Storicamente. Laboratorio di storia

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Brigitte Studer, “Reisende der Weltrevolution”

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Brigitte Studer, Reisende der Weltrevolution. Eine Globalgeschichte der Kommunistischen Internationale. Berlin: Suhrkamp, 2021 (IIa ed.). 618 pp.

Spicca nella copiosa letteratura scientifica degli ultimi anni sulla storia globale del comunismo lo studio di Brigitte Studer (una prima edizione nel 2020, una seconda nel 2021 e ora in corso di traduzione in inglese). Non si tratta certamente della prima pubblicazione di questa profonda conoscitrice della storia del comunismo, ma anche rispetto alle precedenti pubblicazioni di Studer si può dire che questo volume non solo aggiunge uno sguardo del tutto originale alla storia del comunismo e del Comintern in particolare, ma arricchisce in maniera significativa anche la comprensione di alcuni aspetti relativi alla storia della prima metà del XX secolo.

Rispetto al primo elemento di novità, ossia l’originalità dello sguardo, cui vanno aggiunte l’originalità delle domande di ricerca e dell’approccio metodologico: non è tanto la prospettiva globale suggerita dal titolo di per sé a essere innovativa – questa piuttosto ci segnala il posizionamento dello studio all’interno della più recente storia globale del comunismo a partire dalle pubblicazioni di Robert Service, i volumi della Cambridge History of Communism, il filone di studi seguito da Silvio Pons per richiamare solo i più noti in Italia. Originale è piuttosto lo sguardo che esprime le curiosità e le sensibilità culturali di una storica che proprio in quanto storica porta l’attenzione su aspetti rimasti prevalentemente accantonati fino a tempi recentissimi. L’originalità dello studio di Studer sta insomma nell’avvicinarsi al Comintern per andare direttamente oltre la dimensione istituzionale ed entrare dietro le quinte dei congressi, degli eventi solenni o di rilevanza internazionale.

Studer conosce molto bene la storia politica del Comintern e non intende certamente sminuirne la portata, ma il suo interesse si sposta volutamente su un’altra dimensione, quella operativa di una organizzazione dotata di una imponente quanto articolata struttura su scala mondiale, la cui efficienza e capacità di durata nel tempo è garantita dal lavoro costante, assiduo e necessariamente anche retribuito, di centinaia di attivisti o “rivoluzionari di professione”, come a Studer piace chiamarli. Rivoluzionari e rivoluzionarie: spostandosi dal piano degli eventi ufficiali a quello del lavorio quotidiano per e nel Comintern, l’autrice porta alla luce la partecipazione vivace, competente e assidua, di numerosissime comuniste, le cui biografie sono rimaste sostanzialmente ignorate o, nel migliore dei casi, sono note unicamente alla ristretta cerchia di esperti di storia del comunismo. La partecipazione delle donne comuniste emerge, questo non ovviamente non ci sorprende, là dove si indaga, come fa Studer, la vita quotidiana del Comintern, ossia tutto il lavoro di costruzione di contatti, organizzazione di incontri, redazione di articoli per la stampa o di discorsi in preparazione di incontri e congressi, traduzione di testi scritti, traduzione di interventi orali durante i congressi, trascrizione di discorsi, organizzazione di ospitalità necessaria per lo svolgimento di detti incontri, organizzazione di raccolta di fondi per il sostegno di compagni in condizioni di bisogno, preparazione di documenti (falsi se necessario)… insomma tutto l’immenso lavoro dietro le quinte, dato per scontato o invisibile e in cui certamente non si cimentavano i più alti funzionari. A questi livelli erano impiegate numerosissime “compagne” il cui lavoro rendeva possibile l’operatività dei vari ambiti di intervento del Comintern e la realizzazione delle attività minori, ma fondamentali per il funzionamento continuativo di questa complessa struttura.

Tuttavia, le “compagne” sulle cui biografie Studer si sofferma – da Margarete Buber-Neumann a Babette Gross, da Ursula Kuczynski alle sorelle Kirschbaum, da Evelyn Trent a Hilde Kramer per citarne solo alcune – non sono meramente esecutrici di ordini superiori. Sono parimenti rivoluzionarie di professione che come i loro compagni (a volte di vita anche privata, non solo politica) si adoperano per la causa del comunismo internazionale. Operare in questo senso significava innanzitutto essere disposti a vivere “con la valigia sempre pronta”, dunque a viaggiare, spesso e per periodi di durata variabile, a volte anche in paesi di cui si conosceva pochissimo, rinunciando quindi consapevolmente a un tranquillo stile di vita borghese. Creare l’internazionalismo significava viaggiare continuamente per allacciare contatti diretti con militanti locali, aprire una sede, fondare un giornale, organizzare un’iniziativa. Illuminante al riguardo è l’ordine narrativo-spaziale seguito da Studer, che parte inevitabilmente da Mosca, per poi seguire l’impegno Cominternista passando da Baku, Berlino, Parigi e Bruxelles in Europa, per poi spostarsi verso la Cina – con tappe a Guangzuou, Wuhan, Shangai – e ripassare dall’Europa con soste a Barcellona, Madrid, Albacete anche se la lista sarebbe ben più ampia.

Il secondo elemento di originalità e che consideriamo un contributo, un arricchimento alla storia della prima metà del XX secolo, riguarda in particolare i processi di modernizzazione in corso, i conflitti che ne risultano in termini di modificazione dei rapporti di dominio, di potere, di visioni del mondo e di organizzazione degli ordini politici. Fa riflettere una coincidenza su cui Studer non si sofferma ma che a noi pare significativa: il 1919 fu l’anno di fondazione del Comintern, un’organizzazione che ha forgiato, come Studer esemplarmente ci illustra, almeno una generazione di “rivoluzionari di professione”, ma fu anche l’anno in cui Max Weber tenne una relazione, poi divenuto un saggio tra le pietre miliari della teoria weberiana della modernità, dal titolo Die Politik als Beruf. Certamente Weber non aveva in mente il soggetto politico Comintern, ma lo Stato moderno, quando distingueva tra il tipo di impegno richiesto ai funzionari di un principe e quello dei “politici di professione”, che della politica facevano la loro vita ma anche che della politica vivevano in senso materiale. In considerazione dei mutamenti descritti da Weber, i rivoluzionari e le rivoluzionarie di professione del Comintern ci pare si inseriscano in questo più vasto processo di modernizzazione, di ridefinizione del politico e della legittimità del potere. In quest’ottica i “cominternisti” studiati da Studer possono essere considerati come i “politici di professione” non di uno Stato moderno, ma di una forma alternativa di organizzazione e legittimazione del dominio in un’ottica sovranazionale che pure, a suo modo, rispondeva a un’aspirazione modernizzatrice. Anche sotto questo profilo ritorna il significato di vivere “con la valigia sempre pronta”: l’internazionalismo comunista degli anni Venti e Trenta si realizzò materialmente grazie all’estrema mobilità territoriale dei suoi professionisti, una mobilità a sua volta garantita dallo straordinario livello di sviluppo raggiunto da infrastrutture e mezzi di comunicazione, uno dei fattori più emblematici della modernità tra Otto e Novecento. Lo studio di Brigitte Studer va dunque oltre la storia del Comintern proprio perché rende conto di come quest’ultimo si collocasse entro trasformazioni epocali di cui la visione del mondo comunista risulta essere più una significativa componente interna che non un fattore antagonista.