Maya Maskarinec, “City of Saints. Rebuilding Rome in the Early Middle Ages”, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2016, 320 pp.
Per il turista di oggi, così come per il pellegrino medievale, camminare per le strade di Roma vuol dire immergersi in un contesto urbano in cui il dialogo visibile tra passato e presente definisce la città, ne nutre l’identità e contribuisce alla sua fama internazionale. La distanza temporale che separa il visitatore moderno dal suo omologo medievale risulta così ridotta nell’empatia creata da un condiviso senso di ammirazione e di contemplazione davanti al patrimonio di Roma, antica capitale di un impero e baricentro della cristianità occidentale. Maya Maskarinec mette sapientemente a frutto quest’empatia e prende per mano il lettore accompagnandolo per le strade e i quartieri di una città in transizione che, tra i secoli VI e IX, ridisegnò, ricostruì e ridefinì se stessa come capitale cristiana e città di santi. Per illustrare tale trasformazione l’a. esplora il radicamento a Roma di culti d’importazione, cioè la venerazione di quei santi vissuti o martirizzati in altri luoghi del mondo mediterraneo, ma successivamente divenuti titolari di una fondazione ecclesiastica romana.
Allo studio di Roma “ecosistema di santità” sono dedicati i primi cinque capitoli del libro dei quali il primo costituisce un’affascinante visita dei quartieri, delle chiese e dei monumenti romani visti attraverso gli occhi di un pellegrino entrato in città il Venerdì Santo dell’anno 752. La rilettura dell’itinerario di Einsiedeln, composto a Fulda nel IX secolo, consente all’a. di ricreare Roma quale essa era descritta e immaginata dal pubblico carolingio prima di soffermarsi sull’analisi di quattro zone della città la cui identità era definita anche dai culti che qui si radicarono e prosperarono. Il Forum Romanum, cuore della capitale antica e successivamente sede dell’amministrazione bizantina, conservò, ad esempio, la propria identità imperiale anche grazie alle nuove fondazioni ecclesiastiche che andarono a riconfigurare la sua topografia. Dietro le intitolazioni a santi soldati (Quaranta Martiri di Sebaste, Sergio e Bacco, Teodoro) e la conversione in luoghi di culto di antichi edifici civili (per esempio, la Curia Senatus) è possibile individuare le iniziative dei funzionari al servizio dell’impero che continuarono a occupare e a gestire quest’area almeno fino alla metà del secolo VIII. Il lettore è poi trasportato sul Palatino, spazio essenzialmente cerimoniale occupato dai complessi residenziali imperiali. Qui si radicò il culto di Cesario, martire di Terracina, un santo il cui profilo di santità fu progressivamente ridisegnato in un contesto di competizione tra il papato e l’autorità bizantina per il controllo di un colle profondamente connotato in senso imperiale. Il Lungo Tevere, quartiere commerciale di Roma medievale, si delinea invece davanti agli occhi del lettore attraverso la proliferazione delle sue diaconiae (S. Maria in Cosmedin, S. Giorgio al Velabro, S. Nicola in Carcere), organizzazioni caritatevoli la cui vocazione assistenziale si rifletteva anche nella scelta dei propri protettori celesti. Zona di transito di uomini e merci, il Lungo Tevere si distingueva per le comunità greche che qui si insediarono e che contribuirono a definire l’identità del quartiere ribattezzato, non a caso, Ripa Graeca nelle fonti di X secolo. La visita di Roma cristiana continua sotto l’ombra degli alberi dell’Aventino, colle aristocratico sul quale si ergevano le chiese di Santa Sabina e di San Bonifacio: l’a. ripercorre la formazione della leggenda agiografica dei rispettivi santi titolari dimostrando ancora una volta come l’adozione di un culto e la sua promozione siano sempre il riflesso del contesto sociale (aristocratico nel primo caso, greco e monastico nel secondo) nel quale la venerazione del santo andava a radicarsi.
Gli ultimi tre capitoli del libro esplorano l’accumulazione e la capitalizzazione della santità a Roma e nell’Europa carolingia. L’a. analizza e ricolloca nei rispettivi contesti geopolitici la fusione di gruppi di santi locali e stranieri (i Quattro Coronati), la proposizione al culto di collettività di santi (cappella di San Venanzio, Santa Maria Antiqua, oratorio di Giovanni VII) e la creazione delle prime collezioni di reliquie (Sancta Sanctorum). Il lettore è poi trasportato lontano da Roma per osservare quel peculiare fenomeno di appropriazione della santità romana tipico di alcuni monasteri regi di età carolingia (Fulda, Weissenburg, Prüm e Reichenau). Infine è l’opera di un solo uomo, Adone di Vienne, a dimostrare come fosse ormai possibile, sul chiudersi del IX secolo, proporre un’immagine di Roma che trascendeva la città reale per andare a incarnare un’idea universale costruita proprio intorno al suo capitale di santità.
Già vincitrice del Rome Prize in storia medievale (2014) dell’American Academy of Rome che le ha permesso di risiedere a Roma per concludere la sua ricerca di dottorato, la giovane studiosa americana è poi stata premiata nel 2019 con l’Hagiography Society Book Prize per la pubblicazione di questa monografia, che di tale lavoro è il frutto maturo. Maya Maskarinec ha infatti saputo affiancare una rigorosa esegesi delle fonti scritte e materiali a un’attenta lettura del paesaggio urbano di una metropoli in continua evoluzione. Agiografia e storia urbana si combinano così in modo inedito e si completano nell’affascinante esplorazione di una città nella quale coesisteva una pluralità di voci espressione delle diverse comunità che abitavano tra le sue mura. Roma è così ricollocata nella dimensione mediterranea che per tutto l’altomedioevo ne costituì l’orizzonte geografico, politico, dottrinale e mentale di riferimento. Microcosmo di quel macrocosmo che era la cristianità universale, la topografia sacra di Roma permette all’a. di illustrare l’impatto locale dei cambiamenti geopolitici avvenuti sia in seno alla città che su scala mediterranea tra VI e IX secolo. La presenza di otto mappe e più di quaranta immagini permettono inoltre, anche al lettore poco familiare con la città, di osservare con lo stesso stupore del pellegrino medievale l’opulenza delle chiese romane che con le loro epigrafi, mosaici e affreschi rendevano visibile il patrimonio della santità romana e ne celebravano ricchezza, varietà, ortodossia e prestigio. Città reale e ideale si fondono così nella ricostruzione di Roma altomedievale che non si riduce alla Roma papale tradizionalmente messa in evidenza dalla storiografia. Gruppi e comunità diverse contribuirono infatti a disegnare la topografia sacra e l’identità, o piuttosto le identità, di una città dalle molte anime che è ancora possibile scoprire attraverso le pagine di questo libro.