Storicamente. Laboratorio di storia

Dossier

Tanto rumore per nulla? Le proteste contro le leggi di emergenza nell’ex-Germania federale (1960-1968)

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Abstract

Sin dalla prima proposta di modifica con cui integrare lo stato di emergenza nella Legge Fondamentale (1960) della BRD si sviluppò un dibattito di carattere giuridico e politico su cui, dalla metà del decennio, prese forma una vera e propria campagna organizzata contro le Notstandsgesetze. L’avanzare della contestazione produsse un clima di emergenza democratica in cui furono spesso rievocati gli spettri del passato (weimariano e nazionalsocialista) come monito per sostenere la necessità o, al contrario, la pericolosità di una legislazione di emergenza per la nuova democrazia tedesca postbellica. 

Since the first proposal for an amendment with which to integrate the state of emergency into the Basic Law (1960) of the Federal Republic of Germany, a legal and political debate developed. From the middle of the decade, it evolved into an organized campaign against the so-called Notstandsgesetze. As the protest progressed, a climate of democratic emergency grew in which the ghosts of the past (Weimar and National Socialism) were often evoked as a warning to support the need or, on the contrary, the danger of emergency legislation for the new post-war German democracy.

Introduzione: Sternmarsch auf Bonn
e la questione dell’emergenza

Bonn, 11 maggio 1968: in quel giorno la capitale politica della giovane Germania federale fu al centro di una imponente manifestazione, una “marcia stellare”, risultante dalla confluenza di cortei di manifestanti provenienti da numerosissime città tedesche per esortare con massimo vigore il Parlamento a respingere un complesso disegno di legge passato alla storia con il nome plurale di leggi di emergenza o Notstandgesetze (Ng). Si trattava di una proposta di intervento su alcuni articoli della Legge fondamentale che nell’insieme rispondeva all’obiettivo di costituzionalizzare disposizioni giuridiche contemplanti lo stato di emergenza (Notstand). Una questione su cui esisteva un dibattito sin dalla stesura del testo costituzionale, ma che solo nel 1960 fu elaborata in un disegno di legge che avrebbe alimentato una fase di intensa contestazione sociale parallelamente all’iter parlamentare che ne sancì il varo nel 1968 (seppur in una versione profondamente emendata). La “marcia stellare” su Bonn fu uno dei momenti simbolicamente più significativi del movimento contro le Notstandsgesetzte, un evento che ne marcò l’apice e dunque anche l’inizio del declino.

Sulle ragioni per cui proprio negli anni Sessanta il tema della legislazione di emergenza assunse particolare rilevanza si tratterà nel paragrafo a seguire, in cui si analizzerà come la questione dell’emergenza divenne oggetto di un dibattito tecnico-giuridico a cui si aggiunse rapidamente una marcata connotazione politica. Quest’ultima alimentò poi una critica corale che coinvolse in misura crescente politici, giuristi, intellettuali, sindacalisti, studenti, pubblicisti e anche esponenti delle istituzioni religiose. Dalla discussione sulle leggi di emergenza si giunse così, nel torno di pochi anni, alla diffusione di un clima politico e sociale allarmato dal rischio di veder precipitare la giovane democrazia tedesca in una situazione di emergenza democratica e che lasciava riemergere gli spettri della ancora recente dittatura nazista. Nell’elaborazione delle diverse linee argomentative, a favore o contro le Notstandsgesetze, si fece non a caso un ricorso quasi sistematico alle “lezioni della storia” o, meglio, al passato, condensato in “Weimar” – un lieux de mémoire estremamente evocativo e denso di significati soggetti a continue rivisitazioni critiche (Salvati 2020). Alcuni elementi dell’esperienza weimariana – evocati sinteticamente nell’art. 48 della costituzione repubblicana o semplicemente nella cifra “33” – furono usati come monito per sostenere la necessità o, al contrario, la pericolosità di una legislazione di emergenza per la democrazia tedesca postbellica. Dato il peso di questo dispositivo argomentativo, la seconda parte dell’articolo verterà sul ricorso a comparazioni storico-politiche in rapporto al dibattito sulle leggi in questione. In una terza parte ci si soffermerà infine sulla portata politico-culturale delle proteste al di là della loro scarsa efficacia nel perseguimento dell’obiettivo dichiarato (impedire l’approvazione delle leggi), così da evidenziare quanto la contestazione servì non solo a modificare l’impianto originario delle Ng, ma anche e soprattutto a forgiare una concezione “combattiva” di democrazia (kämpferische o streitbare Demokratie) in opposizione a nozioni meramente astratte. Una democrazia intesa dunque come una realtà vitale, di cui è necessario prendersi cura nella prassi quotidiana; un principio istitutivo di un ordine politico-sociale da difendere, dotandolo degli antidoti politico-culturali necessari ad affrontare efficacemente sfide o situazioni di crisi.

Legislazione di emergenza vs. emergenza democratica:
la costruzione dell’emergenza

A metà degli anni Cinquanta per la Germania federale iniziò una nuova fase politica: gli accordi con le tre forze occidentali di occupazione (Deutschlandsvertrag) e l’adesione all’Alleanza atlantica (1955) sancirono ufficialmente il passaggio dallo status di territorio occupato, mantenuto anche dopo la fondazione della Brd nel 1949, a quello di stato pienamente sovrano in termini giuridici. Questo mutamento sollevò immediatamente questioni di grande rilievo rispetto alle implicazioni della sovranità, la prima delle quali riguardò la costituzione di un esercito “nazionale” e dunque il tema del riarmo, in favore del quale il governo guidato dal cancelliere Adenauer (Cdu) si espresse senza reticenze. Il ricostituirsi di una Germania sovrana e in armi sollevò non poche preoccupazioni tra chi conservava ancora calda memoria del bellicismo del Terzo reich. Il desiderio di voltare definitivamente pagina, marcando una netta presa di distanza dalla Germania sepolta sotto le macerie del nazismo, suscitò pronte reazioni in alcuni settori della società civile, tant’è che contro il riarmo tedesco già sul finire degli anni Cinquanta si costituì un vivace movimento pacifista e antimilitarista [1].

Le preoccupazioni circa la possibilità di riemersione di elementi di continuità con un passato da cui ci si voleva distanziare crebbero ulteriormente negli anni successivi, quando la raggiunta piena sovranità della Germania federale fu assunta come argomento per reclamare una “integrazione” della Legge fondamentale al fine di dotare lo stato tedesco di strumenti giuridici con cui affrontare uno stato di emergenza in caso di crisi. Il tema aveva iniziato a circolare nei corridoi della sede governativa di Bonn già dal 1958 per poi assumere la forma di un disegno di legge due anni più tardi su iniziativa dell’allora ministro dell’interno Gerhard Schröder (Cdu) [2]. La proposta fu presentata come un’integrazione costituzionale giustificata dal fatto che in occasione della estensione della Legge fondamentale, nel 1949, era stato omesso ogni riferimento esplicito al caso dell’emergenza e ancor più allo stato di eccezione [3]. A giudizio del ministro Schröder, una Germania pienamente sovrana non poteva non dotarsi di poteri costituzionali con cui affrontare l’emergenza e rendere l’esecutivo in grando di agire in deroga alle procedure ordinarie. Le implicazioni politiche della proposta e le parole del ministro, che illustrando il primo disegno di legge non esitò a definire lo stato di emergenza come il “momento dell’esecutivo” (die Stunde der Exekutive), non potevano non suscitare reazioni critiche, nonché un dibattito estremamente controverso e appassionato, da cui prese poi forma un vero e proprio movimento di opposizione alle Ng [4].

Nel corso degli anni Sessanta si assistette così all’emersione di discorsi e di proteste attorno alla questione delle leggi di emergenza che si snodò lungo tre fasi: nella prima, tra il 1960 e il 1964, furono poste le fondamenta argomentative dei discorsi sull’emergenza da parte sia dei sostenitori del progetto legislativo che dei detrattori. Tra il 1965 e il 1966 una seconda fase marcò poi il passaggio verso la formazione di una campagna organizzata a livello federale contro le Ng: nel 1965, in occasione della presentazione in Parlamento di una nuova versione del disegno di legge, a Bonn fu organizzato un congresso – denominato in termini eloquenti Demokratie vor dem Notstand (la democrazia di fronte all’emergenza) – con cui rielaborare una sintesi condivisa delle diverse posizioni critiche emerse in ambiente giuridico-accademico, partitico (Spd) e sindacale (Dgb). Nell’autunno del 1966, quando la Spd entrò per la prima volta in area di governo in una grande coalizione con la Cdu-Csu, a Francoforte si tenne poi un secondo grande evento di forte impatto pubblico e politico, capace di intensificare il tenore di una protesta che stava assumendo una connotazione marcatamente extraparlamentare. Per l’organizzazione di questo secondo congresso, dal titolo allarmistico Notstand der Demokratie (emergenza della democrazia), era stato peraltro costituito un coordinamento, il Kuratorium Notstand der Demokratie, che raccoglieva le personalità maggiormente impegnate nella campagna e che avrebbe svolto un importante ruolo di raccordo nel far confluire la contestazione nell’alveo composito della Opposizione extraparlamentare (o Apo, Außerparlamentarische Opposition). Il congresso del 1966 segnò così l’avvio di una terza e ultima fase della contestazione, caratterizzata dall’allargamento della sua base sociale, con il coinvolgimento di parte del movimento studentesco, ma anche dall’approfondirsi di divergenze e linee di conflitto all’interno del fronte degli oppositori. Quest’ultima fase si sarebbe conclusa tra il maggio e il giugno del 1968 a seguito del varo definitivo delle contestate Notstandsgesetze pur se in una versione ampiamente emendata.

Fin dalla prima fase della contestazione i principali soggetti coinvolti nel pubblico dibattito furono ovviamente le forze politiche, di governo e opposizione, ma soprattutto esperti competenti – giuristi, politologi, scienziati sociali – che presentarono pubblicamente le loro posizioni e i loro argomenti contro le Ng attraverso organi di stampa rappresentativi di una rinascente intellighèntsia tedesca postbellica. Un ruolo significativo ebbero le riviste culturali e di critica sociale attorno a cui quest’ultima si era ricostituita, si confrontava e si poneva in rapporto dialogico con più ampi settori sociali. Basti ricordare riviste quali i Frankfuter Hefte o i Blätter für deutsche und internationale Politik – espressione di certo socialismo riformista non necessariamente allineato alle posizioni della Spd – o, ancora, Das Argument, giornale di filosofia politica e scienze sociali sotto la direzione del duo marxista Fritz e Frigga Haug. Dal 1965 anche Neue Kritik, l’organo di dibattito teorico della nuova sinistra espressa dall’associazione studentesca socialista Sds, iniziò a dedicare crescente spazio al tema delle Ng [5]. Questi, e altri periodici qui trascurati per ragioni di economia della ricerca, dedicarono attenzione costante al dibattito e all’iter parlamentare sulle leggi di emergenza fino alla loro approvazione [6]. Tra le firme più ricorrenti, a testimoniarne il particolare impegno civile, spiccavano quelle dei giuspubblicisti Helmut Ridder e Jürgen Seifert, degli scienziati politici Eugen Kogon, Wolfgang Abendroth, Karl Dietrich Bracher, dei filosofi Karl Jaspers ed Ernst Bloch, ma un elenco completo sarebbe ben più lungo e variegato [7]. Si può in ogni caso constatare come in questa prima fase il dibattito ebbe soprattutto un carattere tecnico-giuridico pur se tratti di critica politica erano già ben riconoscibili [8].

La discussione sulle implicazioni più eminentemente politiche delle Ng fu tuttavia condotta da un secondo soggetto alla guida delle proteste contro le Ng, ovvero i sindacati raccolti nell’organizzazione centrale del Dgb (Deutscher Gewerkschaftsbund). Le inquietudini dei sindacati rispetto all’eventualità dell’approvazione delle Ng furono espresse fin dalla presentazione della prima proposta, in particolare in merito a quegli articoli che prevedevano la possibilità di imporre l’esercizio di alcune funzioni lavorative, limitare la libertà di scelta dell’occupazione e sospendere il diritto di sciopero [9]. In occasione del congresso generale del Dgb tenutosi ad Hannover nel 1962 fu votata una dichiarazione di chiara condanna delle Ng; mentre una nuova versione della proposta sarebbe stata nuovamente respinta dal Dgb in occasione del suo congresso federale del 1966 a Berlino [10]. Che le preoccupazioni sindacali per le ripercussioni repressive delle Ng in ambito lavorativo non fossero mere speculazioni teoriche, lo avevano lasciato intendere le sorprendenti parole del presidente dell’associazione dei datori di lavoro (Bundesvereinigung der Arbeitgeberverbände, Bda), Hans-Constantin Paulssen, quando nel 1962 si era espresso pubblicamente a favore delle Ng in quanto utile strumento giuridico con cui contrastare il ricorso allo sciopero [11].

Pur se l’insieme delle organizzazioni sindacali raccolte nel Dgb si pose in maniera unitaria contro il progetto delle Ng, alcuni sindacati di categoria si esposero in prima linea, assumendo quasi un ruolo guida in vece dell’organizzazione centrale. Tra questi spiccò certamente il sindacato dei metallurgici IG Metall, che già in reazione al primo disegno di legge nel 1960 aveva contestato la necessità di una legislazione di emergenza per voce del suo presidente Otto Brenner – un esponente storico della generazione weimariana. Questi sostenne che la Legge fondamentale conteneva già articoli – precisamente gli art. n. 37; 81 e 91 – che assicuravano la possibilità di affrontare situazioni di emergenza nel rispetto dei diritti fondamentali. Sul diritto di sciopero in particolare, e alla luce delle drammatiche esperienze del passato vissute in prima persona, Brenner non esitò poi a dichiarare massima determinazione in difesa di una prerogativa fondamentale dei lavoratori:

Die deutsche Gewerkschaftsbewegung hat im März 1920 […] den Anschlag reaktionärer und militärischer Kräfte gegen di junge Weimarer Demokratie zunichte gemacht. Sie konnte das nur deshalb mit Erfolg tun, weil sie den Generalstreik anwandte. Wir lassen uns durch keine Notstandsgesetze diese schärfste Waffe der Arbeitnehmer entreißen […] (Otto Brenner citato in Seifert 1965a, 41 e ss., corsivo mio).

La particolare sensibilità sindacale sui diritti in ambito lavorativo derivava anche dal fatto che nei primi anni Sessanta numerosi sindacalisti serbavano ancora vivida memoria delle circostanze giuridiche e politiche che avevano condotto all’istituzione di una sorta di “stato di eccezione permanente” nella Repubblica di Weimar e delle ripercussioni che ciò aveva determinato per il movimento operario (Schneider 1986).

In questa prima fase di formazione di discorsi giuridici e politici sullo stato di emergenza, sia a favore che contro il disegno di legge in questione, si può osservare come le circostanze del presente e le ombre del passato fossero utilizzate in maniera alquanto strumentale a supporto delle rispettive posizioni. Per i sostenitori della proposta di legge il contesto internazionale e la nuova posizione della Brd dopo i trattati del 1955 costituivano gli argomenti dirimenti. Come già accennato, il mutato rapporto con le autorità di occupazione e l’adesione della Brd alla Nato avevano posto il tema dell’esercizio della piena sovranità statuale all’ordine del giorno (riarmo e “integrazione” dello stato di emergenza nella Legge fondamentale). In aggiunta a ciò, nei primi anni Sessanta la crisi missilistica cubana aveva dimostrato la concretezza del rischio di una nuova guerra mondiale con implicazioni dirette anche sul contesto politico interno tedesco. Nell’estate del 1961 l’erezione del Muro di Berlino aveva poi ulteriormente irrigidito i rapporti di ostilità e competizione tra le due Germanie. Tensioni internazionali e intratedesche furono pertanto additate come i fattori che avrebbero potuto costituire una minaccia comunista per lo stato occidentale (emergenza interna). Non a caso i propugnatori delle Ng posero reiteratamente l’accento sul prospettarsi di uno scenario di minaccia (comunista) all’ordine costituito, per cui avrebbe potuto rendersi necessario indire lo stato di emergenza. Per la prevenzione ed eventuale gestione di tale circostanza le forze di governo guidate dai partiti Cdu/Csu ritenevano dunque fondamentale dotarsi di strumenti giuridici adeguati.

Da parte loro, anche le forze più progressiste e genuinamente democratiche (parlamentari e, in misura crescente, extraparlamentari) non si esimettero dall’additare potenziali rischi e pericoli per la Brd; questi furono però individuati non tanto in una presunta minaccia eversiva quanto nella creazione ad hoc della stessa, ossia nelle misure repressive che il ricorso allo stato di emergenza avrebbe potuto legittimare. In ultima istanza, il rischio maggiore era visto nella possibile involuzione autoritaria a cui il nuovo stato tedesco poteva andare incontro costituzionalizzando lo stato di emergenza. Questo perché agli occhi dei detrattori delle Ng il principale fattore di preoccupazione risiedeva nella sopravvivenza di concezioni autoritarie dello stato e di culture politiche non genuinamente democratiche all’interno della nuova Germania federale. Elementi che parvero dare prova concreta della fondatezza di tali preoccupazioni peraltro non mancarono: tra questi il cosiddetto Spiegel-Affäre nell’autunno del 1962, un caso clamoroso di illegittima intrusione ministeriale nell’attività giornalistica del noto settimanale d’informazione Der Spiegel (Doerry e Janssen 2013). L’azione investigativa e repressiva voluta direttamente dall’allora ministro della difesa Franz J. Strauss a discapito del periodico – il redattore capo Rudolf Augstein e alcuni suoi collaboratori furono arrestati per violazione del segreto di stato – fu giudicata una manifestazione eloquente della persistenza di inclinazioni autoritarie all’interno della classe dirigente. Una chiara manifestazione della sopravvivenza di un retaggio politico-culturale, di matrice guglielmina-bismarckiana prima ancora che hitleriana, mai definitivamente superato e pronto a riemergere non appena l’esercizio dei diritti democratici rischiava di produrre effetti indesiderati alle forze di governo [12]. Nel contesto del coevo dibattito pubblico sulle leggi di emergenza, lo Spiegel-Affäre funse così da campanello di allarme – ciò che lo storico Hans-Ulrich Wehler ha definito un “Weckruf für die Demokratie” (Wehler 2013). Il peso politico del caso Spiegel – l’incrinatura della vita democratica che aveva rappresentato, con la violazione del diritto di informazione, il tentativo di controllare la libertà e la forza di quella che si stava affermando come una consapevole sfera pubblica critica [13] – fu riscontrato ancora a distanza di alcuni anni, come quando, nel 1966, il filoso Karl Jaspers, nel riflettere sui pericoli di abuso dei poteri contemplati dalle leggi di emergenza, scrisse: “avvenimenti della nostra storia recentissima [riferimento al caso Spiegel] ci insegnano che l’abuso non è solo possibile, ma probabile”. E sempre con riferimento alle vicende dello Spiegel del 1962 proseguiva: “ci si deve chiedere: ma, queste persone [Strauss e Adenauer tra gli altri], se la legge fosse già esistita, non avrebbero potuto dichiarare lo stato di emergenza e poi fare quello che volevano?”. Data l’inaffidabilità democratica di certi politici, concludeva Jaspers, un uso inappropriato di tali leggi non era affatto da escludere [14].

Le considerazioni di Jaspers si collocavano nel contesto della seconda fase della contestazione delle Ng, quella che segnò il coinvolgimento di un più vasto pubblico. Significativi di questa evoluzione verso l’allargamento della base sociale delle proteste erano stati i già evocati congressi di Bonn nel 1965 e di Francoforte nel 1966. Entrambi i due momenti erano serviti a lanciare una vera e propria campagna politica di mobilitazione che giunse a coinvolgere un insieme eterogeneo di soggetti: accanto all’esiguo ma autorevole nucleo di intellettuali, scrittori, esperti giuristi, scienziati sociali e ai più combattivi sindacati, crebbe l’attivismo delle organizzazioni studentesche, con l’Sds in prima linea, affiancato dal Movimento per il disarmo (Kampagne für Abrustung) e da un numero crescente di Comitati di azione contro lo stato di emergenza (Antinotstand-Aktionsausschüsse), formatisi soprattutto nei principali centri urbani (Tolomelli 2001, 167). Rispetto alle linee argomentative già tracciate negli anni precedenti non fu aggiunto molto, ma si assistette a una drammatizzazione dei discorsi attraverso il ricorso a figure di pensiero, concetti e una terminologia altamente enfatici, tesi a creare deliberatamente un clima di massimo allarme attorno a ciò che veniva percepito e descritto come una conclamata emergenza democratica.

Nonostante alcuni blandi tentativi di rassicurazione dell’opinione pubblica da parte del governo, motivi per dubitare della coscienza autenticamente democratica della classe dirigente continuarono a riproporsi. Sconcertante sorpresa suscitarono per esempio le parole con cui il cancelliere Ludwig Erhard, succeduto ad Adenauer nel 1963, si espresse al congresso del suo partito nel 1965 per descrivere la sua concezione di società ideale (tedesca): proponendo il concetto di “formierte Gesellschaft” [15] Erhard esprimeva una visione sostanzialmente organicistica di società, difficilmente conciliabile con una visione democratica aperta ad accogliere e governare inevitabili conflittualità e divergenze di interessi [16]. Posta in relazione agli argomenti addotti a difesa delle Ng, la connotazione sostanzialmente positivistica e ottocentesca della società à la Erhard non poteva che rafforzare gli argomenti di chi rifiutava la normazione costituzionale dello stato di emergenza. Per quest’ultimi, come già accennato, la vera emergenza risiedeva nel rischio di uno svuotamento della giovane e fragile democrazia tedesco-federale per effetto della riemersione di tutti quei tratti dell’autoritarismo, politico, statuale, ma anche psicologico sociale, da cui i tedeschi sembravano non riuscire a liberarsi pienamente nonostante la nuova cornice istituzionale democratica postbellica [17]. L’impressione era di trovarsi di fronte al riproporsi di quell’Obrigkeitsstaat in cui aveva potuto insinuarsi con facilità il nazionalsocialismo del Terzo reich, una prospettiva che doveva essere osteggiata con tutti i mezzi [18]. Alla domanda (retorica) se la Bundesrepublik si trovasse in pericolo, il politologo Eugen Kogon rispondeva di sì senza alcuna reticenza. Ma il pericolo, spiegava, non derivava dal rischio di attacchi esterni o interni, bensì dall’eventualità della soppressione delle libertà democratiche per effetto delle Ng. Una nuova Germania autoritaria avrebbe di conseguenza fatto della Bundesrepublik stessa un fattore di pericolo [19].

Contribuirono alla creazione di un clima di emergenza democratica i reiterati avvertimenti lanciati attraverso una perdurante campagna pubblicistica condotta dai numerosi soggetti schieratisi contro l’approvazione delle Ng fin dai primi anni Sessanta. Un ruolo importante in ciò ebbero anche editori particolarmente impegnati e consapevoli del proprio ruolo civile nel forgiare e arricchire di contenuti una cultura politica democratica, tra i quali si posero in prima linea il Westdeutscher Verlagsanstalt con la collana Demokratische Existenz heute [20], Pahl-Rugenstein con la collana Stimmen zur Zeit, la Europäische Verlaganstalt o, ancora, il cristiano Kreuz Verlag di Stoccarda con la sua serie Streitgespräche - Eine aktuelle Buchreihe [21] tra vari altri. L’attività pubblicistica raggiunse notevole intensità alla metà del decennio, allorché il cancelliere Erhard prospettò la possibilità del varo delle Ng entro la conclusione della legislatura (estate 1965). Risalgono a quel periodo pubblicazioni di opere di informazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica dai titoli particolarmente allarmanti quanto evocativi: Der Totale Notstandsstaat (Kogon et al. 1965) [22]; Gefahr im Verzuge (Seifert 1965a) – espressione che traduceva la nozione giuridica di periculum in mora; Griff nach der Diktatur? (Holz e Neuhöffer 1965), etc. Da ricordare, ancora, l’enorme interesse suscitato dallo studio Gesellschaft und Demokratie in Deutschland, anch’esso pubblicato nel 1965 per opera del sociologo Ralph Dahrendorf e incentrato sulle ragioni della persistenza di certo obrigkeitsstaatliches Denken in Germania. Un’opera che non affrontava direttamente la questione delle Ng, ma che allertava l’opinione pubblica sulla fragilità delle fondamenta democratiche su cui si reggeva la società tedesca [23].

Queste numerose pubblicazioni crearono una cornice argomentativa e uno spazio discorsivo pubblico in cui si collocarono poi le azioni di mobilitazione sociale, come con il già citato congresso del 1965 a Bonn, La democrazia di fronte all’emergenza, realizzato grazie a una intensa fase preparatoria in cui spiccarono l’impegno di organizzazioni sindacali e studentesche accanto agli appelli di intellettuali e accademici [24]. Un’iniziativa con cui non solo si voleva dare voce pubblica alla contestazione, ma, e soprattutto, si intendeva promuovere un confronto aperto tra cittadinanza e istituzioni. La forza politica di riferimento era evidentemente la Spd, il partito di opposizione da cui ci si aspettava un ruolo di mediazione degli argomenti della contestazione dalla sfera pubblica al Parlamento [25].

Dal punto di vista dei contenuti della critica, la campagna contro le Ng continuò a ruotare attorno alle argomentazioni già emerse negli anni precedenti, ma riuscì a coinvolgere segmenti sociali sempre più ampi per effetto delle continue iniziative pubbliche su tutto il territorio federale sostenute da una continuativa opera di sensibilizzazione dell’opinione pubblica [26]. Dopo il successo del congresso di Bonn, che aveva contribuito a sventare un’approvazione affrettata delle Ng prima della conclusione ordinaria della legislatura nell’estate 1965, con il congresso di Francoforte Notstand der Demokratie del 1966, per l’organizzazione del quale fu istituito un Kuratorium [27], la contestazione entrò nella terza e ultima fase del suo sviluppo, quella più alta in termini di forza di mobilitazione ma anche la più complicata rispetto alla capacità di mantenere unitaria una lotta condotta da un insieme eterogeneo di soggetti. Lo scenario si fece poi più teso e complicato sul finire dell’anno 1966, allorché una crisi governativa fu risolta con la costituzione di una inedita coalizione di governo tra i due principali, ma avversari partiti di massa: una Große Koalition tra Cdu/Csu e Spd, peraltro non avallata da alcuna consultazione elettorale. L’evento segnò un tornante nella storia politica della Germania federale, un novum che nell’immediato fu percepito come un ulteriore fattore di indebolimento delle sue capacità di tenuta democratica. Si trattava in effetti di una prima sperimentazione di una coalizione tra le due principali forze politiche che, nel contesto di un sistema partitico che aveva espulso le componenti più radicali convogliando le forze legittime verso il centro – die vernünftige Mitte [28]–, vedeva ridurre drasticamente il ruolo dell’opposizione parlamentare. Agli occhi dei detrattori delle Ng l’emergenza democratica risultava così ulteriormente aggravata, al punto di ritenere necessario compensare l’indebolimento dell’opposizione parlamentare dando vita a una opposizione extraparlamentare organizzata (Apo) (Kleßmann 1988, 199-209; Richter 1998-99, 39-58). I nuovi rapporti politici tra i due principali partiti tedeschi rendevano inoltre estremamente probabile il raggiungimento dei due terzi dei voti in Parlamento, necessari per l’approvazione delle Ng, come in effetti sarebbe accaduto con le votazioni di fine maggio 1968 e il varo delle stesse.

Tuttavia, la crescita del clima di emergenza non produsse il rafforzamento del fronte degli oppositori, anzi. La radicalizzazione della conflittualità sociale seguita a eventi violenti occorsi tra il 1967 e il 1968 – dall’uccisione di uno studente manifestante a Berlino ovest il 2 giugno 1967, all’attentato al leader studentesco Rudi Dutschke e ai primi attentati dinamitardi nella primavera 1968 – produssero ripercussioni negative sulla campagna contro le Ng, la quale dalla primavera del 1968 iniziò in effetti a frammentarsi. L’impossibilità di mantenere unite le forze di opposizione alle Ng emerse in maniera sempre più chiara in occasione di iniziative volte a incidere sul dibattito parlamentare per l’approvazione delle stesse – pur se in una versione profondamente emendata, tra i mesi di maggio e giugno 1968. L’azione più incisiva doveva essere la già citata “marcia stellare” su Bonn, prevista per l’11 maggio 1968. Nel mutato scenario dei primi di quell’anno ciò non fu però più possibile: gli esponenti dell’opposizione alle Ng più saldamente inseriti nel sistema istituzionale tedesco, i sindacati in primo luogo, intesero distanziarsi dall’universo magmatico dell’Apo per evitare di esporsi ad accuse di connivenza con le forze più radicali. Il movimento studentesco era peraltro ormai etichettato dalle forze conservatrici come una minaccia antisistema – basti ricordare che Dutschke fu definito dalla Bild-Zeitung il nemico di stato numero 1. A partire da questo genere di argomentazioni il topos dell’emergenza democratica fu fatto proprio dalle forze conservatrici che lo capovolsero in termini di emergenza in difesa dell’ordine costituito contro una crescente minaccia interna. Minaccia non più astratta, ma identificata nei cosiddetti Chaoten della Kommune 1, negli estremisti della Sds e, per estensione, nell’intero mondo Apo. Alla luce di questo mutato scenario si spiegano dunque le ragioni per cui l’11 maggio 1968 il Dgb organizzò una propria iniziativa di protesta contro le Ng in sede separata (a Düsseldorf) e secondo modalità volutamente formali (in una sala congressuale a porte chiuse, non in una piazza) per marcare la distanza dalla “marcia su Bonn” [29]. Il coinvolgimento della Spd nella coalizione di governo aveva poi nel frattempo provveduto a smussare in parte gli elementi più controversi delle Ng, così da favorirne la definitiva approvazione e porre termine alla contestazione.

L’iter parlamentare pose così fine alla contestazione e il clima emergenziale prodottosi nel corso del decennio lentamente scemò. La contestazione aveva però prodotto effetti che andavano oltre gli obiettivi più immediati. Tra questi la capacità di far riemergere il passato recente dal rimosso collettivo in cui era stato rigettato al fine di voltare pagina e procedere a una ricollocazione positiva della Germania federale nell’ordine post-bellico della Guerra fredda. Come è emerso, furono soprattutto gli oppositori delle Ng a introdurre nel dibattito pubblico immaginari, termini e figure di pensiero fortemente evocative del passato – totaler Notstandsstaat, Ermächtigungsgesezte, Notstand der Demokratie, Gefahr im Verzuge, etc. – per scuotere l’opinione pubblica sui rischi nel presente. Il ricorso al passato come termine di comparazione per la comprensione del presente ebbe in effetti una rilevanza tale che merita alcune considerazioni ulteriori.

Le ombre di Weimar su Bonn:
il ricorso alla storia nel dibattito politico

Già prima dell’avvio del dibattito sulle Ng si era affermata nella Repubblica federale tedesca la tendenza a valutare le più recenti acquisizioni sociali e politiche in opposizione alle difficoltà che negli anni Venti e Trenta la Repubblica di Weimar non era invece riuscita a superare. Significative al riguardo le reazioni positive con cui fu accolto un libro di un pubblicista di origine svizzera, che recava il titolo Bonn ist nicht Weimar (Allemann 1956) e che contribuì a divulgare un paradigma di autorappresentazione della Repubblica federale basato su di una comparazione contrastante col passato: il successo del sistema politico bundesrepubblicano emergeva con particolare evidenza soprattutto se accostato alla fallimentare esperienza weimariana. Con il dispiegarsi del dibattito sulle Ng l’accostamento tra Bonn e Weimar iniziò però a perdere quei tratti di evidente contrasto tanto elogiati, tant’è che nel 1965 il settimanale Der Spiegel si chiedeva se Bonn non stesse in effetti avvicinandosi pericolosamente a Weimar [30].

Nel dispiegarsi del dibattito sulle Ng il ricorso a “Weimar” in quanto topos di riferimento comparativo estremamente efficace per corroborare le proprie argomentazioni fu ampiamente praticato sia dai propugnatori che dai critici delle leggi di emergenza (Requate 2003). Questa propensione comparativa fu per certi versi favorita dalle valutazioni contrastanti che sulla crisi di Weimar erano andate affermandosi a metà degli anni Cinquanta [31]. In particolare, la diatriba apertasi tra il 1954-55 – la cosiddetta Conze-Bracher Kontroverse – aveva spianato la strada a due principali paradigmi interpretativi [32]. Un primo giudizio, avanzato dallo storico Werner Conze, riconduceva la crisi di Weimar a un eccesso di democratizzazione, o Überdemokratisierung del sistema politico – a suo avviso monopolizzato da partiti e Parlamento fino a creare una situazione di paralisi politica (da cui il termine Parteienstaat usato da Conze nel 1954). Il secondo giudizio, elaborato dallo scienziato politico Karl D. Bracher (1955), attribuiva invece il fallimento di Weimar a un certo Überhang an autoritären Strukturen ossia al prevalere, nonostante l’impalcatura democratica della repubblica, di strutture ed élite di potere profondamente autoritarie, che avevano orientato il governo a un ripetuto ricorso all’art. 48 della Costituzione – l’articolo che contemplava lo stato di eccezione (Ausnahmezustand) – al punto da porre la Repubblica di Weimar in uno “stato di eccezione permanente”.

Giudizi storici così divergenti – eccesso di democrazia vs. eccesso di autoritarismo – non potevano non fornire utili argomenti a favore o contro le Ng. Per i sostenitori, che si richiamavano soprattutto alla lettura di Weimar come Parteienstaat, la necessità di una legislazione sull’emergenza derivava da una funzione protettiva che lo stato doveva esercitare onde evitare il riproporsi delle condizioni che avevano determinato la crisi fatale degli anni 1930-33. Da una comparazione storico-politica si poteva insomma desumere che, così come negli anni di Weimar l’art. 48 era stato uno strumento che aveva consentito una certa durata all’esperienza repubblicana [33], nella Bonner Republik le Ng dovevano adempiere a una funzione preventiva (Vorsorge) di tutela dello stato per la salvaguardia dell’ordine democratico [34]. Peraltro, come fu sottolineato in occasione di un ciclo di conferenze sul tema, organizzato dallo scienziato sociale Ernst Fraenkel nel 1964 presso l’Otto-Suhr-Institut della Freie Universität di Berlino, le Ng erano decisamente più articolate e puntuali dell’art. 48, così da restringere ampiamente la casistica dell’emergenza [35].

Inoltre, mentre a Weimar lo stato di eccezione aveva comportato la concentrazione del potere esclusivamente nell’esecutivo, nel progetto delle Ng in discussione la gestione dello stato di emergenza doveva rimanere in ambito legislativo attraverso l’istituzione di una sorta di “parlamento di emergenza” (Notstandsausschuß o Notparlament), una struttura atta a garantire il mantenimento della divisione dei poteri anche in caso di emergenza (Bettermann 1965, 228) [36]. I riferimenti al passato per suffragare le argomentazioni a sostegno dei diversi punti di vista andarono poi oltre l’ambito strettamente giuridico. Nelle fasi più accese del dibattito parlamentare vi fu per esempio chi, come il conservatore Rainer Barzel (Cdu), spronò la Spd ad assumersi responsabilità istituzionali e contribuire all’approvazione delle Ng senza sottomettersi, “a differenza di quanto aveva fatto negli anni Venti”, alla volontà dei sindacati (Requate 2003, 319-320).

I detrattori delle Ng ancorarono invece i loro argomenti al paradigma che riconduceva il fallimento di Weimar alla predominanza di monarchisch-obrigkeitsstaatliche Elemente (Bracher 1955), la precondizione che avrebbe reso possibile la Machtergreifung nazionalsocialista del 1933. In quest’ottica le Ng erano viste quasi come una riproposizione di quegli strumenti giuridici che avevano consentito il sovvertimento legale della democrazia – ragione per cui nel dibattito pubblico vi fu chi additava le Ng come nuove Ermächtigungsgesetze, pur se di questo termine fu fatto un uso cauto, attento a non costruire accostamenti semplicistici tra passato e presente (Requate 2003, 322-323) [37]. Significativa al riguardo la relazione che lo storico Karl Otmar Freiherr von Aretin tenne in occasione del già citato congresso francofortese Notstand der Demokratie nel 1966. A partire dalla premessa che negava un nesso diretto tra regolamentazione giuridica dello stato di emergenza e l’istituzione di regimi dittatoriali, von Aretin sottolineava tuttavia come già il contemplare una legislazione ad hoc sullo stato di emergenza implicasse una precisa concezione dello stato (Aretin 1967). Lo storico espose la sua posizione osservando come, laddove lo stato era pensato come un costrutto istituzionale preposto a garantire i diritti fondamentali dei suoi cittadini, la tutela di tali diritti rimaneva una prerogativa imprescindibile anche in situazioni straordinarie, o di emergenza. Questa concezione si ritrovava a suo avviso nelle culture politiche e giuridiche di stati di solide tradizioni democratiche – come gli Usa, il Regno Unito, la Svizzera, o ancora la Francia (almeno fino all’istituzione della V repubblica, precisava). Le costituzioni di questi paesi non contemplavano lo stato di eccezione né di emergenza. Una concezione simile non la si ritrovava invece in Germania – almeno fino alla Legge fondamentale del 1949 in cui la regolamentazione relativa all’emergenza era stata volutamente omessa. In Germania, sosteneva von Aretin, predominava ancora una concezione (hegeliana) dello stato come istituzione preminente, la difesa del quale precedeva prioritariamente la tutela dei diritti di cittadinanza e delle libertà fondamentali. In questo elemento politico-culturale risiedeva a suo avviso la ragione per cui, nonostante la Brd si fondasse su una costituzione saldamente ancorata ai principi della democrazia parlamentare, una visione autoritaria dello stato era ancora ampiamente diffusa, soprattutto negli ambienti della burocrazia ministeriale e tra gli impiegati pubblici [38]. Spiegava von Aretin:

Nicht wenige glauben auch heute, daß letzten Endes ein Hitler, der keine Juden umbringt, das Ideal für schwierige Situationen sei. Das sind jene Männer, die uns weismachen wollen, eine Demokratie sei nur etwas für gute Zeiten. Sie ignorieren großzügig die Erfahrung des 20. Jahrhunderts, daß wir zweimal gegen Demokratien unterlegen sind, die keine Notstandsgesetze kannten (Aretin 1967, 33, corsivo mio) [39].

Non era tuttavia la mentalità conservatrice e autoritaria della burocrazia di stato a dover preoccupare – elemento che von Aretin rinveniva anche nelle burocrazie di altri paesi –, quanto piuttosto che questa medesima mentalità fosse presente anche a livello governativo: ciò che per Aretin costituiva la principale ragione dell’emergenza democratica venutasi a creare. E concludeva:

Der Notstand der Demokratie beginnt da, wo die Regierung diese [autoritäre] Praktiken übernimmt und wo eine lahme Opposition es nicht wagt, dagegen aufzutreten. In einem Land, das vor weniger als eine Generation eine Diktatur hinter sich hat, tragen die Politiker ein doppeltes Maß an Verantwortung. Von ihnen hängt es ab, ob sich die demokratische Ordnung erhalten kann (Aretin 1967, 35) [40].

Che Bonn non fosse Weimar lo riconoscevano anche coloro che non indulgevano nell’evocazione storica degli spettri del passato per allertare sui rischi del presente. Tuttavia, la comparazione Bonn-Weimar poteva utilmente servire a prefigurare esiti analoghi a ciò che si era dato con la crisi della prima democrazia tedesca. Quando Helmut Ridder, uno dei più agguerriti giuristi contro le Ng, dichiarò che un nuovo “1933 findet nicht statt”, intendeva sostenere che, se anche nella Brd non si stava rischiando uno scivolamento violento verso una dittatura paragonabile a ciò che era accaduto nel 1933, non si poteva però neppure escludere la possibilità che si innescassero sviluppi analoghi nel caso del varo delle Ng (Ridder 1967). Dunque, riprendendo la metafora comparativa proposta da Allemann nel 1956, Bonn non era Weimar, ma ciò che si era dato a Weimar poteva riproporsi, pur se in diversi termini, anche a Bonn.

Ciò che certamente risalta nell’analisi dei discorsi attorno alla questione dell’emergenza è un uso per certi versi strumentale della comparazione contrastante tra passato e presente, finalizzata non tanto alla comprensione storica quanto agli obiettivi politici perseguiti. Da parte governativa si tenne a ribadire ripetutamente che “Bonn non è Weimar” per cercare di rassicurare l’opinione pubblica e smentire i giudizi allarmanti delle forze di opposizione. Per quest’ultime invece l’accostamento Bonn-Weimar fu utilizzato sia per svelare continuità profonde (concezione autoritaria dello stato) che per rafforzare nella cultura politica bundesrepubblicana una concezione “combattiva” di democrazia, da contrapporre alla presunta concezione astratta e neutrale, che si riteneva avesse fatalmente predominato nel caso di Weimar (Mommsen 2003, 116; Grimm 2012). Dal passato si potevano insomma trarre lezioni molto diverse, anche contrapposte, a seconda della prospettiva e degli obiettivi politici che i diversi attori si trovavano a perseguire nel loro presente. In un presente in cui, con il dibattito sulle Ng, la posta in gioco riguardava la configurazione delle reali modalità di funzionamento dell’ordine democratico, le forme di partecipazione politica e dell’esercizio del potere. Questioni che in quegli anni furono sottoposte a una profonda analisi critica, messe in relazione con un ripensamento della democrazia sostanziale e ancorate ai concetti di democrazia partecipatoria e democrazia diretta. Al riguardo è importante ricordare che la contestazione tedesca contro le Ng si collocava in una più ampia cornice di critica transnazionale ai limiti della democrazia rappresentativa così come questa era stata riaffermata in Europa e nel mondo occidentale nel secondo dopoguerra (Conway 2023) [41].

Dall’emergenza a una cultura politica democratica

Curiosamente, una volta approvate, le Ng furono sostanzialmente dimenticate, non vi fu mai fatto ricorso e l’involuzione autoritaria tanto paventata non si diede. A poco più di un anno dal varo delle vituperate leggi, le elezioni politiche dell’autunno 1969 sancirono la fine del governo di Große Kaolition in favore di un nuovo esecutivo a guida socialdemocratica (in coalizione con il partito liberale Fdp). Notevole impressione suscitarono le parole del cancelliere Willy Brandt quando, in uno dei discorsi inaugurali del nuovo governo, aveva sostenuto la necessità di osare più democrazia in Germania. Mehr Demokratie wagen fu in effetti più di uno slogan nella Germania degli anni Settanta, quasi a smentire i peggiori scenari di deriva autoritaria prospettati invece dagli avversari delle Ng (Schildt, Schmidt 2019). Negli anni Settanta, nell’affrontare la più grave situazione di conflittualità politico-sociale che la giovane Brd avesse mai vissuto – la sfida antisistema lanciata da ambienti della sinistra radicale e organizzazioni dedite alla lotta armata – il governo adottò misure molto dure e anche controverse, ma pur sempre nel rispetto della cornice democratica, senza indire alcuno stato di emergenza (Tolomelli 2006).

Alla luce del duplice fallimento della campagna contro le Ng – mancato impedimento del varo delle leggi, mancata torsione autoritaria dello stato come inevitabile effetto delle stesse – si potrebbe facilmente sostenere che in ultima analisi la campagna anti-Ng si risolse in “tanto rumore per niente”, dando luogo a una drammatizzazione inopportuna della realtà, una costruzione artificiosa di un clima di emergenza del tutto fuori luogo [42]. Eppure, se collocato nel contesto storico in cui si sviluppò, si può sostenere che quel movimento non solo seguì una propria razionalità, ma produsse anche effetti rilevanti. Tra questi va sottolineato il contributo che diede allo sviluppo di un senso di responsabilità civica e politica e di una maggiore consapevolezza circa le pratiche della democrazia – in cui si affermò una concezione attiva della cittadinanza, pensata come in dovere di esercitare ruolo di vigilanza democratica sulla vita politica istituzionale. Concretamente questo contributo si manifestò in primo luogo nelle varie iniziative di mobilitazione sociale già richiamate. Ma non solo: si espresse anche nella fattuale promozione di quella che pochi anni più tardi sarebbe stata descritta in termini di Streitkultur, una cultura del dibattito, informato e argomentato, su questioni controverse, ciò che divenne una modalità privilegiata nei processi di formazione dell’opinione pubblica e di elaborazione di strumenti concettuali utili all’analisi critica della realtà politica e sociale. Un ruolo particolarmente attivo fu assunto in quel contesto dagli intellettuali, afferenti peraltro a generazioni diverse, dai relativi organi di stampa, da un ambiente editoriale particolarmente sensibile, dai sindacati e dal variegato insieme di soggetti sociali che nella seconda metà del decennio Sessanta conversero in un movimento di opposizione extraparlamentare. In prospettiva storica, è da evidenziare la rilevanza della campagna contro le Ng allora riconosciuta nel contributo che essa offrì al rafforzamento di un processo, intensificato anche dallo Spiegel-Affäre (Wehler 2013), di democratizzazione interna della società tedesca, di allontanamento da una concezione autoritaria in favore di una concezione liberale dello stato. Processo che attraversò in primo luogo le generazioni più giovani della società, ma che ebbe autorevoli figure di riferimento anche tra gli appartenenti a generazioni più anziane e che erano passate dalle strette maglie della dittatura. In virtù delle questioni giuridiche e politiche sollevate dalle Ng, questo processo giunse a coinvolgere anche le istituzioni dello stato federale, le forze politiche e di governo. Nel complesso, la mobilitazione contro le Ng marcò dunque un tornante particolarmente significativo per la maturazione di una cultura politica democratica nella Germania occidentale postbellica; una cultura che si arricchì di contenuti e fattori di complessità, e che pertanto si distanziava da quella appresa in maniera un po’ scolastica e octroyée nella veloce transizione postbellica tra lo smembramento del Terzo reich e la fondazione di due stati tedeschi (Lepsius 1990). Le pratiche della contestazione, il dispiegarsi della conflittualità, anche nelle forme estreme degli anni Settanta, costituirono insomma il processo esperenziale attraverso cui i molteplici attori sociali coinvolti contribuirono ad alimentare, a nutrire e a fare crescere, una cultura politica storicamente sensibile e consapevole delle molteplici dimensioni in cui la vita democratica si articola. Con riferimento al concetto di controdemocrazia coniato da Rosanvallon (2012), possiamo sostenere che, passando attraverso il banco di prova di una dura messa in discussione da parte di una opinione pubblica critica e fortemente sensibile alle esperienze del passato, la democrazia rappresentativa bundesrepubblicana fu sollecitata a una democratizzazione quasi forzata “dal basso” e imparò a destreggiarsi con crescente sicurezza tra consenso e opposizione, azione collettiva e azione parlamentare. Sul finire degli anni Sessanta la Brd giunse così ad affiancarsi a quelle cosiddette bewährte Demokratien, o democrazie consolidate, che ancora alla metà del decennio erano assunte dagli intellettuali tedeschi come parametri di riferimento con cui misurarsi per denunciare i limiti e le fragilità della cultura democratica in Germania (ovest) [43]. In questo senso si condivide il giudizio di chi sostiene che fu attraverso la radicale messa in discussione dell’assetto istituzionale e giuridico dello Stato occidentale postbellico che la società tedesca e le sue componenti intellettuali più critiche giunsero a sentirsene parte e, in ultima istanza, anche a riconoscervisi [44]. Si trattò di un processo di apprendimento piuttosto travagliato, ma che approdò al superamento di una visione della conflittualità politica e sociale come fattore di minaccia da reprimere sul nascere, così come a superare una concezione elitista del governo e del potere, ancora piuttosto radicata fino ai primi anni Sessanta, come una prerogativa esclusiva delle forze partitiche chiamate a negoziare compromessi e scambi dietro le quinte della (formale) democrazia parlamentare (Mommsen 1998; Brenner 1999).

Che la società tedesca degli anni Sessanta non potesse essere più governata nei limiti di visioni organicistiche (formierte Gesellschaft) combinate a una concezione autoritaria dello Stato era stato reso evidente dalla virulenta campagna contro le Ng. Nella costruzione di una contro-emergenza – democratica e partecipata – contro la costituzionalizzazione dello stato di emergenza si giocò così un’importante battaglia che si concluse in favore della prassi democratica rappresentativa: per via istituzionale l’iter di approvazione delle Ng giunse a compimento, anche se il pacchetto di misure approvate si discostava ampiamente dal disegno iniziale avendo dovuto recepire le pressioni esercitate dalla mobilitazione collettiva [45]. In ultima analisi, il “tanto rumore” attorno alle Ng in certa misura servì: contribuì a fare della democrazia tedesca qualcosa di più di un costrutto istituzionale e a calarla nell’esperienza della vita quotidiana [46], e ciò favorì la democratizzazione delle mentalità (come auspicava Dahrendorf nel suo studio del 1965) e lo sviluppo di una way of life democratica [47]. Si trattò pertanto di non poca cosa se si considera che, come ha sostenuto Till van Rahden (2016), all’inizio degli anni Sessanta i tedeschi erano dei democratici ancora piuttosto “impacciati”.

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Note

1. Forschungsstelle für Zeitgeschichte in Hamburg 2009. Sul finire del decennio Cinquanta la campagna per il disarmo sfocerà nel movimento transnazionale delle marce pasquali contro la proliferazione delle armi nucleari (Otto 1982).

2. Da non confondere con l’omonimo politico socialdemocratico, cancelliere nella Germania unificata tra il 1998 e il 2005.

3. Sul dibattito giuridico, politico e pubblico, nonché sul travagliato percorso approdato poi, nel maggio-giugno 1968, nel varo delle Notstandsgesetze cfr. Diebel 2019.

4. Il primo disegno delle leggi faceva riferimento esplicito allo stato di eccezione (Ausnahmezustand). A seguito dell’allarme suscitato, il termine sparì dalle versioni modificate del 1962, 1965 e 1968 in favore della denominazione meno evocativa “leggi di emergenza” (Spernol 2008; Diebel 2019, 82 e ss.; 135 e ss.).

5. Seifert 1965b. L’articolo aveva il tono di un ultimo appello affinché le NG non venissero votate, così da poter sventare il rischio di un “colpo di Stato dall’alto”. Cfr. anche Seifert 1966.

6. I settimanali di informazione Der Spiegel (di orientamento progressista) o il Rheinischer Merkur (di orientamento conservatore) avrebbero potuto costituire altre fonti rivelatrici di cui tuttavia ci si è avvalsi solo sporadicamente. I due periodici sono alla base di una significativa analisi della cultura politica tedesca attraverso il dibattito su limiti e virtù del sistema democratico bundesrepubblicano tra il 1965 e il 1985 (Schletter 2015).

7. Si trattava soprattutto, come ha sottolineato Kraushaar (2008, 148) di esponenti del mondo accademico e politico le cui prese di posizione godevano dell’autorevolezza di chi aveva conosciuto in prima persona il tracollo di Weimar e la pervasività del totalitarismo nazista. Sulla figura di Eugen Kogon si segnala Beismann 2020.

8. Kienast, Rudolf. 1963a e 1963b. In un successivo articolo, parte terza di “Notstandsverfassung und Grundgesetz” (Kienast), l’autore sintetizzava i tre principali punti per cui le Ng erano da considerarsi un intervento invasivo per la struttura complessiva della Legge fondamentale, in quanto avrebbero comportato una modifica delle norme e dei diritti fondamentali della Costituzione. Sulla base di considerazioni prettamente giuridiche l’autore esprimeva il suo rifiuto politico delle Ng.

9. Arbeitssicherstellungsgesetz, poi approvata nel luglio 1968 (Notstandsgesetze, 100-114). La legge intendeva garantire prestazioni lavorative a fini della difesa e della protezione della popolazione civile.

10. Le due dichiarazioni sono riportate per esteso in appendice al volume di Schäfer 1966, 199-200.

11. Paulssen si riferiva in particolare a una situazione di conflitto nel settore metallurgico avutosi nel 1962, quando “in mancanza di una legislazione di emergenza e della possibilità di intervento dello Stato i datori di lavoro non avevano potuto rischiare di avventurarsi in uno scontro di natura politica” (Paulssen citato in Schneider 1986, 93). Nell’estate del 1962 le parole del presidente degli industriali, poste in relazione al proposito governativo di poter limitare la libertà di associazione (art. 9 GG), suscitarono immediata preoccupazione non solo tra i sindacati ma anche nella Spd. Il partito mostrò tuttavia una posizione più sfumata e possibilista, distinguendo tra emergenza interna ed esterna. In quest’ultimo caso il partito riteneva plausibile contemplare la possibilità di poter garantire, o meglio imporre, la produzione di beni e servizi in funzione delle necessità di difesa verso l’esterno (Schäfer 1966, 114-126).

12. Alcuni intravidero nel caso dello Spiegel una sorta di “complotto dei segretari di Stato” (Abendroth 1965, 18).

13. Sul processo di formazione di una spera pubblica critica nella giovane Brd e il ruolo consapevole assunto dai media guidati da una nuova generazione politica (la “generazione 45”) si rinvia all’importante studio di Hodenberg 2006.

14. Jaspers 1969, 180. Jaspers sosteneva che l’abuso delle Ng poteva essere dato per certo “nel caso che abbiano un ruolo importante dei politici che non sono, dal punto di vista politico-morale, liberali di cui ci si possa fidare, come purtroppo molti, oggi” (ibidem).

15. L’idea di formierte Gesellschaft si poneva in contrasto a una concezione dinamica di società, in continuo mutamento rispetto alle sfide che si trovava ad affrontare, così come evidenziato dalla ricerca sociologica in quegli stessi anni (Dahrendorf 1961). Reimut e Blanke 1965.

16. Reinhard Opitz (1965) vedeva nell’ideologia intrinseca al concetto erhardiano i presupposti di attualizzazione del passato fascismo, adattandolo alle mutate circostanze politiche del dopoguerra.

17. Come noto, un filone importante di studi sull’autoritarismo, le sue manifestazioni nel carattere e personalità autoritaria era stato avviato dai principali esponenti della Scuola di Francoforte e altri scienziati sociali tedeschi in esilio sin dagli anni Quaranta (Lederer 2004; Adorno et al. 1950). Buona parte di quegli studi fu ripresa e rivalutata non a caso negli anni Sessanta.

18. Il concetto di Aushölung der Demokratie (svuotamento della democrazia) fu usato con insistenza nella pubblicistica sindacale, tra cui in particolare nei periodici Gewerkschaftliche Monatshefte e Metall.

19. “Ja […]. Freilich nicht in der […] von außen oder von innen angegriffen und möglicherweise überwältigt zu werden. Sondern, ganz in der gegenteiligen [Gefahr]: mit den Schutzmaßnahmen [le NG, MT] die ihr zugedacht werden, selber die demokratische Freiheit zu ersticken. Läßt man zu, daß dieser Prozeß beginnt und sich fortsetzt, dann allerdings wird die Bundesrepublik ihrerseits zu einer Gefahr werden. Noch ist sie es nicht – trotz bedenklichen Ansätzen, die es gibt” (Kogon 1965, 3).

20. Nell’introduzione al volume di Friedrich Schäfer di critica alle Ng (Schäfer 1966), scriveva il curatore della collana Ferdinand A. Hermens: “Die Demokratie erfordert die Diskussion, und wenn die Diskussion zu verantwortlichem Handeln führen soll, so muss sie von politischen Parteien aufgegriffen werden und in Richtung parlamentarischen Entscheidungen kanalisiert werden”. La collana curata dall’editore si intendeva funzionale alla promozione di tale processo.

21. La collana era curata da Manfred Nemitz. Per un esempio della volontà di promozione di una cultura del dibattito controverso di questo editore si veda il volumetto Notstandsrecht und Demokratie. Notwendigkeit oder Gefahr? (1963) [mancano i dati di stampa in biblio, dove l’ho inserito ma va modificato], contente gli interventi di uno Streitgespräch sulle Ng tenutosi a Bonn nel febbraio 1963. Sul senso della collana editoriale si veda Horst Dahlhaus, Einleitung, ivi, 5-7.

22. Il testo conteneva analisi critiche, puntuali e argomentate ad opera dei principali esponenti intellettuali dell’opposizione alle Ng: Eugen Kogon, “Die verhängnisvolle Vorsorge”, 3-9; Wolfgang Abendroth, “Der Notstand der Demokratie. Die Entwürfe zur Notstandsgesetzgebung”, 11-30; Helmut Ridder, “Die Sache mit den Vorbehaltsrechten der Alliierten”, 31-46; Heinrich Hannover, “Die totale Erfassung des Volkes dur die Nebengesetze”,47-67; Jürgen Seifert, “Die Entwürfe zum Verfassungsändernden Notstandsgesetz”, 69-70.

23. A giudizio di Requate (2003, 329) il testo di Dahredorf contribuì enormemente al dibattito sulla necessità di avanzare il processo di democratizzazione in Germania.

24. Tra il 1964 e i primi mesi del 1965 nuclei di opposizione si erano formati in ambito accademico, culturale e sindacale. Su iniziativa dell’editore Pahl-Rugenstein e della redazione di Blätter für deutsche und internationale Politik nel gennaio 1965 si era tenuto un forum a Francoforte, da cui era poi risultato un “Appello ai partiti” sottoscritto da numerosi sindacalisti. Nell’aprile 1965 fece seguito una dichiarazione di 215 docenti universitari a sostegno delle posizioni anti-Ng assunte dalla centrale sindacale Dgb fin dal congresso del 1962 (Schneider 1986, 128-129).

25. Tra i socialdemocratici, i principali sostenitori di una legislazione di emergenza, attenta tuttavia a evitare la concentrazione dei poteri nell’esecutivo e a impedire forme di controllo parlamentare, furono il giurista Carlo Schmid e il parlamentare Herbert Wehner. (Schneider 1986).

26. Kraushaar (2009, 139) accenna a una manifestazione, a Bonn l’8 maggio 1968 (giornata della fine della Seconda guerra mondiale, non celebrata in Germania), di circa 500 parroci ed esponenti del mondo religioso a difesa della Legge fondamentale e contro “Leggi-Ns” (metafora per le Ng) ribadendo un “mai più” rispetto ai trascorsi rapporti di connivenza tra potere politico e religioso.

27. Composto da oltre una cinquantina di persone, tra cui gli esponenti della prima fase delle critiche, il Kuratorium diede prova della sua capacità politica con la realizzazione di un secondo congresso, più ampio e di notevole risonanza pubblica, nel 1966. Le sue attività sarebbero poi proseguite, pur se attraversando problemi interni, fino all’organizzazione della già accennata “marcia stellare” su Bonn nel maggio 1968 (Spernol 2008). Anche gli interventi e i principali argomenti dibattuti al congresso di Francoforte furono pubblicati a fini divulgativi (Notstand der Demokratie 1967).

28. Sulla deliberata scelta di improntare il sistema partitico bundesrepubblicano a dinamiche centripete nella convinzione che die Mitte fosse lo spazio della ragionevolezza (Ort der Vernunft) in opposizione alle caratteristiche centrifughe e unvernünftig del sistema partitico weimariano insiste Schirmer 2020, 136.

29. Sui conflitti interni e la dissoluzione della campagna contro le Ng cfr. Tolomelli 2001, 231-238.

30. Un breve resoconto sul dibattito in corso sulle Ng era introdotto dalla domanda “Wird Bonn doch noch Weimar? Der Stand der interfraktionellen Diskussion über die Notstandsgesetzgebung” (Der Spiegel, 23, 2.6.1965, 22).

31. Sull’uso della Costituzione di Weimar stessa come riferimento negativo che si riverberò sulla stesura della Legge fondamentale del 1949 e che alimentò ancora per gli anni a venire il dibattito sulla qualità democratica dell’ordine politico bundesrepubblicano si veda Grimm 2002.

32. I testi su cui si sviluppò la Bracher-Conze Kontroverse sulle cause del fallimento di Weimar furono: Conze 1954; Bracher 1955. Per considerazioni più ampie sul contesto e la cultura politica che fecero da sfondo alla Kontroverse: Büttner 2018; Ullrich 2009, 583 e ss.

33. Questa linea argomentativa fu sostenuta dallo stesso cancelliere Adenauer con riferimento alla rivisitazione storico-giuridica dell’esperienza weimariana da parte di Friedrich-Karl Fromme, Ausnahmezustand und Notstandsgesetzgebung (1960) citato in Requate 2003, 319-320.

34. Benda 1966. Un contributo considerevole fu offerto dal pubblicista visceralmente anticomunista Winfried Martini (Martini 1960), che sostenne addirittura la tesi della debolezza della nuova repubblica a fronte della solidità di Weimar. “Ich weiß, daß dieser Staat nicht nur von außen, sondern vor allem auch von innen her bedroht ist; ich weiß, daß die Oberfläche über seine strukturelle Schwäche hinwegtäuscht, daß, vergliechen mit ihm, die Weimarer Republik ein höchst kraftvolles Gebilde war” (ivi, 12).

35. Una comparazione storico-giuridica tra l’art. 48 della Costituzione di Weimar e le Ng fu sviluppata dal giurista Karl A. Bettermann (Bettermann 1965). Una specifica contestualizzazione storica dell’art. 48 venne invece illustrata, nel corso dello stesso ciclo di conferenze, dallo storico Gerhard Schulz (Schulz 1965).

36. La costituzionalità di un presunto Parlamento di emergenza venne contestata ampiamente dai critici del disegno di legge: Seifert 1965a, 86-107; Seifert 1968.

37. Il riferimento era alla legge delega del 1933 con cui la potestà legislativa del Parlamento fu legalmente assunta all’esecutivo (Grimm 2012). Per un esempio dell’attenzione a non scivolare in semplicistici accostamenti cfr. Abendroth 1962.

38. Una simile visione critica, basata anche sul peso delle continuità nel personale burocratico e nelle classi dirigenti, era condivisa da eminenti figure intellettuali, tra cui Karl Jaspers e Hannah Arendt. Stando all’analisi di Helmut König (2008, 120), Arendt attribuiva la debolezza della cultura politica democratica nella Germania (ovest) postbellica al suo stesso processo fondativo, basato su un testo costituzionale che non era altro che uno Schriftstück di costituzionalisti; una costituzione octroyée che nulla aveva a che fare con l’agire politico di una società, che pertanto non esprimeva né poteva costruire il potere e non poteva godere di alcuna autorità nel popolo.

39. “Non pochi ancora oggi ritengono in fondo che un Hitler che non uccida gli ebrei sia l’ideale per situazioni difficili. Sono quegli uomini che ci vogliono far credere che la democrazia sia solo qualcosa per tempi buoni. Ignorano ampiamente l’esperienza del XX secolo, in cui per due volte siamo stati battuti da democrazie che non conoscevano leggi di emergenza” (traduzione mia).

40. “L’emergenza della democrazia inizia là dove il governo assume queste pratiche [autoritarie] e dove una opposizione inerte non osa schierarvisi contro. In un paese che da poco meno di una generazione ha chiuso con una dittatura, i politici hanno una duplice responsabilità. Da loro dipende la preservazione di un ordine democratico” (traduzione mia).

41. In Germania ovest la critica più radicale si focalizzò sulla messa in discussione della incompatibilità tra democrazia (formale) e fascismo così come esposta da figure quali Peter Brückner, Hans Magnus Enzensberger, Johannes Agnoli (Agnoli 1967) tra altre.

42. Ciò che viene in effetti sostenuto da parte di alcuni storici tedeschi (Requate 2003).

43. Significativa la distinzione che nel 1965 Bracher sottolineava tra il sistema democratico bundesrepubblicano e le passate tradizioni democratiche tedesche da un canto e, dall’altro, le “bewährte Demokratien” – democrazie che, come quella britannica, statunitense o francese, avevano dato prova di sapersi attivare “non prima, ma nel momento dell’emergenza, coinvolgendo tutte le forze nella soluzione democratica della situazione, evitando il discutibile passaggio a un regime di emergenza”. Karl D. Bracher, “Parlamentarische Demokratie und Notstand”, Frankfurter Hefte,10: 1965, 693-700, qui p. 700.

44. Importanti e pienamente condivisibili le considerazioni introduttive di Geppert e Hacke (2008, in part. p. 13).

45. Schneider 1986, 239 sg. Dopo la presentazione del primo disegno di legge nel 1960, ne furono avanzati un secondo nel 1963 e un terzo nel 1965 e un quarto, quello poi approvato nel 1968. Da notare che solo la prima proposta contemplava esplicitamente lo stato di eccezione (Ausnahmezustand), mentre il termine sparisce dalle proposte successive, dove invece si precisavano le circostanze definenti lo stato di emergenza e le relative disposizioni giuridiche. Le proposte sono contenute in appendice al volume di Schäfer 1966, 149 sgg.

46. Su questo punto insiste anche Kraushaar 2008, 145.

47. Il concetto, coniato da Hook 1939, è ripreso da Rahden 2016, 97: “This unlikely renaissance of democracy [post-1945] would have been unthinkable had they [the Germans] not begun to cherish ‘Democracy as a Way of Life’– to borrow the felicitous phrase of Sidney Hook”.