Storicamente. Laboratorio di storia

Comunicare storia

“Pandaemonium”. Il telegrafo elettrico come fonte per lo studio della storia contemporanea

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Abstract

The history of electric telegraph, from the early nineteenth century, marks not only the development of the modern system of communications but also of the European and International society. A new apparatus of technical and scientific knowledge draws a dense web of political, social and cultural relations that will produce a new world. The electric telegraph is an excellent source to study the social and cultural history which opens wide and articulated scenarios, when investigated by the point of view of the evolution of communications systems.

Premessa

Quando Humprey Jennings raccolse i materiali per Pandaemonium aveva intenzione di descrivere «l’arrivo della macchina visto dai testimoni contemporanei». Documentarista inglese, Jennings elaborò uno stile personale dal grande potere evocativo; forse per questo i dodici quaderni nei quali appuntò note, citazioni e selezioni di testi che poi incluse in Pandaemonium costituiscono materiali dall’intensa capacità descrittiva: una raccolta ragionata, e se si vuole “poetica”, di suggestioni, atmosfere, impressioni che nella parte dedicata all’epoca vittoriana tratteggiano con estrema precisione la mentalità cui lo sviluppo della tecnica diede spessore in ragione del suo affermarsi come principio regolatore dell’esistenza.

In this book I present the imaginative history of the Industrial Revolution. Neither the political history, nor the mechanical history, nor the social history nor the economic history, but the imaginative history [Jennings 1985, XXXV].

Nel presente di coloro che vissero, tra numerose altre, le macchine telegrafiche come un’irruzione tanto improvvisa quanto sconcertante nella normalità del quotidiano, l’immaginazione non poté che assumere un ruolo decisivo, nonostante la percezione dell’annullamento del tempo e delle distanze fosse diventata presto molto concreta e anzi avesse avuto il sopravvento su qualsiasi fantasia, mano a mano che i prodigi della tecnica abbattevano le barriere fisiche e mentali di generazioni abituate ad un rapporto con la realtà dai ritmi decisamente più lenti, veicolando informazioni in un batter d’occhio. Eppure, la qualità immaginativa degli esseri umani della seconda metà dell’Ottocento venne scossa dalla comparsa di apparecchi che spedivano messaggi su un filo per mezzo della scrittura a distanza (tele-grafia) e poco più tardi attraverso la voce a distanza (tele-fonia), sottomettendoli così al fascino indiscreto del cambiamento e non raramente suscitandone le paure [1].

I should fear to tell the dreams which I have now beside the electric telegraph, and on the railways, and within the regions of the god-like inventors and makers of machinery. There is a time coming when realities shall go beyond any dreams that have yet been told of these things [235] [2].

Apparse ai confini del sogno, le macchine aprivano scenari del futuribile che smuovevano certezze incrollabili. E si insediarono nell’età dell’industria cambiandone per sempre la cifra a molteplici livelli. Gli strumenti di quel comunicare, che di una simile tecnologia furono testimonianza viva e operante, forgiavano il presente modellandone la sostanza e dispiegando i loro effetti ovunque. Sedimenti di un passato davvero straordinario, ci consentono di narrare la storia di quell’epoca da prospettive differenti ma concentriche, come un’onda che si propaga nell’acqua e porta sempre con sé, nella superficie increspata, l’intero movimento che ne precede l’ampliarsi.

Tasti e incudinette

L’avvento del telegrafo animato dalla corrente elettrica, a cavallo tra prima e seconda metà dell’Ottocento, contribuì a modellare non soltanto il moderno sistema delle comunicazioni ma anche la società europea e mondiale. Tra l’incedere del “Secolo lungo” (l’Ottocento delle invenzioni) e il frammentarsi in cluster esplosivi del “Secolo breve” (il Novecento delle innovazioni), un apparato di conoscenze tecniche e scientifiche tesseva una fitta trama di relazioni politiche, sociali e culturali che avrebbe dato vita ad un mondo nuovo.

Il telegrafo elettrico è senza dubbio all’origine dei media contemporanei – almeno di quelli basati sull’invio di segnali, fossero o meno in codice – e ne è l’innegabile progenitore. Tra XIX e XX secolo abitudini e stili di vita furono profondamente influenzati dalla presenza di un dispositivo così essenziale allo scambio di informazioni. L’epopea del telegrafo è racconto di rapporti commerciali, culturali, linguistici, affettivi che trasformarono in maniera irreversibile l’esistenza di milioni di persone in tutto il pianeta.

La telegrafia si presentò fin da subito come una forma di comunicazione praticamente istantanea che assicurava la circolazione di un elevato numero di dati in tempi molto più brevi di quelli che forniva l’altra forma di comunicazione in quel momento prevalente, la posta. Inoltre, un messaggio telegrafico viaggiava più veloce di un treno o di una nave, mezzi di trasporto in rapida evoluzione a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, periodo durante il quale furono messe in cantiere anche poderose opere di telegrafia sottomarina, collegando tra loro i continenti [3].

L’avventura delle macchine telegrafiche era cominciata in realtà attorno alla metà del Settecento, per l’esattezza nel 1753, quando un certo C. M. scrisse una lettera pubblicata su «The Scots Magazine» nella quale descriveva un nuovo macchinario con 26 fili distinti – tante quante erano le singole lettere dell’alfabeto – stesi tra stazione trasmittente e stazione ricevente, lungo i quali passava l’elettricità prodotta da un rudimentale generatore [4]. Senza rendersene conto, l’anonimo corrispondente aveva descritto per la prima volta i principali elementi che avrebbero caratterizzato per molto tempo gli apparati telegrafici:

[…] a source of electricity, its manipulation handling the information to be transmitted, the conducting wires, the mechanism on the receiving end to read the information transmitted, and the high speed of electrical transmission (the speed of light). [Huurdeman 2003, 48]

Il contesto economico e le pratiche quotidiane di quegli anni non erano tuttavia maturi per sfruttare appieno quella novità e ci sarebbero voluti ancora parecchi decenni perché si arrivasse ad un utilizzo appropriato dell’invenzione, anche se questo non impedì a numerosi pionieri della ricerca scientifica di adoperarsi per il miglioramento di un congegno che aveva dimostrato sin dall’inizio potenzialità uniche [Coglitore 2012, 70-73].

Il telegrafo, la cui esistenza fu possibile grazie alla scienza e all’industrializzazione, non fu soltanto alla base dei generali processi di comunicazione che da quel momento in poi vennero affermandosi ma anche ragguardevole fonte per la storia della tecnica. Le migliori intelligenze di quasi due secoli diedero fondamentali contributi al miglioramento dei sistemi di trasmissione telegrafica, intervenendo via-via con soluzioni di forte impatto tecnologico. Le “reti di potenza” si irradiavano tra terra e acqua per mezzo di innesti elettrici, progressivamente più forti e capaci di animare il pianeta sino a diventarne parte insostituibile [Hughes 1983] [5], che la diffusione delle linee telegrafiche rendeva fisicamente visibili molto prima che la luce rilasciata dai bulbi incandescenti di Edison entrasse nelle fabbriche e nelle case. Come nel caso dell’elettricità – per spiegare i cambiamenti della quale non è possibile escludere considerazioni che coinvolgono molteplici campi della attività umana: tecnico, scientifico, politico, economico, organizzativo [Ortoleva 2004, 18-32] – il telegrafo è, per usare un’espressione di Thomas Hughes, «artefatto» culturale oltre che esito di materiale produzione; «[...] power systems are cultural artifacts. Electric power systems embody the physical, intellectual, and symbolic resources of the society that constructs them» [Hughes 1983, 2].

Se esso esiste, insomma, esiste in quanto specifico intreccio di differenti aggregazioni di intenti, rivolti ciascuno al raggiungimento di obiettivi eterogenei ricomposti nel più ampio contenitore di quella che poi sarebbe stata definita telecomunicazione. Il termine fu introdotto ufficialmente nel 1932, a Madrid, quando la Conferenza internazionale telegrafica e quella radiotelegrafica furono riunite in un unico organismo, dando vita all’Unione internazionale delle Telecomunicazioni, con la seguente definizione: «Qualunque comunicazione telegrafica o telefonica di segni, di segnali, di scritti, di immagini e di suoni di qualsiasi natura, per filo, radio od altri sistemi o procedimenti di segnalazione elettrici o visuali (semafori)» [Ministero delle Comunicazioni 1939, 51]. La parola telecomunicazione, in realtà, era stata coniata nel 1904 da Edouard Estaunié, direttore dell’Ecole Supérieure des Postes et Télégraphes de France, nel suo Traité pratique de télécommunication electrique (télégraphie-téléphonie) [6].

Da questo punto di vista possiamo ritenere il telegrafo anche fonte per la storia culturale e la ricca documentazione cui abbiamo accesso ci sposta continuamente da un versante all’altro di quelle discipline che se ne sono occupate per ragioni diverse. Un esempio significativo è costituito dal «Journal Télégraphique», rivista ufficiale dell’Unione internazionale delle comunicazioni, istituita nel 1865 e dalle moltissime pubblicazioni in lingua francese sulla storia del telegrafo che sono disponibili in un prezioso repertorio digitalizzato dalla Bibliotèque nationale de France. Il «Journal», nato per tenere in contatto tra loro i Paesi che aderivano a quell’originaria Unione interpolando studi scientifici e informazioni di carattere politico-amministrativo, rappresenta un riferimento indispensabile per acquisire preziosi elementi di ricerca sulle vicende del telegrafo lungo una linea temporale di più di sessant’anni [7]. E se la storia culturale è «un tentativo per catturare lo spirito di un’epoca» [Gentile 1995, 735] [8], il telegrafo ha rappresentato a lungo parte di quello spirito.

Tempus fugit

La “scrittura a distanza” modificò radicalmente prima di tutto l’allocazione degli esseri umani nei loro rispettivi contesti geografici, perché gli orizzonti si allargarono improvvisamente, si accorciò lo spazio e si contrasse il tempo [Giuntini 2000, 10].

New visual technologies (such as photography and cinematography), modern media and transportation networks (such as telegraphy, steam, and rail), and contemporary theories of communication (based on concepts of signal, message, and transmission) all trafficked in microtime [Canales 2009, X].

Un decimo di secondo, a sentire la Canales, è il valore che gli scienziati della metà dell’Ottocento cominciarono ad associare alla velocità del pensiero. Non furono i soli: sarebbe interessante argomentare anche la prospettiva d’indagine che si sviluppò nello stesso periodo sul versante della speculazione filosofica, ma si tratta di questioni che esulano dal contesto specifico del ragionamento condotto qui. Basterà sottolineare come i modern media di allora comportassero di per sé l’introduzione dell’idea di simultaneo, o comunque brevissimo, non appena si metteva mano a marchingegni in grado di spedire segnali da un luogo a un altro nel giro di qualche istante. È innegabile che il telegrafo irrompesse in quell’ambiente socio-culturale imponendosi fin da subito in quanto principio simbolico di una modernità tutta rivolta al futuro.

Il servizio telegrafico divenne in breve mezzo di comunicazione di massa per raggiungere in ogni dove i propri interlocutori o i propri amici e parenti, affidando a guizzanti serpenti di rame, avvolti nella gomma prima e nella guttaperca dopo quando scivolavano sul fondo di mari e oceani, notizie di ogni genere, da quelle personali a quelle commerciali, da quelle governative a quelle giornalistiche: fondamentale, a questo proposito, l’apporto del telegrafo per la costituzione delle grandi agenzie di stampa, un ancora giovane vettore mass-mediatico che presto avrebbe alfabetizzato l’opinione pubblica sullo stato del mondo: Wolff, Havas, Reuters, e l’italiana Stefani di Torino, fondate rispettivamente nel 1849, 1850, 1851 e 1853 furono le prime e più famose [Gozzini 2000, 92-93] [9]. Cresce enormemente la massa delle informazioni da pubblicare; le notizie corrono ovunque; si apre un nuovo, e fecondissimo, periodo di attività giornalistica e imprenditoriale, con conseguenze ragguardevoli anche nel campo dell’economia: sono questi tre dei principali effetti che il telegrafo impone alla modernità incalzante del “lungo Ottocento” europeo e mondiale [Gozzini 2000, 90-92]. Nel progredire della storia dei mezzi di informazione è facile riconoscere l’arrivo della comunicazione telegrafica come “filo rosso” che aiuta a dipanarne l’intreccio: il giovane giornalista Paul Julius Reuter che lavorava alle dipendenze di Bernhart Wolff, fondatore dell’omonima agenzia e della «National Zeitung», nonchè direttore della società del telegrafo di Berlino (entrambi, tra l’altro, erano stati in origine due impiegati di Havas), si trasferirà da Aquisgrana a Londra con la sua neonata agenzia di stampa – un servizio di trasmissione di notizie con Bruxelles tramite piccioni viaggiatori, secondo l’originario sistema di Havas – proprio nell’anno in cui venne inaugurato con successo il primo cavo sottomarino steso sotto la Manica.

Le “due stanzette scure” nei pressi dell’ufficio telegrafico principale della capitale del potente impero britannico, dentro cui trova una precaria sistemazione in quel lontano 1851, ospitarono il nucleo in embrione di quella che sarebbe presto diventata la tutt’oggi notissima Reuters [10], dopo che l’intraprendente Paul ottenne il monopolio del controllo su quel serpente di rame che univa Inghilterra a Francia e che presto avrebbe conosciuto in tutto il mondo centinaia di repliche sempre più sofisticate, a partire dal cavo transatlantico inaugurato nel 1866. Nel frattempo, Wolff, Havas e Reuters avevano trovato a Parigi nel 1859 un accordo per spartirsi le aree di copertura delle rispettive agenzie diventando di fatto, e grazie al controllo sul telegrafo, partner obbligati di tutta la stampa periodica [Gozzini 2000, 162-163].

The word telegraph, already used for mail coach services, now became a synonym for latest information, and was frequently used as a newspaper name (e.g., the London-based Daily Telegraph, founded in 1855), stressing that their information was the latest available. [Huurdeman 2003, 88] [11]

La “coming machine” telegrafica sposta la linea dell’orizzonte oltre i limiti di ciò che sino ad allora si credeva possibile perché davvero tutto procedeva molto più velocemente permettendo uno straordinario accumulo, giorno per giorno, di un enorme quantità di notizie che venivano rilanciate ovunque qualcuno fosse in grado di riceverle quasi istantaneamente. La quotidianità stessa era diventata flusso inarrestabile di informazioni. Nel 1864 nacque a Filadelfia negli Stati Uniti il «Evening Telegraph» di Charles Warburton e James Harding, in diretta concorrenza con il rivale «Daily Evening Bulletin». Warburton utilizzò il telegrafo in modo innovativo ed intensivo: nel 1866 collegò il suo ufficio con il quartier generale di una “convention” politica repubblicana a sostegno del presidente Andrew Johnson per seguirne i lavori trasmettendoli alla redazione durante il loro svolgimento. Una delle più interessanti novità della testata consistette poi nel proporre ai propri lettori gli editoriali provenienti dagli altri maggiori quotidiani di New York e di altre città americane in una rubrica intitolata “Spirit of the Press” che dal 1870 raccoglie, grazie ad una serie di speciali accordi, anche i contributi provenienti da giornali europei [12].

Così la pensava anche James Gordon Bennett junior, d’altronde, che attraverso la raccolta sistematica e sempre più rapida di una messe di informazioni via telegrafo fa del «New York Herald» uno dei quotidiani più famosi e più venduti in quegli anni, sulla scorta dell’eredità professionale e materiale che gli aveva lasciato il padre, Gordon senior, con il suo «Morning Herald». Se il vecchio Bennett avrebbe lasciato memoria di sé per la passione che contraddistinse il suo giornalismo incentrato sulla notizia di human interest e per le centomila copie vendute allo scoppio della Guerra civile americana, il giovane Gordon proseguì la tradizione paterna con iniziative destinate a passare alla storia: nel 1869 l’«Herald» finanziò la spedizione, passata alla storia, di Henry Morton Stanley [13] per ritrovare in Africa centrale l’esploratore David Livingstone e non badò a spese per sovvenzionare ancora Stanley nel suo viaggio nell’Africa equatoriale degli anni successivi, ricevendone in cambio reportage unici che avevano il sapore dell’esotico e dell’avventuroso [Gozzini 2000, 121-126, 140-141]. L’informazione, ticchettio incessante lungo fili bruniti, assumeva la concretezza dell’immediato, cancellando lontananze che sembravano infinite.

Se si potevano mettere in contatto terre che le distanze geografiche avevano tenuto irrimediabilmente separate – nemmeno la ferrovia garantiva una rapidità di quel genere per evidenti motivi – utilizzando reti di cavi che imbrigliavano segnali elettrici punzonati su sottili strisce di carta e riscritti “in chiaro” dopo la decodificazione da parte di abili operatori, l’avvento della radiotelegrafia avrebbe reso tutto ancora più tempestivo e di celere fruibilità. Il moltiplicarsi delle linee, nel breve volgere di qualche anno, fu nell’Europa continentale prodigioso: dalle 48.400 miglia del 1858, si era passati nel 1888 a 368.000 [Mulhall 1892, 457].

The ability to experience many distant events at the same time, made possible by the wireless and dramatized by the sinking of the Titanic, was part of a major change in the experience of the present. Thinking on the subject was divided over two basic issues: whether the present is a sequence of single local events or a simultaneity of multiple distant events, and whether the present is an infinitesimal slice of time between past and future or of more extended duration [Kern 2003, 68].

Da questo cambio di passo imposto dal progresso tecnologico rimasero fortemente impressionati scienziati e intellettuali, gente comune e politici, burocrati e imprenditori. È così che si amplia il “giacimento” delle fonti dirette e indirette che la storia del telegrafo ci permette di visitare solidificandone la presenza nei molti campi del sapere cui possiamo attingere, dalla fisica alla psicologia, dalla letteratura alla tecnica, avendo l’accortezza di osservarne le evoluzioni sul piano della ricostruzione storica; l’unica capace di fornire un quadro di riferimento efficace, poiché ne mette in rapporto i contenuti, le contiguità, le variazioni e gli intrecci [14].

A metà del XIX secolo l’importanza strategica delle comunicazioni e la necessità del loro sviluppo erano evidenze ormai ampiamente acquisite. Nell’Europa continentale le amministrazioni statali avevano già piena consapevolezza di quello che sarebbe stato necessario fare [Ortoleva 2000, 107-117] [15].

Comme les tendances de l’époque et du gouvernement semblent conduire à établir prochainement une télégraphie électrique pour les service des particuliers, on peut, dans le but d’éclairer la question et d’appeler l’attention du public sur cette admirable découverte, supposer la télégraphie électrique établie pour le service di gouvernement et celui du public, déterminer sa puissance et rechercher les avantages qu’elle doit procurer au pays. [Bréguet, de Séré 1849, 1]

Nelle parole di Bréguet, ideatore e realizzatore di apparecchi telegrafici, e de Séré, direttore dei Telegrafi alla Gare du Nord, stazione presso la quale vennero installate e aperte le linee ad uso della Compagnia ferroviaria del Nord, la celebrazione del progresso sopravanza tra le righe e anzi sembra quasi annunciare in anticipo il successo del telegrafo. L’informazione appare essere misura del mondo ed elemento indispensabile dell’intreccio che si crea tra i differenti aspetti del quotidiano, dalla condizione del mare e dell’atmosfera nei porti, al valore dei beni nei principali centri manifatturieri [7]; la collazione di novità e aggiornamenti è resa possibile di ora in ora da postazioni che lavorano instancabili lanciando i loro impulsi all’interno della Francia e al di fuori dei suoi confini.

Quarant’anni dopo la telegrafia elettrica era parte di una narrazione storica che ne legittimava l’importanza, riconoscendone l’utilità sociale più di quella politica.

La télégraphie électrìque n’est plus, comme sa devancière, un instrument politique. Elle appartìent à tous. Sa rapidité tient du prodige. Elle franchit les continents et les mers elles-mêmes, et son immens réseau qui ne cesse de s’accroître, apparaît partout comme un symbole d’union et de fraternité parmi les hommes [...]. Le développement prodigieux qu’elle prend de jour en jour est là pour attester sa raison d’ètre et sa puissante vitalité [Belloc 1894, X].

Evento quasi prodigioso e incarnazione tangibile della velocità, il telegrafo diventava nell’immaginario collettivo di quella fine secolo medium che creava un’interazione tra tutte le istituzioni della società; i vari “organi” di un meccanismo così sofisticato, il corpo sociale nella sua interezza molecolare che si muoveva tanto nella politica, quanto nella cultura e nel commercio, erano coordinati nelle loro funzioni da una tensione elettrica che sembrava assomigliare ad una estroflessione del sistema nervoso di ciascun individuo: «La base psicologica su cui si erge il tipo delle individualità metropolitane è l’intensificazione della vita nervosa, che è prodotta dal rapido e ininterrotto avvicendarsi di impressioni esteriori e interiori» [Simmel 1995, 36]. L’elettricità invade i luoghi del vissuto e li trasforma, è il caso della comunicazione telegrafica, in tessuto connettivo nel quale pulsano i messaggi, vale a dire l’informazione.

La macchina telegrafica fungeva, insomma, da ormone della crescita che costringeva «a reagire al mondo nella sua totalità» [McLuhan 2008, 226]; si tratta, per l’esattezza, secondo McLuhan, di un «ormone sociale» e l’analogia è appropriata se si pensa che un ormone è, tecnicamente, la sostanza prodotta da una ghiandola che, una volta immessa nel flusso circolatorio, raggiunge cellule o organi distanti ed esercita su di essi una funzione. Ora, se si considera la rete telegrafica un apparato di circolazione, non sarà difficile pensare agli impulsi elettrici che trasmettono il messaggio come agli ormoni di quel particolare sistema, veicolati lungo le linee dei cavi a portare “alimento” dappertutto.

L’era delle trasmissioni telegrafiche predisponeva «un campo totale di eventi interdipendenti», per citare ancora McLuhan, «ai quali partecipano tutti gli uomini» [227]. Nel corso dell’Ottocento, una parte di quegli uomini, esponenti di un ceto borghese che faceva uso delle reti telegrafiche a scopo imprenditoriale, comprese fin da subito che quello spazio in cui si incontravano interessi spesso tra loro contrapposti era terreno di competizione «per la conquista di posizioni strategiche» [Giuntini 2011, 21].

«Telegrafare qualsiasi suono»

Alexander Bell [16] sin dall’inizio li aveva chiamati «miglioramenti nella telegrafia», tant’è che in una lettera del 1875, mentre era impegnato a lavorare sul suo apparecchio sperimentale, aveva scritto:

If I can get a mechanism which will make a current of electricity vary in its intensity as the air varies in density when a sound is passing through it, I can telegraph any sound, even the sound of speech [Huurdeman 2003, 160].

Nessuno, in quegli anni, possedeva un’idea diversa di trasmissione di segnali che non fosse legata all’icona telegrafica. Così, pensando di “telegrafare il suono”, Bell restava ancorato ad una tradizione scientifica radicata e dura a morire. Dopo un anno di lavoro con un telegrafo armonico dotato di lamelle vibranti a diverse frequenze, nel febbraio del 1876 mise a punto un prototipo, che trasformò, a seguito di ulteriori perfezionamenti, in ciò che sarebbe diventato il telefono e nel marzo dello stesso anno ne propose il brevetto. Anche l’invenzione del telefono era destinata a suscitare infinite polemiche: nel 1854 l’italiano Meucci aveva già sperimentato una forma di rudimentale telefono mettendo in comunicazione, nella fabbrica di candele che aveva aperto a New York, il suo ufficio con la camera da letto nella quale la moglie era costretta da una grave malattia.

Per banali problemi di denaro, qualche decina di dollari appena, Meucci non era riuscito a mantenere il brevetto temporaneo che gli era stato concesso nel 1871 e aveva proposto il suo apparecchio alla New York Telegraph Company nei cui laboratori lavorava Bell, senza più riuscire a recuperare i disegni tecnici originali che con ogni probabilità l’ingegnere scozzese aveva avuto modo di studiare con tutta calma. Assieme ad alcuni soci, e accettando un grosso rischio economico, Bell fondò una piccola compagnia telefonica che sarebbe stata la capostipite della futura, e prestigiosa, Bell Telephone Company [Hugill 2005, 74-114; Fischer 1993].

L’apparecchio di Bell e, a onor del vero, anche dell’ingegnere americano Elisha Gray, inventore in quello stesso 1876 di un singolare “telegrafo musicale” capace di trasmettere la voce lungo una linea telefonica, che registrarono il brevetto nello stesso giorno litigando per tutta la vita al fine di disputarsene la paternità, venne utilizzato essenzialmente per scopi commerciali. La diffusione di questo ultimo ritrovato della tecnica incontrò alcune difficoltà perché aveva anch’esso bisogno di una rete di cavi specificamente dedicata ed era utile in proporzione al numero di persone che riusciva a raggiungere. Attorno all’ultimo ventennio dell’Ottocento si contavano appena alcune migliaia di telefoni in tutto il mondo, destinati a moltiplicarsi in modo esponenziale nel corso del tempo. Nell’America del Nord il telefono ebbe modo di diffondersi più velocemente che in altre parti del pianeta a cominciare dalle sterminate praterie: nel 1907 due milioni di agricoltori ne facevano buon uso per tenersi in contatto tra loro, accorciando così le decine di miglia che spesso li separavano. In Italia, nel 1925, esistevano 130.000 apparecchi che nel 1940 diventarono 500.000 e un milione nel 1951 [Marenco 2004, 58; Balbi 2011].

Il nuovo dispositivo per comunicare accelerò anche le transazioni di affari e permise agli uffici di Borsa di tutto il mondo di diventare centri finanziari di prim’ordine, consentendo maggiore liquidità dei titoli e maggiore velocità nella raccolta di fondi. Nel 1911 in Europa esistevano già 14,5 milioni di chilometri di cavi telefonici su un territorio molto più popoloso di quello americano, contro i 26,7 milioni negli Stati Uniti [Anania 2007, 16; Calvo 2006, 411-434]. Tra cornette, ricevitori e microfoni, gli impulsi dei vecchi apparati del telegrafo saettavano ancora sopravvivendo per molti anni al loro temibile avversario, ma inesorabilmente destinati a soccombere.

Il telefono avviava l’era del “suono a distanza” che portava in ogni dove la voce umana e rifondava, in un certo senso, il sistema delle comunicazioni. L’istantaneo, da quel momento in poi, portava con sé variazioni di toni e sfumature della conversazione che avrebbero permesso reazioni di appena qualche secondo, prima che il silenzio all’altro capo del filo non assumesse significati misteriosi. Parole e emozioni diventavano una cosa sola.

Whether because of the structure of the apparatus or because of the structure of memory, it is certain that the noises of the first telephone conversations echo differently in my ear from those of today. […] And the voice that slumbered in those instruments was a newborn voice. Each day and every hour, the telephone was my twin brother. [Benjamin 2008, 77]

L’evocativo brano di Benjamin introduce ad una delle caratteristiche principali del telefono, la sua capacità di agire come “forma” prima che come veicolo di contenuti espressi per mezzo della voce. La comunicazione telefonica esige una partecipazione completa, “totalizzante”.

Poiché tutti i media sono frammenti di noi stessi estesi alla sfera della vita pubblica, l’azione che ognuno di essi svolge su di noi tende a stabilire un nuovo rapporto tra gli altri sensi. [McLuhan 2008, 290]

In ragione di questo, il telefono avrebbe richiesto una decisiva attenzione ogniqualvolta si entrava in contatto con le voci che provenivano da punti dello spazio, lontani o vicini che fossero, proiettati direttamente all’interno della mente dei protagonisti di questo nuovo e sconcertante scenario sonoro, rinunciando alla frammentarietà dell’esperienza sensoriale di tutti i giorni per ricomporre l’unicità persuasiva e costringente del messaggio “parlato” che obbligava alla massima concentrazione. Al telefono era necessario, in qualche modo, consegnarsi completamente.

Fili di guerra

A complicare le cose ci si mise proprio la tecnologia; il telefono e il telegrafo, infatti, rendendo possibili comunicazioni rapidissime, eliminavano una delle risorse indispensabili per poter giungere a un accordo, per trovare un compromesso: il tempo. [Ventrone 2005, 43]

Non c’è dubbio sul fatto che il tempo rappresentasse l’arco a tutto sesto che reggeva la volta di quell’epoca catapultata verso il futuro, comprimendo il passato fino alla sua tendenziale scomparsa – in quanto rappresentazione di ciò che esisteva “prima” rispetto al “adesso” e al “dopo” – dall’immaginario collettivo tanto era forte il richiamo della macchina. Nel 1905 Einstein aveva messo in discussione i fondamenti della concezione di spazio e tempo tradizionalmente accettati con il suo studio sulla “relatività speciale” (o “ristretta”), argomentando che il tempo non poteva essere definito in modo assoluto, rimettendo in discussione le accreditate teorie di Lorentz e Poincarè [Thibault Damour 2009, 29-31] e dando un bel po’ di grattacapi, alcuni anni più tardi, al già anziano Bergson [Canales 2015].

L’entrata in guerra, a seguito della crisi del 1914, di tutte le maggiori potenze europee può essere letta, come ha fatto Stephen Kern, dal punto di vista del suo carattere temporale [Kern 2003, 259-286]. Uno degli acceleratori del processo che alla fine condusse a uno dei più sanguinosi conflitti che si ricordino fu proprio lo sviluppo della tecnologia delle comunicazioni, ben rappresentata da telegrafo e telefono appunto, ma non soltanto. Assillati e inseguiti da telegrammi e telefonate che richiedevano prontezza di riflessi e risposte immediate, i plenipotenziari d’Europa cedettero alle pressioni psicologiche che la sostanziale assenza di tempo esercitò sulle loro decisioni; giorni e ore, che divennero presto minuti incalzanti, così tumultuosi e dai ritmi serratissimi ne avevano stressato lo spirito tardo-ottocentesco, poco incline alle seduzioni del simultaneo.

Anche davanti agli occhi della gente comune l’esperienza di guerra spalancò la porta che conduceva in una terra inesplorata, solcata da visioni fuggenti e confuse, veri e propri flash della memoria.

[…] ci sono le immagini meccaniche riproducibili in grande serie (la fotografia), le immagini meccaniche in movimento disposte in sequenze, ritmi e distanze innaturali e verosimili insieme (il cinema); ci sono mezzi di conservazione e amplificazione del suono (il grammofono, l’altoparlante elettrico), mezzi di produzione di luce artificiale così potenti da eguagliare la luce naturale e da sovvertire il rapporto notte-giorno (i razzi, i riflettori). [Gibelli 1994, 58]

Nello sconvolgimento generale del “sentire”, e del vedere, dell’epoca, i mezzi di comunicazione elettrici eseguivano il loro compito con pervicacia intrusiva e in ambito militare produssero effetti ragguardevoli, moltiplicando lo stupore e la fugacità di sequenze di vita, e più spesso di morte, sincopate all’estremo e scandendo l’avvicendarsi vertiginoso delle operazioni belliche.

Persino la terra si mise a parlare. Nel settembre del 1915 sui monti della Carnia vennero intercettati casualmente strani suoni che provenivano dalle linee telefoniche italiane seppellite nel sottosuolo del fronte [17]. Quando qualcuno riconobbe in quelle voci sconosciute la lingua tedesca, fu chiaro che si era di fronte ad uno dei primi episodi di intercettazione telefonica; i fonogrammi austriaci potevano essere catturati e tradotti, sottraendo al nemico importanti notizie [Angelotti 1963, 31-43; Carletti 1921, 16-26].

Mentre il telegrafo tambureggiava i suoi segnali elettrici collegando trincee e comandi generali, il telefono lasciava che le parole si trasformassero in ordini perentori o messaggi di speranza. Oppure nel semplice conforto di una presenza all’altro capo del filo, purchè fosse, nell’imminenza di un probabile, fatale, attacco, di uno scoppio di granata, di un assalto all’arma bianca; e così accadde per molti, irremovibili sentinelle delle comunicazioni.

Come su tutto il resto del Piave anche alle Fornaci di Monastir il nemico aveva diretto un violentissimo boambardamento, ditruggendo anche molti circuiti telefonici.

Ma il servizio non permetteva nessuna sosta ed i bravi guardafili continuarono a mantenere i collegamenti che tanto urgevano. [Angelotti 1963, 10]

Economie elettriche

Globalization, historians and economists have hastened to point out, is not a new phenomenon. The world economy became highly integrated in the nineteenth century. [...] Ocean freight rates fell 70 percent between 1840 and 1910, encouraging increased shipment of commodities and manufactured goods around the world, while the telegraph – the nineteenth-century counterpart of the Internet – gave people in one location current information about prices in another. [Levinson 2006, 267]

Nell’economia globalizzata ante-litteram del secolo dell’elettricità conoscere i prezzi delle merci e le loro fluttuanti variazioni, senza dover aspettare che fosse l’arrivo di una lettera a confermarne o meno l’esattezza, era la chiave del successo. E un pianeta cablato dalle linee del telegrafo moltiplicò le opportunità commerciali [Fumian 2003, 83-129]. Un’altra lettura di quel periodo è resa possibile, dunque, dall’analisi dello sviluppo economico a partire dall’influenza che su di esso ebbero le comunicazioni telegrafiche [18]. Ne trasse indiscutibilmente vantaggio il mondo degli affari, con la nascita e il consolidamento di grande imprese nazionali e internazionali. Banche, compagnie di assicurazione e di intermediazione, aziende produttrici di beni di ogni genere utilizzarono il telegrafo per dirigere le loro filiali all’estero aumentando esponenzialmente i loro profitti. Transazioni commerciali, investimenti in Borsa, incremento degli apparati finanziari nei principali mercati europei ed extra-europei: ovunque si allungassero fili telegrafici, lì giungevano le notizie di investitori e clienti, compratori e venditori. Il trionfo della telegrafia sottomarina non fece che accrescere l’importanza dell’avveniristico apparecchio, «Internet dei vittoriani», come è stato definito [19].

Nonostante le tariffe dei primi telegrammi fossero abbastanza alte, gradualmente venne praticata una politica di contenimento volta ad abbassarle, favorendo così un aumento del traffico complessivo. Gli uomini d’affari non esitarono a far uso del telegrafo per la velocità che offriva alla circolazione di notizie e informazioni e per l’affidabilità dello strumento, caratteristiche queste che giustificavano ampiamente anche investimenti onerosi per aver accesso al servizio: i grandi e piccoli businessmen dell’epoca, d’altra parte, fecero la fortuna proprio di Havas, che non casualmente era un banchiere e che si procurava quotidianamente i dati della borsa di Londra per poi rivenderli ai giornali parigini. Ciò che la telegrafia compì fu il miracolo del passaggio di informazioni in tempo reale, quotazioni oppure acquisto e vendita di merci, attorno al quale ruotò presto una struttura economica articolata e in sempre più rapida espansione.

Numerous businesses that arose in the nineteenth century, such as railroads, shipping lines, mail-order houses, and newspapers, were intimately connected with, even dependent on, the telegraph [Headrick 1991b, 5].

Riletta percorrendo le mappe della diffusione delle linee telegrafiche e degli effetti che produssero nei rapporti tra i centri finanziari più importanti e nella rete degli scambi commerciali, la storia economica disvela lo stretto legame tra tecnologia e denaro cui non si sottrassero, specie nello scenario europeo – nel quale, rispetto agli Stati Uniti, per proporre una delle esemplificazioni più significative, l’intervento pubblico fu massiccio – nemmeno gli attori istituzionali della politica internazionale, gli Stati-nazione che nel Vecchio continente si assunsero la gestione, e il controllo, di quella “cartografia elettrica”. Uno dei fenomeni di maggior rilevanza nella seconda metà dell’Ottocento, anche se bisognerà attendere l’ultimo decennio del secolo per percepirne realmente gli effetti, fu l’ampliamento e il consolidamento dell’attività dei mercati di Borsa nel più ampio contesto dei differenti sistemi finanziari europei; decollarono tra 1890 e 1915, quando la telegrafia era ormai diffusa con un buon livello di efficienza, nuove Borse nazionali e regionali a Berlino, Vienna, Genova e Milano. Si riusciva a condividere, grazie all’apporto della tecnologia della comunicazione, una notevole mole di informazioni a costi e tempi progressivamente vantaggiosi; ne derivò un netto miglioramento nell’integrazione dei mercati finanziari stessi, una conseguenza diretta di quella che due studiosi del settore hanno chiamato «la riduzione delle asimmetrie informative» [20]. Grazie al telegrafo furono stabilite prassi commerciali più dinamiche, nuovi ruoli per gli intermediari e, infine, strutture regolative e istituzionali che ne orientarono l’azione verso scopi di utilità pubblica [Baia Curoni, Fantacci 2004, 84]. Fu vero anche vero il contrario, è bene sottolinearlo: iniziava, infatti, la stagione delle speculazioni a livello globale sulle merci – il grano ad esempio – oggetto di numerose manovre di cosiddetto cornering [21]. La “scrittura a distanza”, che poco più in là negli anni sarebbe divenuta “suono a distanza”, moltiplicava gli eventi comunicativi e la loro sempre più stretta interrelazione, favorendo lo scambio di competenze e soprattutto creando conoscenza. Quanto bastava per rimodulare un intero insieme di investimenti economici dentro al quale si radicava, nel frattempo, la significativa crescita industriale coeva.

Senza la comunicazione, e i suoi mezzi ad alto valore aggiunto, tecnologico e simbolico, il mondo non sarebbe stato quello che conosciamo. Si può convenire con ciò che McLuhan ha lasciato scritto sulla peculiarità dell’interesse umano, motore della presa sulla realtà, e volano per la conquista della libertà in quanto condivisione di un pensiero allargato ai molti. Non tanto per raggiungere uniformità di opinioni, e quindi stagnazione; piuttosto per essere stimolati continuamente dalla diversità di quelle medesime opinioni.

La dimensione “dell’interesse umano” è semplicemente quella della partecipazione immediata all’esperienza altrui che si ha con l’informazione istantanea. [McLuhan 2008, 231]

Lo sappiamo bene, oggi, immersi come siamo nell'ambiente digitale. Jennings non ne sarebbe rimasto impressionato più di tanto: il “pandemonio” che ci circonda è consuetudine con la quale gli esseri umani fanno i conti da quasi duecento anni e la cui genealogia è ancora rintracciabile nella storia dei fili di rame dentro ai quali rimbalzavano segnali di modesta potenza, se confrontati con quelli attuali.


Fonti primarie

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Note

1. Basterà ricordare il movimento filosofico e culturale del Positivismo, di cui il telegrafo rappresentava in pieno l’idea di progresso scientifico, e, ancora, i romanzi di Jules Verne con le sue straordinarie anticipazioni tecnologiche. Quanto alle paure, si pensi a L’incubo, testo per il teatro scritto da André De Lorde e Charles Foleÿ con il titolo Au téléphone, che debuttò al Théâtre Antoine di Parigi nello stesso anno; il protagonista, Marex, è testimone impotente al telefono del massacro della sua famiglia che aveva lasciato in una villa in Normandia. Cfr.<http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/btv1b52505170b/f4.image>.

2. Il brano è tratto da: Somerville 1848. Alexander Somerville (1811-1885), giornalista radicale britannico, ebbe una vita piuttosto avventurosa, trascorsa per molti anni tra i disagi della povertà.

3. Cfr. Giuntini 2011, 175-253; Giuntini 2004; Hugill 2005, 43-73; Headrick 1991a, 122-141; Winchester 2013, 288-299.

4. Stampata per la prima volta nel 1739 con contenuti di particolare interesse scientifico in relazione al mondo scozzese, è la rivista più vecchia che si ricordi ancor oggi in pubblicazione. Per confrontare in dettaglio la lettera di C. M. si veda: «The Scots Magazine», 15: 73-74. La rivista è conservata presso le Bodleian Libraries dell’Università di Oxford.

5. Hughes, storico della tecnologia, ha lasciato alcuni contributi fondamentali nel campo di studi di cui si è occupato per molti anni: Networks of power è uno di questi.

6. Estaunié la definì «scambio d’informazione per mezzo di segnali elettrici»: Huurdeman 2003, 3.

7. Una consultazione completa e organica del «Journal», con le sue varie trasformazioni, almeno sino all’inizio degli anni Sessanta del Novecento, è possibile presso la biblioteca dell’ITU (International Telecommunications Union) di Ginevra, raggiungibile attraverso il sito dell’Unione:<http://www.itu.int/en/history/Pages/LibraryAndArchives.aspx>. L’intera Library and Archives Service conserva fonti di notevole importanza. Per ciò che concerne l’area anglo-sassone, va ricordato il sito archive.org, all’interno del quale molta è la letteratura sul telegrafo cui si può avere agevolmente accesso, con altrettante fonti primarie di grande interesse.

8. Sulla storia culturale si veda anche: Burke 2006.

9. L’originaria Havas era nata nel 1835 come ufficio di traduzioni prima di compiere il salto a vera e propria agenzia. La Stefani, invece, pur mantenendo il carattere di agenzia governativa, ancorché semi-artigianale, fino alla fine dell’Ottocento, inviava ai giornali dispacci telegrafici da Roma e collegata via telegrafo con Parigi riceveva le notizie dalla capitale francese ma anche quelle delle altre capitali europee in “rete” con quest’ultima.

10. Cfr. Giuntini 2011, 155-156; Gozzini 2000, 92; Read 1992.

11. Il «Daily Telegraph», in origine «Daily Telegraph and Courier», perderà non a caso, nel tempo, la definizione «Courier» rimanendo maggiormente legato all’immagine della comunicazione telegrafica.

12. Cfr. Spirit of the Press, <http://chroniclingamerica.loc.gov/lccn/sn83025925/1867-11-15/ed-1/seq-2/>.

13. Tanto celebrato per le sue prodezze, Stanley (al secolo John Rowlands) non fu quel che si dice uno “stinco di santo”. Avventuriero senza scrupoli, come ricorda un suo contemporaneo, sir Richard Burton, «[...] spara ai negri come se fossero scimmie». Schietto rappresentante del peggior colonialismo europeo, Stanley si è lasciato alle spalle una scia di morti tra gli indigeni africani, in particolare quelli del Congo: Hochschild 1999, 98, 48-65.

14. Pensiamo per esempio alla radiotelegrafia: Maxwell nel 1864 per primo sostenne l’esistenza delle onde elettromagnetiche e la loro propagazione nello spazio; Hertz nel 1887 le produsse in laboratorio; Marconi nel 1894 inventò un dispositivo per trasmetterle e riceverle. Per ciò che riguarda il telegrafo elettrico, non sarà inutile ricordare gli esperimenti condotti sull’elettricità negli anni che precedettero il brevetto di Morse per il suo apparecchio nel 1838 e di Wheatstone e Cooke per il loro nel 1837, a cominciare dalla ben nota pila di Volta, presentata alla Royal Society di Londra nel 1800, sino ad arrivare agli esperimenti di Faraday nel 1831.

15. Il caso italiano è esemplificativo da questo punto di vista dei passi che il nascente Stato nazionale compì servendosi del telegrafo per sostenere l’unità politica e sociale di un territorio così diversificato e di difficile ricomposizione come quello della penisola: Fari 2008.

16. Nato a Edimburgo nel 1847, a ventitré anni Bell raggiunse dapprima il Canada e successivamente gli Stati Uniti, dove insegnò anche Psicologia vocale e dizione presso l’università di Boston.

17. La rete telegrafonica italiana su filo contava nell’ottobre del 1918, a qualche settimana dalla fine del conflitto, su 100.000 km di cavo, 1400 apparati telegrafici e 24.200 telefonici: Angelotti 1963, 29.

18. Cfr. su questo, e più in generale sul rapporto tra tecnologia e ideologia, anche se riferito al solo ma significativo scenario dell’America del Nord: Carey 2009, 155-177.

19. L’espressione è stata coniata dal giornalista inglese Tom Standage che l’ha usata per intitolare il suo gustoso saggio divulgativo; oltre duecento pagine destinate a un notevole successo editoriale: Standage 1998.

20. Cfr. Baia Curoni, Fantacci 2004, 83-97; Garbade, Silber 1978, 819-832; Yeats 1986, 149-162.

21. Si tratta di un operazione finanziaria di carattere speculativo finalizzata a ottenere il monopolio su una certa tipologia di merce, per poter in seguito aumentare il suo prezzo, attraverso l’acquisto di tutta o della maggior parte della fornitura disponibile.