p. 345).