La prospettiva “dal basso”
Le peuple admet à sa table
Mes chansons et dit: Merci!
Je ne suis qu’un grain de sable,
Mais je suis utile aussi.
(Charles Gille)
L’intervento che segue è la presentazione di una ricerca in corso sulla sociabilità operaia e la canzone popolare a Parigi tra il 1830 ed il 1848. L’operaio viene presentato adottando una
prospettiva “dal basso”, privilegiando la dimensione quotidiana per individuare i luoghi dove si ritrova, si diverte e agisce nel tessuto sociale. È in quei luoghi che l’operaio si esprime, il
conflitto si manifesta nella sua fase embrionale ed emerge l’engagement politique populaire.
Come ha dimostrato in maniera pionieristica Maurice Agulhon, il cercle è il luogo dove la borghesia apprende concetti e valori della “sua” repubblica. Qui si cercherà di mettere in luce
come cabaret, marchands de vins, associazioni e corporazioni operaie siano i luoghi dove prende vita il concetto di repubblica proprio del popolo: la repubblica democratica-sociale.
Il saggio è diviso in due parti. La prima verte sulle questioni teoriche e di metodo, e sull’analisi delle correnti storiografiche che si sono occupate di questi argomenti. Si prenderanno in esame
le innovazioni introdotte dalla storia della sociabilità, dalla microstoria, dal linguistic turn nello studio del linguaggio e delle forme d’espressione popolari.
Nella seconda parte si entrerà più direttamente nel tema. L’analisi si concentrerà sulla sociabilità popolare e sul rapporto che lega l’operaio alla canzone, su come essa rappresenti un mezzo
d’espressione e di circolazione del discorso dei lavoratori. La presentazione della parole ouvrière ci permetterà di accedere alla dimensione culturale degli attori sociali presi in esame,
mettendo in luce alcune differenze rispetto alla mentalità borghese. L’analisi del concetto di politica utilizzato e percepito dal popolo servirà a dimostrare come il semplice lavoratore facesse a
suo modo attività politica. Vedremo come la mentalità popolare fosse intrisa di materialità, concretezza, praticità ma anche di solidarietà.
I temi del lavoro, della dignità operaia, dell’associazione, del salario e della paura della fame e della povertà sono fondamentali nelle canzoni e negli scritti popolari, nei quali l’aspetto
sociale incontra quello politico.
Per una storia sociale del movimento operaio
A partire dagli anni ’70-80 del Novecento la sociabilità si è configurata come uno strumento d’analisi per studiare le società in modo nuovo [1]. Quello di sociabilità è un concetto complesso, mutevole, interdisciplinare, che coinvolge la storia, la filosofia, la sociologia e l’antropologia [2].
Jacques Rougerie ha dimostrato negli anni ’90 come per gli storici della cultura popolare fosse ancora utile prendere le mosse dalla definizione di Agulhon [3].
L’uomo vive in società, come l’ape e l’elefante, ma (a differenza dell’ape e dell’elefante) lo fa in una certa maniera, che possiamo supporre suscettibile di variazioni [4].
Questa maniera varia a seconda dello spazio, del tempo, del genere, dell’età, del contesto sociale nonché della mentalità.
L’interesse dello storico si appunta direttamente sull’uomo e sulle relazioni sociali che stabilisce con gli altri individui, sulle modalità attraverso le quali dialoga e vive in società. Nel
momento in cui ci allontaniamo dalla pura teoria, veniamo in contatto con tutta una materialità di rapporti. Registriamo un cambio di prospettiva, poiché il fondamento stesso della sociabilità non
è l’universo delle idee astratte, ma la sostanza concreta della realtà [5]. L’approccio, infatti, è di tipo etnografico. L’oggetto della ricerca, come sostiene
lo stesso Agulhon
non si riduce al fatto di costruire e di dar vita a delle associazioni […]. Le relazioni codificate tra gli individui esistono anche al livello assai informale delle abitudini o delle convenienze, nel focolare domestico, nella bottega o in ufficio, per strada, allo spettacolo. Quella sociabilità del quotidiano è di un’estensione immensa, d’una varietà infinita, senza essere per questo organizzata [6].
Non solo le associazioni, i circoli e i salotti nobiliari [7] diventano oggetto delle analisi storiche, ma anche la piazza, la strada, la bottega; ed è all’interno di questo settore che rientrano gli studi sulle bettole, sulle osterie o, se vogliamo utilizzare le denominazioni francesi, sulle goguettes, sui marchands de vins, sui cafés e cabaret. In Italia studi di questo tipo sono stati condotti, tra gli altri, da F. Ramella, M. Ridolfi [8], R. Monteleone [9] e T. Merlin [10]. In queste ricerche, tra gli altri aspetti, è stato evidenziata l’importante funzione svolta dalle osterie nel processo di politicizzazione popolare. Sono le osterie i luoghi in cui i tessitori biellesi studiati da Ramella organizzavano gli scioperi, riuscivano a coordinare il movimento dei lavoratori e trovavano un conforto, sia economico che morale, nei momenti più drammatici della lotta [11]. È sempre al loro interno che si fondano le prime sezioni di partito e circolano i primi discorsi politici. Credo possa essere utile riportare questa lunga citazione di Renato Monteleone:
L’osteria era un centro di adunata spontanea, per affollarsi non aveva bisogno né di campane né di sirene: la gente vi affluiva perché lì si celebrava, davanti al bicchiere di vino, il rito universale della comunicazione. L’osteria è la famiglia, talvolta la sola disponibile; è il rifugio confidenziale dalla solitudine, una riserva confortevole e quasi inesauribile di parlatori e ascoltatori tra cui circolavano sentimenti e idee, in un fecondo interscambio, spesso altrimenti e altrove impensabile. […] Nelle osterie o locali consimili, come circoli vinicoli, mescite di vino e di birra, cantine sociali ecc., si fondavano sezioni di partito, si svolgevano riunioni sindacali, avevano sede e recapito le società ricreative operaie; lì gli operai si passavano di mano i fogli di partito, discutevano degli interessi comuni e le idee del socialismo trapassavano nel fitto dei rapporti interpersonali [12].
Nelle osterie prendevano vita quegli ideali di libertà ed eguaglianza che percorsero le lotte sociali di fine ’800, nelle quali si concretizzava l’antica cultura di resistenza e combattività
bracciantile.
Questi esempi, che ritroveremo nella Parigi del 1830-48, ci permettono di sottolineare il nesso che si instaura tra sociabilità e politica.
Quest’ultima viene considerata attraverso una nuova prospettiva; il punto di vista risulta completamente mutato. Ora sono la società, l’uomo e le sue relazioni i “contenitori” della formazione e
dello sviluppo del discorso politico [13] La politica nasce nelle associazioni, nei collettivi, nelle feste patronali, nelle bettole, nelle strade: questa è
la grande intuizione di Agulhon. Malatesta sostiene che «il sociale sia il terreno di formazione della politica» [14]. l’uomo in tutta la sua grandezza e
semplicità è il motore di questo processo.
Fin da queste prime battute emerge l’importanza della quotidianità e la relazione che la lega al concetto di sociabilità [15]. L’interesse dello storico, di
conseguenza, si allarga a tutti quegli aspetti, all’apparenza secondari, effimeri e ripetitivi, che in realtà rappresentano il terreno di coltura dei grandi avvenimenti [16]. Si deve partire dalla quotidianità nascosta per leggere le rivoluzioni del ’48 europeo; è nella vita di tutti i giorni che si formano i legami, si interviene concretamente nel
sociale, poiché «il mondo della quotidianità così come gli uomini l’affrontano, ci agiscono e ci vivono è la realtà suprema nell’esperienza umana» [17].
Di fondamentale importanza risulta anche il rapporto tra sociabilità e cultura. Lo studio della sociabilità, dei contenuti e della maniera dello stare assieme, pone in evidenza alcuni aspetti
dell’universo mentale e dell’immaginario degli attori sociali [18].
Anche le ricerche di Edward P. Thompson sul movimento operaio inglese hanno contribuito a gettare le basi del nuovo approccio [19]. Privilegiando altri
settori della produzione rispetto alla fabbrica, e non lasciandosi trasportare dalle ideologie dominanti dell’epoca, Thompson si è avvicinato allo studio della classe lavoratrice in maniera nuova.
Ha messo in luce come sia stato l’artigianato lo spazio della nascita del movimento dei lavoratori [20]. Gli operai qualificati, i più specializzati, i
lavoratori dell’artigianato sono i veri protagonisti delle prime lotte: «Lungi dall’essere i primogeniti della rivoluzione industriale gli operai di fabbrica ne furono il prodotto tardivo» [21]. Attraverso questa intuizione, l’analisi si è spostata dalla “classe operaia” in quanto tale al suo farsi, alla sua evoluzione dinamica [22].
Tutto ciò ha delle importanti conseguenze nello studio del movimento operaio, poiché, come ha messo in luce Sewell, «la ricerca non può limitarsi esclusivamente al periodo successivo alla
rivoluzione industriale». Thompson introduce importanti strumenti teorici per analizzare i processi di mutamento sociale, come la riflessione sul rapporto tra persistenze e cambiamento. Ricordiamo anche la relazione, introdotta da Agulhon, tra forma e
contenuto: un altro fondamentale dispositivo teorico nato dall’indagine empirica, che fa affiorare aspetti fino ad allora trascurati.
L’interesse di Thompson a indirizzare l’indagine fuori dalla fabbrica nasce per reazione alla storiografia di stampo marxista, che restringeva il campo ai movimenti istituzionalizzati e impegnati
in attività politica [23]. I nuovi approcci, concentrandosi sull’uomo, permettono di abbandonare le definizioni astratte in favore di una history from
below [24]. Le biografie dei grandi pensatori o degli strateghi della politica vengono posizionate sullo sfondo della scena, il loro apporto agli eventi
non viene cancellato, ma ridimensionato e interpretato diversamente [25]. L’obiettivo è di mettere in luce il «ruolo attivo dei lavoratori, il grado in cui
essi contribuirono, con sforzi coscienti, al farsi della storia» [26].
Con l’introduzione della sociologia e dell’antropologia, Thompson opera una vera e propria rottura e una decostruzione dei precedenti paradigmi storiografici [27]. In seguito al dialogo sempre più stretto con l’antropologia, il rapporto con l’economia inizia a inclinarsi. Viene ridimensionata l’importanza data al determinismo economico, e al rapporto tra struttura e sovrastruttura. Come sostiene Thompson, «la struttura si trova nella singolarità storica dell’“insieme delle
relazioni sociali”, e non in un rituale particolare o in una forma isolata da questo» [28]. La cultura assume la stessa importanza dell’economia, «ciò non
significa negare l'importanza delle esperienze economiche, al contrario significa catturare quelle esperienze in quanto portatrici di significati che devono essere recuperati» [29]. Di fondamentale importanza sono le considerazioni svolte da K. Polanyi ne La grande trasformazione [30].
Il contributo dato dall’antropologia, e in particolare dall’antropologia culturale, è notevole. Il mutamento sociale viene interpretato attraverso concetti quali esperienza e cultura. Ciò permette di innovare radicalmente lo studio di uno degli argomenti cardine della storiografia marxista: la coscienza di classe. Nelle nuove
interpretazioni il formarsi della classe
risulta dal modo in cui gli uomini e donne vivono le loro relazioni produttive e da come sperimentano le loro situazioni particolari entro l’insieme delle relazioni sociali, col loro patrimonio culturale e le loro speranze, e da come traducono queste esperienze in modi culturali [31].
Dal dialogo con l’antropologia derivano anche il concetto di economia morale, nonché il ribaltamento dell’interpretazione dei moti del caro-pane nel Settecento inglese. Thompson, infatti, sostiene che non è più possibile incasellare gli eventi del passato attraverso griglie interpretative derivate da prerogative proprie della nostra società; né si possono ricercare nel passato forme e contenuti propri della società attuale [32]. Solo se teniamo presente quest’aspetto comprendiamo l’importanza data negli ultimi anni allo studio della cultura popolare, e in particolare al suo rapporto con i recenti mutamenti della nozione di politica [33].
La cultura popolare è una cultura politica? Qual’è il concetto di politica utilizzato dal popolo? [34]
Attraverso la nouvelle démarche historique gli studiosi hanno iniziato a privilegiare una scala di analisi più ridotta, di tipo locale [35]. A
partire dagli anni Settanta del ’900 si è sviluppata, attorno alla rivista «Quaderni storici», una nuova corrente: la microstoria [36]. Nella microstoria
l’oggetto non viene inquadrato con strumenti teorici precostituiti: essi vengono creati sul campo. La storia incontra l’etnografia.
Lo storico parte dai documenti e della realtà materiale per stabilire modelli, verificare teorie e arricchire la conoscenza del sociale. Queste piste di ricerca permettono di comprendere il
processo storico non più attraverso un monismo causale, bensì abbracciando una complessa molteplicità di variabili. Un metodo che giochi con scale differenti d’analisi, che prenda in considerazione
le discontinuità [37], che sia aperto agli approcci in chiave di sociabilità e di mentalità, e in cui si tenda alla moltiplicazione dei punti di vista è in
completa contraddizione con un approccio unico alla storia [38]. Esso implica per lo storico la libertà
concreta di sperimentare ed arricchire la conoscenza delle società passate e presenti [39].
In conclusione vorrei soffermarmi su un’importante corrente di studi che si è sviluppata a partire dagli anni ’80 in Inghilterra: il linguistic turn. Essa ha eroso il paradigma marxista,
concentrando l’attenzione sul linguaggio [40], sui contenuti del discorso e sui mezzi di comunicazione,
mettendo in discussione il concetto stesso di “classe”.
… la notion de classe n’est plus considérée comme une réalité fondatrice mais comme un artefact du discours, position qui a mis un terme à l’hégémonie de l’approche anglo-marxiste de l’histoire ouvrière et sociale [41].
La classe e la coscienza di classe non rappresentano più i concetti universali con cui interpretare le differenti lotte dell’800 [42]. Si inizia, infatti, a parlare di pratiche politiche del popolo e di milieu populaire.
Inoltre nota Joyce, il concetto di classe ha una natura marcatamente economica, socialmente esclusiva e connessa direttamente a una idea di conflitto; di contro il concetto di “popolo” indirizza verso una serie di discorsi e identità che sono extraeconomici, inclusivi e universalizzanti nel loro rinvio sociale, a cui non sono estranee nozioni di giustizia e conciliazione sociale [43].
Sociabilità e cultura popolare
A partire da questi approcci, offriamo qui una panoramica dei luoghi di comunicazione e delle forme d’espressione popolare: dalla parole
ouvriére dei giornali “operai” ai discorsi nelle osterie, passando per le canzoni delle goguettes parigine, per le grida sediziose notturne, fino ad arrivare all’azione con
l’associazionismo, lo sciopero e l’insurrezione.
L’analisi darà spazio al contenuto di quelle fonti, a metà tra l’oralità e la vera e propria scrittura, per mettere in evidenza come l’operaio “normale”, a partire dalla sua quotidianità, vive i
processi sociali in atto, come percepisce e rielabora la sua realtà e quella esterna e quali idee propone per creare un’alternativa al sistema dominante. È una storia fatta, oltre che di
collettività, di uomini e donne, che con le loro scelte individuali (per quanto condizionate dal contesto e dalla comunità) hanno tentato di cambiare il corso della storia.
I luoghi della sociabilità di un artigiano del XIX secolo a Parigi sono essenzialmente cinque: la casa, l’atelier, la strada, il
marchand de vin e l’associazione.
Le mescite di vino, la guinguette, i cabaret e la goguette sono i principali spazi della sociabilità operaia a partire dai primi decenni dell’800
[44]. Qui gli operai si ritrovano al termine della giornata lavorativa e nei fine settimana per rilassarsi e divertirsi.
Dans l’état actuel des choses, le cabaret est le TEMPLE de l’ouvrier, c’est le seul lieu où il puisse aller. L’église il n’y croit point; au théâtre, il n’y comprend rien [45].
Questi spazi non sono adibiti al solo divertimento. Qui ci si riuniva per discutere, condividere problemi, sogni e speranze, ma anche per concludere affari e procurarsi utili informazioni.
L’osteria era al centro di un fitto reticolo di relazioni sociali [46]. Nell’impossibilità, o semplicemente nella non utilità da parte del lavoratore di
affittare una stanza per coltivare i propri interessi, essa divenne il punto d’incontro privilegiato del popolo. Politica, gioco e divertimento si mescolavano assieme in una combinazione di
chiarezza, semplicità e spontaneità [47].
Le mescite di vino preoccupavano la polizia, poiché costituivano il luogo dove il discorso politico prendeva vita, si rafforzava e diffondeva; «[…]
Ce souffle révolutionnaire que nous respirons au café Momus nous empêchait de perdre l’espoir de voir un jour la réalisation de notre rêve, c’est-à-dire l’avènement de la République» [48]. A tal proposito gli archivi della Prefettura di Parigi offrono uno spaccato abbastanza eloquente.
Il gioco alle carte e il bicchiere di vino - oggetti sacri della cultura popolare - erano elementi insostituibili nel processo di socializzazione
[49]. Nella maggior parte dei casi però, rappresentavano non gli scopi principale della frequentazione dell’osteria, bensì erano mezzi per favorire la
comunicazione. Particolarmente importante, a questo proposito, era il ruolo della canzone, «expression emblématique de la voix du peuple» [50].
La canzone era un ottimo vettore di politicizzazione. In un ambiente intriso ancora di analfabetismo e di un rapporto difficile con la parola scritta, il suo essere a metà strada tra l’oralità e la
scrittura, il ritmo, la cadenza e il gioco delle rime, le permettevano di raggiungere un pubblico vastissimo ed avere una diffusione
larghissima[51].
Gli arresti di cui abbiamo detto portavano, nella maggior parte dei casi, a perquisizioni in abitazioni o in luoghi frequentati dagli arrestati. È proprio attraverso questa documentazione che
possiamo comprendere l’importanza della canzone come strumento di propaganda delle idee popolari.
Il popolo, la canzone e la politica erano gli ingredienti fondamentali di uno dei luoghi principi della sociabilità popolare: la
goguette[52]. Essa era una société chantante, imitazione delle associazioni bacchiche e
letterarie di tipo borghese come il Caveau.
Qui venivano ad esibirsi gli chansonniers: tra i tanti ricordiamo il celebre Béranger [53] e Charle
Gille [54], noto soprattutto negli anni ’40. Non erano semplici cantanti, bensì attori del processo di politicizzazione ed emancipazione. Tra il riformatore
socialista e il semplice operaio vi era una gamma di figure sociali che, grazie a spazi di questo tipo, stimolavano riflessioni individuali e collettive e sollecitavano, attraverso la lettura, la
discussione e il canto, una maggior presa di coscienza da parte della popolazione [55] (Histoire de la
chanson).
Questa sociabilità non prendeva vita a partire solo da spazi chiusi, come il cabaret, la goguette o, come vedremo in seguito, l’atelier e l’associazione, ma anche da tutte le relazioni
quotidiane che si svolgevano nei luoghi pubblici come la strada e la piazza [56]. Il borghese e l’uomo del popolo percepivano questi luoghi in modi diversi.
Se l’élite vi vedeva delle semplici vie di comunicazione, degli spazi da abbellire, dei punti d’incontro e di divertimento e, soprattutto dopo il calar del sole, dei luoghi di pericolo e di paura,
il popolo vi trovava dell’altro.
Ogni mattina centinaia di lavoratori si recavano sulla place de Grève o sulla place de l’Hotel de ville con la speranza di trovare un’occupazione. Nelle lunghe attese si faceva
amicizia, ci si confrontava, si discuteva e ci si univa [57]. La strada, ma soprattutto i muri cittadini, erano importanti per favorire discussioni e
dibattiti. Il popolo faceva crocchio di fronte ai manifesti pubblici affissi per la città (affiches), commentandoli e scambiandosi - talvolta in maniera vigorosa - opinioni e punti di
vista [58]. Erano spazi vivi, importanti, controllati attentamente sia dal popolo che dalle forze
dell’ordine.
La strada, inoltre, era il luogo delle barricate, della lotta, dell’azione e del coraggio del popolo. Qui si svolgevano manifestazioni, scioperi ed insurrezioni. Uniti, ma raggruppati per mestiere,
ci si recava nei luoghi principali per farsi ascoltare dagli altri gruppi sociali, ci si mostrava, si gridava; è qui che incontriamo la politica popolare. La nozione stessa di politica è
racchiusa in questi luoghi aperti, partecipativi, spontanei. Aspetto questo da contrapporre alla mentalità democratico-borghese che individuava nel parlamento e nei partiti i luoghi-simbolo del
cambiamento e del “progresso”; difficilmente il popolo, attorno al 1848, ne aveva un’analoga percezione.
Anche il luogo di lavoro facilitava lo sviluppo di forme di solidarietà e di unione. Abbiamo testimonianza di riunioni che si svolgevano, in molte occasioni con la complicità del maître,
all’interno dell’atelier [59], durante le pause oppure al termine della giornata lavorativa. Si trattava di incontri amicali, privi di un preciso scopo
politico ma dove di certo la politica non era esclusa dalla conversazione.
Queste differenti forme di sociabilità si sviluppano attraverso la spontaneità e quotidianità dei rapporti sociali: esse non possedevano statuti, non erano ufficiali, ma non per questo
erano poco stabili, profonde e importanti. A partire dagli anni ’20-30 dell’Ottocento, registriamo la nascita di associazioni “istituzionalizzate”, di gruppi di lavoratori che si uniscono dandosi
degli statuti e delle regole. È qui che nasce la grande importanza dell’associazione, parola chiave durante il periodo del 1848 a Parigi. Questo processo deriva principalmente da due fattori:
l’imitazione della forma borghese e la ripresa di forme precedenti di unione, come ad es. le corporazioni e il compagnonnage. L’associazione
divenne il modello ufficiale delle forme di sociabilità, il punto più alto di rielaborazione teorica; ed è al suo interno che si coagulano in maniera innovativa ed esplosiva i contenuti di tutte le
riunioni informali già analizzate. La critica al sistema, i sogni e le speranze, argomenti delle discussioni nei cabaret e delle canzoni nelle goguettes, rappresentano il suo asse
portante, la sua stessa esistenza. La cultura popolare plasmava quei contenuti e, attraverso l’associazione, si presentava e agiva nel contesto sociale; essa era il grande contenitore di tutto
l’universo immaginativo popolare.
Possiamo comprendere la grande importanza di questo concetto durante il ’48 parigino. Non sembra che l’idea popolare trovi una sua espressione e un riferimento forte all’interno di luoghi quali
l’Assemblea generale, l’Hotel de ville, le associazioni interclassiste come la Société des droits de l’homme, negli scritti di Luois Blanc e nemmeno nell’urna elettorale. Essa, invece, esce
prepotentemente nell’azione concreta, negli scioperi, nella strada, nelle barricate, ai cabaret e in particolar modo nell’associazione.
Abbiamo visto come nella strada, nella goguette e nell’atelier avveniva un’importante circolazione del discorso politico. Cosa che ritroviamo in maniera ampliata ed ufficializzata nell’associazione. Al suo interno, infatti, avviene ciò che Rougerie chiama la «montée des masses vers la politique» [60].
L’associazione [61] rappresentava un vettore di politicizzazione per i lavoratori: il suo stesso meccanismo interno favorisce la nascita di modelli
alternativi, come la repubblica democratica-sociale. L’idioma corporativo era in netta contrapposizione con i mutamenti socio-economici verificatisi a partire dalla Rivoluzione francese:
concorrenza, isolazionismo ed “egoismo”. Il popolo, a partire dalla sua cultura, comprende e rielabora queste trasformazioni, proponendo l’associazione come rimedio a questi mali. La progressiva
erosione delle precedenti forme di protezione sociale, il tentativo di sviscerare l’economia dagli altri fattori della vita pubblica e l’inizio di un complesso processo di rivendicazioni
socio-politiche, sono elementi cardine nella formazione del ’48 parigino.
A partire dagli anni ’20-30, l’operaio è il protagonista di un’importante processo di politicizzazione e d’emancipazione sociale (Aux
riches). Partendo dalla sua quotidianità, egli inizia a comprendere i cambiamenti radicali apportati dal sistema capitalistico e dalla società borghese: questo processo è evidente nelle
strofe di alcune canzoni: Les accapareurs, La République bourgeoise, Les vieux ouvriers, Les mineurs d’Utezel, Le Salaire, Les Démolisseur, Le peuple.
Parole come egoismo, sfruttamento, dignità [62], concorrenza,
individualismo , assumono contorni nuovi e sono oggetto di discussioni e di critiche. Il rapporto col
padrone inizia ad inclinarsi, e per la prima volta vi è la volontà di distinguersi dalle altre classi sociali: non più sottomissione al re o al maître, ma rivendicazione di diritti di istruzione, d’uguaglianza e di libertà.
Particolarmente importanti, in questo processo, sono le giornate del luglio 1830, nelle quali il popolo, lottando sulle barricate, cercò di creare una società diversa. Il sistema economico-politico
uscito da quell’esperienza era però in contraddizione con le aspirazioni, ancora generali e confuse, degli operai [63]. Il periodo 1830-1833 venne considerato
come un tradimento, ed ebbe ripercussioni importanti sulla mentalità operaia, contribuendo alla nascita di una nuova coscienza. Tali elementi fanno
comprendere la grande importanza del fenomeno associativo quale risposta concreta del lavoratore al sistema di potere.
Presenteremo brevemente alcune caratteristiche delle nuove società di operai, i loro scopi e il loro funzionamento. Queste osservazioni ci permetteranno di introdurre il concetto di repubblica
democratica-sociale e di interrogarci sulla nozione di politica utilizzata dal popolo.
Prima di addentrarci nell’analisi, dobbiamo sottolineare che tali associazioni sono legate alla nozione di métier. In ogni professione, infatti, venivano costituite corporazioni o
associazioni che tentavano di regolare la produzione. Anche il lavoro, come molti altri aspetti della società, stava subendo radicali trasformazioni [64]. Gli
obiettivi delle corporazioni operaie erano principalmente quelli di prestare soccorso agli associati, nei periodi di malattia o difficoltà economica, e di imporre delle tariffe per limitare la concorrenza industriale.
All’interno di queste unioni l’operaio discuteva le varie opinioni e contribuiva a promuovere decisioni importanti circa le sue esigenze materiali e i problemi concreti che incontrava
quotidianamente [65]. Possiamo affermare che l’incontro tra propaganda democratica e contenuto della cultura popolare è avvenuto proprio all’interno delle
associazioni. Il meccanismo col quale si prendevano le decisioni era democratico: il valore del suffragio universale era una caratteristica
importante. Questi meccanismi permettono l’acculturation politique e conducono a veri e propri comportamenti di tipo politico, soprattutto dopo il febbraio 1848.
Le associazioni e le corporazioni non possedevano solo un ruolo pratico; esse iniziavano a permeare la vita socio-politica dell’operaio [66]. Progressivamente, diventavano il contenuto della forma repubblicana. Si delinea un nuovo soggetto, contrapposto alla repubblica borghese e in alcuni casi anche
di stampo socialista.
Vogliamo fermare l’attenzione sulla percezione della repubblica propria degli operai coinvolti nelle barricate del giugno 1848 [67].
Per democratica intendo che tutti i cittadini siano elettori e per sociale che sia permesso a tutti i cittadini di associarsi col lavoro. In ogni corpo di mestiere dovrebbe esserci una cassa comune nella quale ognuno dovrebbe versare una piccola somma grazie alla quale i malati e gli operai disoccupati riceverebbero degli aiuti [68].
E ancora:
Cavel padre. Professione di fede. Che i lavoratori siano liberi di formare delle associazioni. Dieudonné: la Repubblica Democratica e Sociale, penso che era il diritto di associazione. Papin: Dall’insieme dei regolamenti che le associazioni si saranno date, è certo che potranno nascere le basi certe e razionali di un’organizzazione generale [69].
Le aspirazioni operaie del febbraio e del giugno ’48 tendevano a una rivoluzione che fosse politica e sociale, non al solo miglioramento della condizione lavorativa o a un passaggio formale dalla monarchia alla repubblica. Per gli operai non poteva esistere una repubblica che non fosse democratica e sociale allo stesso tempo: «senza la libertà dalla fame la libertà politica è inutile» [70].
Il popolo percepisce il modello repubblicano che si sviluppava a partire dal febbraio 1848 come lontano dalle aspirazioni che aveva elaborato nel ventennio precedente. Non vi era corrispondenza tra
quella forma politica e il contenuto sociale auspicato dai lavoratori. Si profila uno iato tra la democrazia borghese e una democrazia popolare di tipo diretto, garantita
dall’associazione.
L’unica dimensione politica per il popolo è quella legata alla materialità e alla concretezza della vita lavorativa quotidiana, «parce que le social
et le politique ne sauraient être, arbitrairement, disjoints»” [71].
Poco importa chi regna e governa, che sia ministro questo e non quello; ciò di cui abbiamo bisogno tutti non è un cambiamento di persone, non è un mutamento di potere da destra a sinistra né da sinistra a destra. Ognuno lo avverte: la politica è solo un mezzo; la democrazia verso la quale tendiamo tutti è solo una strada per arrivare al fine comune, il benessere [bonheur] universale [72].
Attraverso questo aspetto, comprendiamo bene le parole di Marche, operaio che il 24 febbraio 1848 penetrò all’interno dell’Hotel de Ville per portare le istanze dei lavoratori ai membri del governo provvisorio.
Ce que j’ai réclamé dès le principe, j’en ai demandé plus tard l’exécution et je saisirai toutes les occasions favorables pour le réclamer, parce que je suis logique, parce que je suis l’interprète du désir des travailleurs, parce que, loin d’être un homme politique, je ne suis qu’un ouvrier désireux de voir réaliser enfin les améliorations si solennellement promises [73].
Gli operai avevano eretto, subito dopo le giornate di febbraio, un sistema che si opponeva frontalmente al capitalismo. Le priorità dei lavoratori
erano il controllo della produzione attraverso le unioni, l’eliminazione della concorrenza attraverso l’introduzione di una tariffa unica, e la sostituzione della mentalità individualistica con i
valori della solidarietà e del mutuo soccorso. Nel momento in cui fu proclamata la Repubblica e garantito loro il diritto al lavoro, gli operai si
impegnarono nella risoluzione dei conflitti [74], come dimostrano anche, all’interno della Commissione del
Luxemburg, il tentativo di sostituire il tricolore con il drapeau rouge o la mozione per la creazione di un ministero del Lavoro.
Essi - spontaneamente e probabilmente, come afferma Marx, non pienamente coscienti di tutte le conseguenze dei loro discorsi e delle loro azioni sul
luogo di lavoro - cercavano di porre immediatamente una soluzione materiale ai conflitti presenti in ogni mestiere.
L’analisi della forma e del contenuto della repubblica democratica-sociale e il concetto di politica utilizzato dal popolo rimandano, dunque, a una configurazione culturale in cui materialità, concretezza e azione costituiscono gli elementi portanti: gli elementi che caratterizzarono il giugno 1848 e che furono all’origine della frattura con la mentalità borghese, e in alcuni casi anche socialista.
Note
[1] M. Agulhon, La sociabilité est-elle un objet d’histoire?, in: Sociabilité et société bourgeoise en France, en Allemagne et en Suisse (1750-1850), Paris, Editions Recherche sur les Civilisations, 1986, 18. Cfr. M. Malatesta (ed.), Sociabilità nobiliare, sociabilità borghese, «Cheiron», 5/9-10 (1988).
[2] Cfr. M. Agulhon, op. cit., e l’Introduzione a: G. Gemelli, M. Malatesta (eds.), Forme di sociabilità nella storiografia francese contemporanea, Milano, Feltrinelli, 1982.
[3] J. Rougerie, Le mouvement associatif populaire comme facteur d’acculturation politique a Paris de la Révolution aux années 1840: continuité, discontinuité, «Annales historiques de la Révolution Française», 66 (1994), 493-516.
[4] M. Agulhon, La sociabilità come categoria storica, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 1 (1992), 41.
[5] Maiullari sostiene che «la sociabilité come mezzo aderisce alla fonte, non le si sovrappone». M.T. Maiullari, La sociabilité: un mezzo o un fine, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 1 (1992), 58. Dall’articolo sopracitato di Agulhon sembra che la definizione del concetto di sociabilità sia nata a posteriori. «La nozione … era ora di occuparsene! Ho fatto ciò solo in un secondo momento» (41).
[6] Ibid., 45-46. Cfr. M. Agulhon, Conclusion du colloque in Sociabilité, pouvoirs et société – Actes du colloque de Rouen, 24-26 novembre 1983.
[7] M. Malatesta (ed.), Sociabilità nobiliare cit.; A. Lilti, Le monde des salons. Sociabilité et mondanité à Paris au XVIIIe siècle, Paris, Fayard, 2005.
[8] Per il ruolo di osterie e bettole nella nascita del movimento repubblicano cfr.: M. Ridolfi, Il circolo virtuoso. Sociabilità democratica, associazionismo e rappresentanza politica nell’ottocento, Firenze, Centro editoriale toscano, 1990, 103 ss.; Id., Sociabilità e politica in Italia durante l’800: aspetti dello sviluppo associativo del movimento repubblicano fra restaurazione e primi anni post-unitari, in: M.T. Maiullari (ed.), Storiografia francese ed italiana a confronto sul fenomeno associativo durante XVIII e XIX secolo, Torino, Fondazione Einaudi, 1990.
[9] «A Bologna, il Circolo Pisacane si insediò nell’osteria della “Garibaldena” e alla fine del 1871 il Fascio operaio si costituì alle “Tre zucchette”. A Imola Andrea Costa fondò la prima Sezione internazionale nell’osteria “Ed Campett” e il settimanale democratico e socialista “Il moto” fu concepito ai tavoli dell’osteria “Ed Chicon”. In un’altra osteria imolese, “Ed Zelest Bartolotti”, un’assemblea operaia decise di aderire alla locale sezione del Partito dei lavoratori italiani.[…]». R. Monteleone, Socialisti o “ciucialiter”? il PSI e il destino delle osterie tra socialità e alcoolismo, in Proletari in osteria – Movimento operaio e socialista 1 (1985), 12.
[10] «In verità l’osteria è il luogo dove il borgo si crea le proprie opinioni. Lì si decide se e quando partire, si discute se vale la pena o no cercare lavoro in un determinato posto, lì si passa il tempo bevendo e giocando […]. L’osteria diventa anche il luogo dove si coagula il dissenso del paese contro la possidenza, dove il dissenso trova un’elaborazione ideologica, se non proprio politica». T. Merlin, L’osteria, gli anarchici e la «boje» nel basso Veneto, «Annali Istituto A. Cervi» 6/1984, 184-85. Cfr. anche Id., Il ruolo sociale e politico dell’osteria nel veneto meridionale, in Proletari in osteria cit.
[11] «Non era dunque soltanto la beffa di un buontempone la scritta apparsa nella seconda metà degli anni settanta sulla porta di un’osteria […] all’indomani della distribuzione a tutti gli operai delle maggiori fabbriche della regione di un libretto di risparmio di una lira. L’iniziativa […] era diretta a incrementare il risparmio fra le classi popolari: ma […] era successo che, ricevuto il libretto, i tessitori di un lanificio in sciopero si fossero recati immediatamente ad estinguerlo. Quel giorno stesso, appunto, era comparsa ben in vista, accanto all’insegna di una taverna, la “triste epigrafe” cui si è gia accennato. Essa diceva: “Cassa di risparmio dell’operaio”». F. Ramella, Terra e telai. Sistemi di parentela e manifattura nel biellese dell’800, Torino, Einaudi, 1983, 183-4
[12] R. Monteleone, Socialisti o “ciucialiter”? cit., 12
[13] Questa interpretazione rovescia le precedenti analisi che individuavano nei partiti e nello Stato i primi e principali centri di formazione della politica. «Gli studi sulla sociabilità, come sappiamo, hanno la peculiare caratteristica di riproporre l’analisi della formazione e della circolazione del “discorso politico” […] in modo che sia possibile superare lo “scarto” fra società e istituzioni e che se ne ritrovino i contenuti nel “sociale” e nel vivo delle relazioni di gruppo. Gli studi sulla sociabilità […] dovrebbero soffermarsi maggiormente su elaborazione, circolazione e diffusione del “politico” al di fuori delle istituzioni, degli apparati ideologici tradizionali della comunicazione e delle stesse organizzazioni politiche». M. Ridolfi, Il circolo virtuoso cit., 17
[14] M. Malatesta, Il concetto di sociabilità nella storia politica italiana dell’ottocento, in «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 1 (1992), 61
[15] Cfr. M. Agulhon, Préface à Pénitents et Francs-maçons de l’ancienne Provence, Paris, Fayard, 1984, VI.
[16] Lo stesso Aghulon sollecita un incontro più forte tra la storia quotidiana e quella del movimento dei lavoratori, poiché «les ouvriers se sont affirmés en se révoltant, notamment parce que leur vie quotidienne était insupportable; étudier leur vécu fait donc partie de la recherche des causes mêmes de leur action collective». M. Agulhon, Classe ouvrière et sociabilité avant 1848 cit., 60-61; per l’importanza della quotidianità, si vedano P. Vigier, La vie quotidienne en province et à Paris pendant les journées de 1848, Paris, Hachette, 1982; H. Burstin, Francia 1789: La politica e il quotidiano, Torino, Einaudi, 1994 e Id., Une révolution à l’oeuvre: le faubourg Saint-Marcel (1789-1894), Champ Vallon, 2005
[17] C. Geertz, Interpretazione di culture, Bologna, il Mulino, 1988, 324.
[18] «La sociabilità aristocratica […] corrisponde ancora in linea di massima ad un livello superiore di cultura, nel quale si leggono i libri; la sociabilità borghese […] ospita un livello inferiore, nel quale si leggono i giornali; anche più in basso non si legge. […] ci interessa soltanto comprendere – anche a costo di sistematizzarla un po’ – la realtà di un’epoca nella quale i vari piani della sociabilità non riflettevano solo i livelli sociali, ma anche i livelli culturali. La corrispondenza tra quadri della sociabilità e livelli sociali richiama una stratificazione di “culture” nel senso antropologico del termine». Cfr. M. Agulhon, Il salotto il circolo e il caffé. I luoghi della sociabilità nella Francia borghese (1810-1848), Roma, Donzelli, 1993, 107 ss.; Id., La sociabilité est-elle un objet d’histoire? cit., 18.
[19] Oltre Thompson bisogna ricordare anche gli storici che si riunirono attorno alla rivista «Past and Present»: E.J. Hosbawm, Ch. Hill, R.C. Cobb e G.F. Rudé. Questo gruppo non praticava un «marxismo duro. […] Il loro principale centro d’interesse non era l’approccio tipicamente marxista tra “forze” e “rapporti di produzione”, ma la formazione della classe, della lotta di classe ed il periodo delle rivolte e delle rivoluzioni». Cfr. G. Stedman Jones, De l’histoire sociale au tournant linguistique et au-delà. Où va l’historiographie britannique?, «Revue d'histoire du XIXe siècle», 33 (2006), 147.
[20] «Il movimento dei lavoratori del diciannovesimo secolo nacque nel laboratorio dell’artigianato e non nell’«oscura e satanica fabbrica». W. Sewell, Lavoro e rivoluzione in Francia. Il linguaggio operaio dall’ancien règime al 1848, Bologna, il Mulino, 1987, 9. Questa analisi vale anche per il contesto francese del 1830-48: gli uomini che animarono quelle lotte appartenevamo prevalentemente alla sfera dell’artigianato. Tra gli insorti del giugno 1848 vi erano soprattutto tessitori, filatori, calzolai, sarti, conciatori, ebanisti, falegnami, carpentieri, meccanici, fabbri ferrai e muratori. Cfr. M.G. Meriggi, L’invenzione della classe operaia : conflitti di lavoro, organizzazione del lavoro e della società in Francia intorno al 1848, Milano, Angeli, 2002, 258-59.
[21] E.P. Thompson, Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra, Milano, il Saggiatore, 1969, I:260.
[22] Rivelatore di questo aspetto è il titolo stesso dell’opera di Thompson: The making of the English working class (London, Penguin Books, 1968).
[23] «Prima del 1960 la nostra conoscenza [della classe operaia] era confinata quasi esclusivamente entro tre argomenti: la storia istituzionale del movimento dei lavoratori, lo sviluppo intellettuale dell’ideologia socialista e le dimensioni, le stagnazioni e gli aumenti dei salari reali dei lavoratori, quest’ultimo considerato come un indice delle sofferenze e dello sfruttamento dei lavoratori». Sewell, Lavoro e rivoluzione cit., 18. Cfr. G. Montroni, Il tramonto del concetto di classe e le vicende della storiografia sociale britannica, in «Memoria e ricerca», 10 (2002), 26 ss.
[24] L. Hinker, La politisation des milieux populaires en France au XIXe siècle : constructions d’historiens. Esquisse d’un bilan (1948-1997), in «Revue d’histoire du XIXe siècle», 1 (1997), 89.
[25] «Nel momento in cui i principali attori della storia – politici, pensatori, imprenditori, generali – si allontano dalla nostra attenzione, ecco che si fa avanti un’innumerevole massa di sostegno, composta da coloro che avevamo pensato fossero dei semplici subalterni in questo processo». E.P. Thompson, Società patrizia e cultura plebea, Torino, Einaudi, 1981, 314.
[26] E.P. Thompson, Rivoluzione industriale e classe operaia cit., I:12.
[27] Cfr. W. Sewell, Lavoro e rivoluzione cit., 15 ss.
[28] E.P. Thompson, Società patrizia e cultura plebea cit., 324.
[29] W.H. Sewell, Lavoro e rivoluzione cit., 29.
[30] L’autore sostiene infatti che «L’eccezionale scoperta delle recenti ricerche storiche ed antropologiche è che l’economia dell’uomo, di regola, è immersa nei suoi rapporti sociali». K. Polanyi, La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca, Torino, Einaudi, 1974, 61.
[31] E.P. Thompson, Società patrizia e cultura plebea cit., 360.
[32] Cfr. E. Thomas, Voix d’en bas. La poésie ouvrière du XIXe siècle, Paris, Maspero, 1979, 15 ss. ; cfr. l’Avant-propos e l’Introduction in: M. Riot-Sarcey, Le réel de l’utopie. Essai sur la politique au XIXe siècle, Paris, Albin Michel, 1998.
[33] Per l’importanza del un nuovo concetto di politica cfr. l’Avant-propos e l’Introduction in: Riot-Sarcey, Le réel de l’utopie cit.; J. Rougerie, L. Hincker, Introduction, «Revue d’histoire du XIXe siècle», 33 (2006) [mis en ligne le 23.12.2006]. Questi lavori partono da una rilettura dell’opera di Claude Lefort e in particolare dagli Essais sur le politique XIXe – XXe siècle, Paris, Seuil, 1986.
[34] L. Hinker, La politisation des milieux populaires cit.; G. Stedman Jones, De l’histoire sociale cit., 154 ss.
[35] Si vedano ad es. le indagini sul quartiere: B. Haim, Une révolution à l’œuvre cit.; L. Clavier, «Quartier» et expériences politiques dans les faubourgs du nord-est parisien en 1848, «Revue d'histoire du XIXe siècle», 33 (2006).
[36] J. Revel (ed.), Jeux d’échelles: la micro-analyse à l’experience, Paris, Gallimard-Seuil, 1996. Ricordiamo per l’Italia Carlo Ginzburg, Giovanni Levi, Carlo Poni, Edoardo Grendi. J. Revel, nell’introduzione alla traduzione francese di Levi, interpreta la povertà di testi teorici sulla microstoria come «la rivendicazione di principio di un diritto alla sperimentazione in storia, che non separerà l’affermazione di proposizioni generali dall’analisi particolare». J. Revel, L’historie au ras du sol préface a G. Levi, Le pouvoir au village : histoire d’un exorciste dans le Piémont du XVIIe siècle, Parigi, Gallimard, 1989, X e XXIV.
[37] Per l’importanza della discontinuità nel processo storico cfr. l’Introduction in: Le réel de l’utopie cit.
[38] Esso, inoltre, sarebbe incompatibile con la varietà e complessità della realtà sociale poiché, come sostiene Feyerabend, «non esiste una sola teoria che sia d’accordo con tutti i fatti conosciuti all’interno del proprio ambito». P.K. Feyerabend, Contre la méthode. Esquisse d’un théorie anarchiste de la connaissance, Paris, Seuil, 1979, 28.
[39] «Pour moi, l’historie est la somme de toutes les histoires possibles – une collections de métiers et de points de vue, d’hier, d’aujourd’hui, de demain. Le seul erreur, à mon avis, serait de choisir l’une de ces histoires à l’exclusion des autres. Ce fut, ce serait l’erreur historisante». F. Braudel, La longue durée, in: Ecrits sur l’histoire, Paris, Flammarion, 1969, 55. Cfr. anche B. Lepetit, Les formes de l’expérience. Une autre histoire sociale, Paris, Albin Michel, 1995.
[40] «Puisque l’accès au passé ne peut se faire que par l’intermédiaire des textes, cela signifie, concrètement, qu’il est légitimité de lire les textes comme des documents, comme des sources d’information non seulement constitutives mais aussi explicatives de réalités historiques passées». G. Stedman Jones, De l’histoire sociale cit., 154.
[41] Ivi, 155.
[42] Per quanto riguarda la tendenza attuale della storia sociale di creare nuove categorie interpretative cfr. J. Rougerie, L. Hincker, Introduction cit.; Introduction à Le réel de l’utopie cit., 33 ss.
[43] G. Montroni, Il tramonto del concetto di classe cit., 37.
[44] Cfr. C. Condemini, Le café-concert à Paris de 1849 à 1914. Essor et déclin d’un phénomène social, Thèse de doctorat, EHESS Paris, 1989.
[45] F. Tristan, L’Union ouvrière (Paris 1844) cit. in M. Agulhon, Classe ouvrière et sociabilité avant 1848, in Histoire vagabonde, Paris, Gallimard, 1988, I:69.
[46] Rougerie calcola 3.000 (o 4.300) cabaret a Parigi nel 1793 e 4.408 marchands de vins cabaretiers, 753 limonadiers, 94 débitants d’eau-de-vie, 725 marchands de liqueurs, 1255 gargotiers nel 1853. Cfr. Le mouvement associatif cit., 496.
[47] Si veda l’importanza della thick description in C. Geertz. Interpretazioni di culture cit.
[48] Rougerie, Le mouvement associatif cit., 496.
[49] Cfr. R. Monteleone, Socialisti o “ciucialiter”?, cit., 3-4.
[50] H. Millot, N. Vincent-Munnia, M.C. Schapira, M. Fontana (eds.), La poésie populaire en France au XIXe siècle. Théories, pratiques et réception, Charente, Du Lérot, 2005.
[51] Cfr. ivi, e F. Tabaki-Iona, Chants de liberté en 1848, Paris, l’Harmattan, 2001.
[52] I nomi delle goguette sono per lo più inventati ed insignificanti, ad es: Animaux, Gamins, Lapins, Oiseaux, Insects, Lutins, Ménestrels, Bons Vivants, Bons Enfants o Amis de la pipe, de la chanson, du siècle, de l’étoile, du progrès. Cfr. Rougerie, Le mouvement associatif cit.; Thomas, Voix d’en bas cit.; H. Millot, Légitimité et illégitimité de la voix du peuple: Charles Gille et la production chansonnière des goguettes de 1848, in: H. Millot, C. Saminadayar-Perrin (eds.), 1848, une révolution du discours, Saint-Etienne, Editions des Cahiers intempestifs, 2001.
[53] Thomas, Voix d’en bas cit., 31 ss.
[54] Millot, Légitimité et illégitimité cit.; Thomas, Voix d’en bas cit.; H. Schneider, La république clandestine (1840-1856). Les chansons de Charles Gille, Edition critique, Hildesheim-Zurich-New York, Georg Olms, 2002; R. Brécy, Un oublié: Charles Gille, le plus grand des chansonniers révolutionnaires, « La Pensée » gennaio-febbraio 1958, 77.
[55] Thomas, Voix d’en bas cit., Millot, Légitimité et illégitimité, cit.
[56] «Assis autour de la colonne, sur le rebord de pierre, les ouvriers prennent l’air, la journées finie, lisent, causent. Des soldats montrent leur culotte rouge, des voltigeurs leurs épaulettes jaunes, parmi ces blouses bleues. Il fait chaud, il fait bon. Un marchand de chansons, monté sur un tabouret, entouré de monde, chante ses cahiers en s’accompagnant de la guitare[…]» Rougerie, Le mouvement associatif cit., 495-6.
[57] La serie F7 12329 Préfecture de Police (1830-1847) – Bulletins quotidiens, delle Archives Nationales contiene i rapporti di polizia quotidiani redatti dal prefetto dall’agosto 1830 al luglio 1831 ed alcuni riguardanti periodi del 1832, 1842, 1844 e 1847. È un riassunto di alcune pagine che presenta informazioni generali su Parigi (sorveglianza, arrestati, disordini, circolazione, approvvigionamento). Vi è anche una sezione (Travaux) riguardante le assunzioni svolte sulla piazza de Grève o su quella dell’Hotel de Ville. In alcuni casi, soprattutto nei periodi di forti tensioni sociali o nei periodi di crisi economica, il prefetto segnala preoccupazione per discorsi e assembramenti di lavoratori che si creano in questi luoghi.
[58] La stessa prefettura utilizzava grossi manifesti da affiggere ai muri per dare disposizioni e comunicare ordinanze. Cfr. Les murailles révolutionnaires de 1848: collection des décrets, bulletins de la République, adhésions, affiches, fac-simile de signatures, professions de foi, etc. Paris et les départements, Paris, Picard, 1868, 2 voll.
[59] Cfr. Agulhon, Classe ouvrière et sociabilité avant 1848 cit., 64
[60]«D’autre part Maurice Agulhon parle volontiers de “descende de la politique vers les masses”. Cela m’a toujours un peu choqué. N’y a-t-il pas aussi bien et en même temps montées des masses vers la politique?». Rougerie, Le mouvement associatif cit., 495 ; per il dibattito sull’argomento rinvio a Agulhon, La République au village: quoi de neuf?, «Provence historique», 194 (1998).
[61] Vorrei ribadire che i meccanismi che troviamo nelle associazioni formali sono presenti, in maniera vaga e non organizzata, anche nelle forme associative di tipo informale. Non credo che tra le due forme di sociabilità vi sia una forte differenza. Al contrario, si può forse parlare di continuità dei contenuti in forme differenti.
[62] J. Rougerie, Le mouvement associatif populaire cit., 513 ss.
[63] «Presque personne ne se douta, au lendemain des journées de Juillet, que la conséquence logique de la Révolution était une certaine émancipation, soit politique, soit économique, soit à la fois politique et économique, des ouvriers qui y avaient tenu le premier rôle ; ou, tout au moins, que le germe venait d’être semé d’un nouveau régime social, si incomplet d’abord au si lointain qu’en put être l’établissement». O. Festy, Le mouvement ouvrière, 35.
[64] «Il lavoro […] non era soltanto il sostegno essenziale dell’intera società e la fonte della sovranità popolare, esso rappresenta un’attività intrinsecamente pubblica». Sewell, Lavoro e rivoluzione cit., 444.
[65] Cabet, in un articolo apparso sul «Populaire» del 3 settembre 1833, sostiene come l’azione operaia conduca naturalmente alla politica. «Les ouvriers menuisiers de Saint-Antoine font de la République… Des ouvriers se réunissent s’associant pour défendre leurs intérêts communs, discutant, délibérant, élisant un président pour diriger leurs délibérations et une commission pour agir en leur nom, écoutant les conseils des mandataires qu’ils ont choisis, traitant enfin avec leurs adversaires, c’est là la République». Rougerie, Le mouvement associatif cit., 507.
[66] Ibidem. Si veda inoltre M. Riot-Sarcey, De l’«universel» suffrage à l’association, ou «l’utopie» de 1848, in: J.-L. Mayaud (ed.), 1848. Actes du colloque international du cent cinquantenaire, Paris, Creaphis, 2002.
[67] Per un’analisi della barricata rinvio a A. Corbin, J.-M Mayeur (eds.), La barricade, Paris, Sorbonne, 1997. Per il legame tra le barricate del giugno ’48 e politica, cfr. L. Clavier, L. Hincker, La barricade de Juin 1848 : une construction politique, ivi; L. Clavier, L. Hincker, J. Rougerie, Juin 1848 : l’insurrection, in: J.-L. Mayaud (eds.), 1848 cit., 133 ss.
[68] M.G. Meriggi, L’invenzione della classe operaia cit., 9.
[69] Ivi, 104.
[70] Su «L’Organisation du Travail», journal des ouvriers del 3 giugno 1848, vi è la descrizione di uno sciopero degli operai stampatori di carte da parati. Riuniti in una società fraterna sorta da ormai 18 anni, essi sostenevano che, mentre sotto la monarchia era naturale che venisse loro impedita la coalizione per difendere i propri interessi materiali e morali, la Repubblica doveva dare un segnale opposto. Meriggi, L’invenzione della classe operaia cit., 244.
[71] Rougerie, Le mouvement associatif populaire cit., 516.
[72] Meriggi, L’invenzione della classe operaia cit., 158.
[73] Gossez, Les ouvriers de Paris. Livre Premier: L’organisation 1848-1851, Paris, Bibliothèque de la Révolution de 1848, 1967, XXIV:12.
[74] Clavier, Hincker, Rougerie, Juin 1848 cit., 133 ss.